Mitumba
il mercato dei vestiti usati dall’occidente

Mitumba, il mercato dei vestiti usati dall’Occidente

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Mitumba è un termine swahili usato per indicare balle, dai 40 ai 50 chili, contenenti vestiti usati, prevalentemente donati, provenienti dai Paesi occidentali. La parola Mitumba indica però anche un vero e proprio business, quello che inizia dall’import di balle di diverse categorie merceologiche da parte di grossisti locali fino ad arrivare alla vendita al dettaglio.

Il Kenya è uno dei maggiori importatori di vestiti di seconda mano dell’Africa subsahariana dopo che, dall’inizio degli anni Novanta una serie di riforme di liberalizzazione del mercato ha permesso l’ingresso di merci a costi ridotti.

Dalla metà degli anni 2000, l’aumento del numero di capi acquistati dal consumatore medio in occidente ha portato a volumi crescenti di abbigliamento di seconda mano nei mercati. Solamente tra il 2015 e il 2019 sono state importate circa 926mila tonnellate di vestiti usati provenienti principalmente da Cina, Canada, Regno Unito e Usa.

Ad oggi si stima che quattro quinti della sua popolazione acquisti e indossi abiti usati, soprattutto per via dei loro prezzi economici.

Carico di balle di mitumba proveninenti dal porto di Mombasa, principale punto di ingresso del Paese per le importazioni. Nairobi (Kenya) – 2022

L’industria del “mitumba”, una miscela di manodopera qualificata e non, arriva a impiegare circa il 10% della forza lavoro totale diventando così un settore cruciale per l’economia keniota.
Centro nevralgico è la capitale del Paese, Nairobi, e in particolare il mercato di Gikomba, sede di più di 150 grossisti e meta di acquirenti e rivenditori da ogni parte del Paese e non solo.

I grossisti, sia all’interno sia all’esterno del mercato di Gikomba, trattano direttamente con broker per acquistare le loro balle. Il prezzo varia in base al tipo di vestiti e alla loro condizione. Le balle si differenziano in due principali tipologie, le prime contenenti una specifica tipologia di indumenti, mentre le seconde, cosiddette “tropical mix”, composte da un misto di indumenti per uomo, donna e bambini. Entrambe vengono poi classificate in base al pregio degli indumenti al loro interno.

Grossisti smistano le balle presso il loro magazzino prima di venderle ai venditori locali. Nairobi (Kenya) – 2022

La problematica principale sviluppatasi nel corso degli ultimi anni riguarda la scarsa qualità degli indumenti contenuti, in parte dovuta all’ascesa del fast fashion e alla sovrapproduzione. Parte di questo problema viene arginato, per quanto possibile, ricorrendo all’uso di artigiani che si occupano di riparare i capi, nonostante ciò circa il 50% del contenuto di ogni mitumba è però destinato alle enormi discariche a cielo aperto.

Lavoratori della discarica di Dandora, una delle piĂą grandi d’Africa. Nairobi (Kenya) – 2022

Ed è anche per questo motivo che sempre a Nairobi si trova la discarica di Dandora, con un estensione di oltre 2,5 chilometri quadrati di terreno ricoperto da scarti e destinazione di circa 850 tonnellate di rifiuti ogni giorno. Un universo a parte con una sua vita intensa: migliaia di persone infatti lavorano nella discarica. Raccolgono, puliscono e smistano rifiuti a mani nude.

Al contrario di vetro e plastica, che grazie alla loro raccolta vengono trasformati in fonte di guadagno da parte dei lavoratori della discarica, i rifiuti tessili, quasi esclusivamente composti da fibre sintetiche, si accumulano giorno dopo giorno andando a formare montagne di rifiuti che, anche a causa di incendi naturali, contribuiscono a rilasciare sostanze tossiche nell’aria e nel terreno. L’import di vestiti di seconda mano è un tema molto dibattuto tra i Paesi facenti parte della Comunità dell’Africa Orientale (Eac).