
Emergenza siccità
Il seguente reportage è tra i vincitori del corso di fotografia della Newsroom Academy tenuto da Ivo Saglietti
“In sessant’anni non ho mai visto il fiume così” è il commento di Giorgio Rigoni, classe 1956, allenatore di canottaggio e prima canottiere a sua volta, che frequenta il Po sin da bambino.
Con l’estrema secca del fiume, gli spiaggioni si sono ampliati notevolmente ed alcuni tratti navigabili arrivano ad essere strozzati dalle sabbie emerse, con fondali inferiori a 50 cm. L’Aipo stessa sconsiglia infatti la navigazione a motore. È il caso per esempio del braccio d’acqua di Monticelli d’Ongina. Lo stesso che scorre dalla centrale idroelettrica di Isola Serafini, uno dei maggiori sbarramenti sul Po, le cui turbine sono ferme dal 21 giugno a causa della scarsità d’acqua.

In lontananza vediamo i lembi di spiaggia pericolosamente vicini, ci sono anche dei pescatori immersi nel fiume fino alla vita, ma sfortunatamente non possiamo avvicinarci: il motore del motoscafo già urta quelle che qui si chiamano “socche”, legni, rocce e residui in genere presenti sotto il pelo dell’acqua, che non visibili rischiano di rompere i motori o gli scafi delle barche.
“Qui dovrebbero esserci almeno 3 o 4 metri d’acqua” commenta Giorgio mentre invertiamo la rotta. Mi spiega subito che da alcune settimane sono costretti a portare i canottieri ad allenarsi nel canale Pizzighettone-Cremona (canale per il trasporto commerciale che sarebbe dovuto essere parte del più grande canale Milano-Cremona, idrovia in realtà mai ultimata) per scongiurare il rischio di rompere le barche ora che il fondale del fiume si è fatto più insidioso.

La mancanza d’acqua nel fiume non costituisce ovviamente un problema per i soli canottieri: a farne le spese maggiori è l’agricoltura, che si scontra col fatto che il principale bacino di prelievo idrico della Pianura Padana sia ridotto ai minimi storici.
Così, spiega Paola Bono, direttore di Coldiretti Cremona, lungo tutto il fiume Po vi sono escavatrici al lavoro per portare l’acqua del fiume alle pompe per l’irrigazione, che rischiano, ove già non succede, di restare a secco. Andrea Ragazzini, responsabile dell’Ufficio Ambiente e Territorio di Coldiretti Cremona, spiega inoltre che una plausibile soluzione sarebbe potuta essere la realizzazione di un’opera di bacinizzazione del fiume, ovvero la costruzione di bacini lungo il corso del Po atti a trattenere l’acqua quando abbonda. La costruzione dei relativi sbarramenti, spiega, porterebbe anche un vantaggio energetico fornendo la possibilità di installare centrali idroelettriche. Tema, questo, emerso prepotentemente dalla crisi ucraina.

Binario parallelo a questa strategia, secondo Ragazzini, sarebbe l’efficientamento della rete irrigua e delle tecniche di irrigazione: attività da svolgersi però con una marcata attenzione alle caratteristiche del territorio.
“Io sono alto 1 e 85” mi dice Armando Tamagni, agricoltore, mentre si infila tra il mais nei suoi campi di Barbuzzera, frazione del comune di Dovera, nel cremasco, per mostrarmi quanto piccole siano queste piante, che alle soglie di luglio dovrebbero avviarsi a raggiungere i tre metri di altezza.

Hanno ricevuto la prima irrigazione solo il 20 giugno e sono sopravvissute fino ad allora grazie all’acqua delle sole 3 precipitazioni di questi mesi (la più incisiva delle quali di 50mm). Velocemente stima che il raccolto di questo appezzamento, data la crescita “mutilata” del mais, si potrà aggirare attorno ai 300 quintali per ettaro, contro ai 650 di una stagione regolare.

A pochi metri un altro campo di mais è stato invece falciato del tutto: a causa della secchezza del terreno e delle rogge, l’acqua, non riusciva a raggiungere il campo e le piante non hanno resistito. In queste zone, dove il terreno è di per sé ghiaioso, il clima siccitoso ha lasciato che il suolo si seccasse al punto che l’acqua irrigua rilasciata dagli invasi montani drenasse verso le falde sotterranee senza fermarsi nel terreno. In un’area come questa, ricca di sorgenti d’acqua, un fenomeno simile è quanto mai preoccupante: è spia del fatto che le stesse falde sotterranee stiano soffrendo.

L’arrivo anticipato dell’estate ha portato con sé anche una precoce comparsa di parassiti. Armando commenta che si potrebbe fare un trattamento antiparassitario, ma se poi l’acqua si esaurisse la coltivazione morirebbe comunque e sarebbe stato solo uno spreco. Spreco evitabile in una situazione, quella del settore agricolo, in cui si stimano perdite sino al 100%. Secondo Coldiretti si tratta di una danno già del 50% per chi non procederà alle seconde semine a causa della mancanza d’acqua e si stimano perdite fino al 30% per le coltivazioni autunno vernine. Uno dei rischi maggiori poi è quello di trovarsi senza le risorse necessarie agli allevamenti per l’inverno. Il danno economico non si fermerebbe alla sola filiera agricola, ma troverebbe eco nel settore alimentare, senza contare l’innalzamento dei prezzi delle materie prime d’importazione a causa della contingenza internazionale.

Non tutti i mali poi sono economici: “qui venivano gli americani a cercare il Trifoglio” racconta Alberto Casorati, collega di Armando, tenendo tra le dita un trifoglio ladino. “La mia paura è che con quest’anno si perdano varietà tipiche, che si sono selezionate da sé nei secoli in questi prati”. Camminiamo infatti in uno dei prati perenni, alle volte secolari, tipici di questa zona. Vi dovrebbero crescere erbe da foraggio: trifoglio ladino, loietto, festuca, cicoria, ma, commenta amaramente Alberto, “sembra il parcheggio della Coop” tanto è secco.

Questi prati, spiega, necessitano di norma di poche cure: un po’ di concime d’inverno ed il resto lo fa l’acqua.

Non avendo piovuto abbastanza però, il cotico erboso (le prime quattro dita di terreno ricche di nutrienti) si è completamente seccato. Sarà necessario perciò riseminare le erbe e arricchire artificialmente il terreno rischiando così di perdere quei tratti che caratterizzarono finora questi foraggi.