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“Tu devi difendermi”: è credenza degli sciamani, in lingua sami i Noaid o Noaidi, che questa sia la prima volontà di Madre Terra.
Ed è sull’onda di questo monito che ancora oggi i Sami combattono una vera e propria battaglia contro ciò che rischia di ferire o rovinare il luogo dove vivono e che, come ci tengono a sottolineare, è lo stesso dove tutti noi viviamo.
Il caso più recente è quello che vede coinvolto il fiordo di Repparfjord dove una compagnia mineraria, la Nussir Asa, ha provato a costruire una miniera di rame. Un gruppo di attivisti ha istituito il Markopp Camp, un presidio creato con il fine di bloccare i lavori per la costruzione della miniera e che oggi vede coinvolti Sami della tundra, Sami della costa e persone sensibili al tema dello sviluppo sostenibile provenienti da tutta la Norvegia.
La preoccupazione è che i lavori di costruzione e il successivo smaltimento dei rifiuti possano distruggere l’habitat del fiordo e minacciare la biodiversità, rendendo così il fiordo non più pescoso. È un capo Sami della Tundra a guidare la protesta: Utsi, un uomo poco più che 60enne che ha dedicato la propria vita all’allevamento delle renne.
È lui a spiegarci che in passato questa zona era già stata interessata dalla costruzione di una miniera: era il 1970 e gli scavi minerari avevano praticamente reso inutilizzabile l’area. Ora gli scarti di produzione previsti sono circa 20 volte superiori a quelli creati con la prima miniera.
È del 2018, infatti, una legge norvegese che impedisce la dispersione in mare di rifiuti delle miniera ma all’epoca la società Nussir era già in possesso dei permessi. Ad oggi comunque, grazie al lavoro congiunto degli attivisti e del governo, i lavori sono stati fermati e per ora lo stop è valido sino al 2022.
A interessarsi del caso, lo scorso luglio, è anche Greta Thunberg, nota attivista svedese sempre in prima linea su argomenti oggi fondamentali come lo sviluppo sostenibile e il cambiamento climatico.
Uno fra gli esponenti più importanti della causa di Repparfjord è Beaskka Niillas , coinvolto anche nell’organizzazione del Padiglione Sami alla prossima Biennale di Venezia.
Con lui a combattere per la preservazione di Repparfjord, la moglie: Sara Marielle Gaup Beaska, nota cantante di “joik” tradizionali e sostenitrice delle battaglie in difesa dell’ambiente.
Al fiordo in pericolo ha persino dedicato un joik, ce lo fa ascoltare in un luglio artico piovoso e grigio. Attorno il silenzio è perfetto ed è come se il canto sgorgasse direttamente dall’anima di Sara. Forse è questo il segreto degli “joik”, i canti tradizionali che vengono ispirati dalla natura e da tutto ciò che di essa fa parte. Sono “canti dell’anima”, come li definisce Sara “ascoltate noi nativi, sappiamo cosa fare”
Il Riddu Riđđu Festivàla è un festival internazionale di nativi che ha luogo ogni anno a Manndalen nel Comune di Kåfjord nel Nord-Troms. “Una piccola tempesta sulla costa”, questo il significato del termine Riddu Riđđu.
Ed è proprio simile a un forte vento, a uno “tsunami”, il risveglio culturale di questo popolo artico.
Per 30 anni, a partire dal 1991, il festival ha lavorato per creare una maggiore consapevolezza e orgoglio tra i Sami. Oggi è una realtà internazionale e nel 2009 ha ottenuto lo status di national hub, ovvero è diventato uno dei 12 festival a cui è garantito il supporto dello Stato.
Le origini di questo Festival risalgono al 1991, quando alcuni giovani Sami si riuniscono per una serata fra amici. Nasce un discorso che è una delle argomentazioni più importanti e che da sempre è motivo di discussione e confronto: il riscatto e la celebrazione della propria identità, il riconoscimento delle proprie radici.
Sono ancora molti infatti, coloro i quali associano l’essere Sami a qualcosa di negativo, alla vergogna. Questo sentire serpeggia fra i giovani come fra gli anziani e in molti non conoscono la propria lingua. Parlano solo norvegese, capiscono appena la lingua parlata dai propri nonni.
Ed è questo gruppo di giovani che sente di voler dar vita a un vero e proprio “riscatto” attraverso l’arte, la musica, l’espressione delle proprie tradizioni. Non da subito però il Festival è ben accolto. I giovani trovano molte resistenze, vengono derisi, visti come sognatori o folli. I cartelloni che indicano l’inizio del festival vengono bruciati, vengono avviati dei veri e propri atti di sabotaggio ad opera dei Sami stessi. Le persone infatti sono divise: da un lato la voglia di riconoscere e abbracciare il proprio passato, dall’altra l’abitudine ormai antica del rinnegarlo.
Nonostante tutto, i ragazzi non mollano e il festival cresce anno dopo anno in grandezza e in finalità. Le resistenze contro questo evento diventano sempre meno forti e anzi il Festival inizia a ottenere riconoscimento e supporto dalle attività locali, dal pubblico e dagli artisti. Si risveglia fra i giovani la voglia di parlare la lingua Sami e vengono organizzati corsi per insegnarla e workshop per imparare a realizzare i Duodji, oggetti artigianali della tradizione.
Nel 2017 è Sua Altezza la Regina di Norvegia, Sonja Haraldsen, a dare il via all’edizione annuale dell’evento. Ma è con il prossimo aprile 2022 che i Sami vivranno un altro momento importantissimo: per la prima volta, infatti, presenzieranno alla Biennale di Venezia con un padiglione interamente dedicato alla loro cultura e alla loro storia.
Gli artisti coinvolti sono Pauliina Feodoroff, Máret Ánne Sara, Anders Sunna .
Tutti, tramite la loro arte, trasmettono un messaggio fondamentale per il popolo Sami: ascoltate i nativi, convivono da sempre con la Terra, sanno cosa bisogna fare.
L’attivismo politico sposa l’arte e viceversa. Le opere d’arte che verranno presentate infatti, hanno tutte lo scopo finale di divulgare l’importanza della tutela dell’ambiente inteso come “casa” di popoli artici che su questa terra, da sempre, hanno basato la loro storia.
Solo nel 1989 è stato istituito un Parlamento Sami della Norvegia, in riconoscimento dei loro diritti. L’edificio è stato costruito nella città di Karasjok e la sua architettura ricorda la forma di un lovvo, pur essendo moderno e all’avanguardia.
Inoltre, dal 1956 è attivo il Sami Council, organizzazione volontaria non governativa che ha come scopo la promozione della cultura e la difesa dei diritti e degli interessi di questo popolo.
La costituzione di un parlamento sami è di particolare rilevanza, in quanto i Sami hanno subito una sorte che sfortunatamente, nella storia, ha toccato diversi popoli nativi. Avere una propria rappresentanza politica è dunque fondamentale.
L’ex Presidente del Parlamento Sami che ha terminato il proprio incarico nell’ottobre 2021, Aili Keskitalo, è una forte sostenitrice della lotta contro una modernizzazione non rispettosa dell’ambiente. Incontrata lo scorso luglio durante il Festival Riddu Riddu, ha espresso il desiderio che la “green economy tenga realmente conto delle necessità dei popoli nativi: “Senza il nostro ambiente, senza le nostre terre, senza la nostra acqua non abbiamo più motivo di restare qui, non abbiamo più motivo di esistere”, sono queste le sue parole.
Il nuovo presidente, Silje Karine Muotka, appoggia le idee di Aili Keskitalo. La preservazione dei propri fondamenti, dell’ambiente, dello stile di vita e della tradizione è ciò che oggi preoccupa di più la popolazione.
È il 1959 quando Frank e Regine Juhls fondano “Juhls Silver gallery”. Vengono da mondi totalmente diversi, Frank dalla Danimarca, Regina dalla Germania. Non si conoscono, non si sono mai visti prima ma entrambi partono dalla loro città natale spinti dalla volontà di trovare una natura incontaminata e uno stile di vita lontano dalla frenesia cittadina.
Raggiungono Kautokeino quando questa piccola cittadina persa nella tundra è ancora priva di strade di collegamento e i Sami vivono seguendo il loro stile di vita tradizionale. Regina inizia a lavorare come aiutante di una famiglia di pastori nomadi e impara l’arte dell’allevamento delle renne.
Frank invece si guadagna da vivere riparando i gioielli in argento dei pastori nomadi Sami, unico loro bene prezioso. È da notare però che nessuno di questi gioielli era realizzato dai Sami stessi ma era invece giunto loro attraverso il baratto. Durante la transumanza con le renne infatti, i pastori incrociavano altri mondi e facevano propri simboli e oggetti provenienti da altre culture. Fra i gioielli infatti, non è raro trovare cucchiai in argento e croci cattoliche, spille in filigrana provenienti da Bergen e un simbolo chiamato “ruota solare” proveniente dalla Siberia.
Quando Frank e Regina si incontrano durante uno dei rigidi inverni artici, nasce un amore e una collaborazione che li ha visti lavorare insieme sino agli ultimi giorni della vita di Frank, venuto a mancare nel 2020.
Insieme, costruiscono mattone su mattone la “Juhls Silver gallery”. Questo luogo inizia a essere un punto di riferimento per la comunità Sami. Qui possono far riparare i loro oggetti in argento e possono lasciarli in deposito quando partono per le lunghe e difficoltose transumanze dalla tundra alla costa. Ben presto Frank e Regina capiscono che possono fare qualcosa di meglio che riparare gioielli, possono realizzarne di nuovi e originali, seguendo i gusti e le indicazioni dei Sami.
Mano a mano che il loro lavoro aumenta, Frank e Regina sono sempre più attratti dalle culture a rischio e la Jhuls Silver Gallery inizia a ospitare manufatti rari provenienti dai quattro angoli del globo. All’interno di questa “casa ai confini del mondo” trova spazio un padiglione dedicato all’India, uno dedicato all’Afghanistan, un altro dedicato alla Cina e così via sino a coprire quante più terre e realtà possibili.
Regina e Frank vendono i manufatti e donano parte del ricavato alle comunità di provenienza che si trovano in difficoltà.