I salmoni che dividono la Norvegia

I salmoni che dividono la Norvegia

Nel Finnmark, la regione più a nord della Norvegia continentale, una lunga strada ghiacciata conduce a Kokelv, un piccolo villaggio appollaiato su un fiordo che si affaccia sul mar glaciale Artico. Qui, la presenza di insenature naturali e la temperatura dell’acqua creano le condizioni ideali per l’allevamento del salmone atlantico, la specie più consumata al mondo. Non a caso, all’estremità occidentale del villaggio, si trova uno dei numerosi distaccamenti della Norway Royal Salmon, uno dei maggiori produttori di salmone a livello mondiale.

Alcune barche sono ormeggiate in un piccolo molo di fronte a due edifici di legno pitturati di bianco. Ogni mattina da lì Bjorn Millar Angel – il responsabile del distaccamento ed esperto marinaio – parte insieme ai suoi uomini alla volta dell’allevamento vero e proprio, che dista a pochi chilometri. Lì, nascoste tra le insenature, strutture a forma d’anello ospitano migliaia di salmoni, che vengono alimentati due volte al giorno tramite silos informatizzati. Il lavoro di Bjorn e il suo team consiste in gran parte nel far si che tutto vada avanti senza troppi intoppi.

Il salmone è fondamentale per l’economia norvegese. Il 90 per cento del salmone congelato e affumicato venduto nel mondo è salmone atlantico d’allevamento, di cui la Norvegia è di gran lunga il maggior produttore mondiale con 1,4 milioni di tonnellate all’anno, che finiscono sulle tavole di mezza Europa, compresa l’Italia, che è uno dei maggiori consumatori. Negli ultimi anni, il settore è cresciuto vertiginosamente, contribuendo a tamponare l’emorragia economica causata dal crollo del prezzo del petrolio grezzo, la principale fonte di ricchezza nazionale, che da anni vive una fase di declino. Ciò, oltre a causare un aumento dei prezzi, ha fatto crescere sia nelle aziende private che nelle autorità pubbliche la voglia di espandersi.

Non essendo la Norvegia un membro Ue, le compagnie nazionali stanno adottando una strategia senza scrupoli: aprono uffici in Paesi comunitari del nord Europa – ad esempio l’Islanda – per poi chiedere ai governi locali la licenza per allevare. Ma mentre gli sforzi per espandersi continuano, emergono sempre più problemi.

In primis c’è la questione ambientale. L’allevamento dei salmoni è infatti una delle acquacolture più inquinanti e impattanti a livello ambientale. I salmoni producono una grande quantità di rifiuti organici e, essendo carnivori, per nutrirsi hanno bisogno di grandi quantità di pesce: per 1 kg di salmone destinato alla vendita occorrono, mediamente, 5 kg di pesce trasformati in mangimi.

Negli ultimi tempi, poi, un pidocchio di mare si è insinuato all’interno di numerosi allevamenti dell’area, causando non pochi problemi. Alcuni salmoni infetti sono riusciti a scappare dagli allevamenti, mettendo a rischio le specie selvatiche – il cui valore di mercato è aumentato quasi del 60 per cento negli ultimi due anni. Tutto ciò ha provocato forti proteste da parte di associazioni ambientaliste come i Green Warriors of Norway, e di partiti politici come i Verdi, piccolo ma in forte crescita, che chiedono che una maggiore sostenibilità ambientale.

In secondo luogo, c’è l’aspetto legale. Secondo uno studio del Fridtjof Nansen Institute, l’attuale legislazione che regola l’allevamento dei salmoni è in contrasto con i diritti sanciti dalla costituzione norvegese, che obbligano alla tutela della biodiversità marina (tra le più elevate al mondo nel mare del Nord).

Secondo la scienza, il salmone è una delle sostanze più salutari per l’uomo grazie alla sua capacità di abbassare il livello di colesterolo nel sangue. Ma al tempo stesso, averlo a disposizione quotidianamente significa mettere a dura prova l’ambiente. Sarà dunque interessante vedere come la Norvegia, nota per essere uno dei paesi più avanzati al mondo, gestirà questa diatriba dove si intrecciano due delle questioni che stanno definendo il nostro tempo: crescita economica e sfruttamento delle risorse naturali.