Le vittime del nostro benessere

Le vittime del nostro benessere

(Accra) “Ricordo che quando insegnavo, una volta abbiamo ricevuto due grandi container pieni di strumenti elettronici. Doveva essere una donazione pagata da una compagnia in Europa. Quando li abbiamo aperti, ci siamo resi conto che tutto ciò che c’era dentro era spazzatura“.

È quello che ci racconta Sampson Atiemo, ricercatore presso la Ghana Atomic Energy Commission. Secondo il suo racconto, infatti, da diversi anni i Paesi occidentali imbarcherebbero verso il porto di Tema container pieni di rifuti, facendoli passare per merce di seconda mano. Ma in verità si tratterebbe di un sitema collaudato per smaltire illegalmente materiale inquinante a basso costo.

Il problema dei rifiuti è iniziato perchè molti Paesi in Europa e in America hanno deciso di trasportare i rifiuti in Africa in quanto era troppo costoso per loro smaltirli nei loro Paesi. Ci dice a tal proposito Fiifi Koomson, un giornalista residente ad Accra: “In sostanza il mondo occidentale non ama la spazzatura e credo che chi produce questi rifiuti dovrebbe pensare anche a come liberarsene”.

“Nel 2009 – ci spiega poi Sampson – un report nazionale rivelava che nel Paese arrivavano 250mila tonnellate di materiale elettronico ed i-tech. Di queste, circa 170mila tonnellate erano oggetti di seconda mano, il resto era da buttare e molta di questa roba arrivava, e continua ad arrivare, sotto forma di donazioni da aziende private e Ong”.

Ma anche le 170mila tonnellate di frigoriferi, cellulari, computer ancora funzionanti che vengono messe sul mercato hanno vita breve e finiscono presto per diventare rifiuti.

Cosa succede quindi a tutte queste tonnellate di rottami? “Sodoma e Gomorra”, è così che i cittadini di Accra chiamano Agbogbloshie, la discarica di spazzatura più grande d’Africa.  Qui gli abitanti disperati di questa “città nella città” portano i rifiuti che raccolgono al porto e nelle varie abitazioni per poi smaltirli, bruciandoli a cielo aperto, così da poter recuperare le parti metalliche e poterle vendere a peso sotto forma di materiale di recupero.

All’interno di Agbogbloshie vivono circa 80mila persone – uomini, donne e bambini – che non hanno alternativa se non vivere qui, intrapolati in un luogo che offre loro la possibilità di sopravvivere pagando però un caro prezzo. Agbogbloshie è infatti considerato uno dei dieci luoghi più inquinati della terra, dove l’aria è irrespirabile e la terra e il mare raggiungono livelli di concentrazione di metalli pesanti di decine di volte il limite consentito.

Qui la gente vive costantemente con disturbi respiratori dovuti alle esalazioni. Ma non solo. Le condizioni igieniche sono precarie e le persone sono costrette a vivere in abitazioni costruite con rottami e telai dei frigoriferi. Una vera e propria città costruita con gli scheletri degli elettrodomestrici. I bambini nascono in quest’ambiente, privo di qualsiasi prospettiva. Chi si ferisce, e in questo posto è facile che accada, può solo sperare che non sia nulla di grave. Non esiste nessun ospedale e nessuna clinica se non a molti chilometri di distanza. E se si ha la fortuna di raggiungerli bisogna pagare parecchio per farsi curare. Il che, per gli abitanti di Agbogbloshie, è praticamente impossibile. Nonostante i rischi per la salute dei cittadini, sembra esserci la totale mancanza di volontà della politica di far fronte alla crisi.

Ma c’è anche chi ce l’ha fatta, come Alhassan Ibn Abdallah. Anche lui era uno dei tanti ragazzi che lavoravano ad Agbogbloshie, ma dopo anni di sacrifici, è riuscito a risparmiare i soldi per andare all’università, e ora cerca di aiutare i bambini che vivono nella discarica, pagando loro gli studi grazie alle donazioni di una Ong. Ora, inoltre, si sta impegnando politicamente per migliorare le condizioni degli abitanti di Agbogbloshie.

I rischi non riguardano solamente la capitale del Ghana ma anche tutto il mondo. Come ci spiega Sampson, infatti, le particelle inquinanti che finiscono nell’aria e nel mare possono viaggiare qualsiasi distanza fino ad arrivare qui, magari nel pesce che abbiamo nel piatto.

È ovvio che questa situazione non avrà mai fine se l’Occidente non inizierà a mettere freno al consumismo sfrenato, che, come abbiamo visto, non rappresenta un problema solamente per il Continente nero. Ma anche per noi. Come ci ricorda Fiifi Koomson: “L’Occidente dovrebbe preoccuparsi dell’inquinamento in Africa perché siamo tutti cittadini del mondo”.

Fotografie di Stefano Stranges