Testo

MALA TERRA
Mala terra
Questo reportage è stato realizzato da due vincitori della Newsroom Academy di fotografia di Ivo Saglietti
“Nella mia famiglia eravamo fortunati, vivevamo in una sola stanza come tanti gelesi, ma non avevamo il mulo da tenere dentro casa la notte. Papà era carpentiere e aveva una motocicletta. Era con l’odore della benzina che ci si addormentava”. Franco Infurna racconta così il suo incontro con gli idrocarburi. Ha lavorato dal 1970 al 2000 all’Eni, che allora si chiamava Anic Gela. Giornalista appassionato, attualmente all’Ansa, ci racconta la “sua” Gela come testimone privilegiato, ma ci avverte di un suo impegno improrogabile: badare al nipotino. Nonostante i quasi 70 anni di industrializzazione, a Gela, le tante amministrazioni comunali non hanno mai realizzato un asilo nido e i nonni sono figure socialmente insostituibili.

“Negli anni Cinquanta si scopre il petrolio in questo tratto di mare nel sud della Sicilia, antistante un popoloso villaggio agricolo di 50mila abitanti in cui inizia una trasformazione che attira l’interesse dei media. L’industrializzazione ha portato benefici e problemi ma chi ha sbagliato deve pagare e chi ha inquinato il territorio deve provvedere al risanamento”. Negli anni, l’interesse mediatico su Gela è cambiato e pure la sensibilità verso i temi ambientali. L’inquinamento, l’incidenza tumorale e le malformazioni diventano l’oggetto di dibattito e nuove polemiche con epicentro Gela e la sua imponente raffineria.
“Una raffineria non è una fabbrica di cioccolatini. Si tratta di una struttura estremamente complessa. Era la struttura più all’avanguardia negli anni Sessanta, vi si produceva tutto quello che la petrolchimica dell’epoca sfornava per sostenere lo sviluppo di un’Italia in pieno boom economico”. Chi ci parla è Rosario Catalano, tecnico Enimed e neo-eletto segretario della sezione di Caltanissetta del sindacato. Per questo suo doppio ruolo parla con una certa libertà e competenza. Ci spiega nel dettaglio alcuni elementi su cui raramente ci si sofferma. “Vede, quando si tratta di petrolio, di giacimenti sottomarini, di raffinazione, permane sempre una certa area di incertezza. Le procedure di funzionamento, per quanto studiate nei minimi dettagli, non possono essere considerate esenti da eventi imprevedibili”, ci dice seduto di fronte a noi con alle sue spalle una fotografia storica con la gigantesca “fiaccola” del periodo del funzionamento a pieno regime dello stabilimento.

Scorgendo il nostro sguardo incuriosito su uno dei simboli gelesi ormai scomparsi, racconta: “Qualora si verificava un pericolo per lo stabilimento, che avrebbe potuto portare a incidenti di ben più grave portata estendendosi all’abitato, si era autorizzati a bruciare in fiaccola o sversare nelle vasche con conseguenze sia per l’atmosfera sia per il mare. Erano le leggi del tempo e l’azienda ha sempre operato secondo le norme vigenti”.

I risultati di uno studio rimasto unico del 2009 certificarono la presenza di inquinanti presenti ben al di sopra dei limiti medi nazionali. Come noto tale documento è stato uno di quelli alla base di un’azione collettiva di risarcimento danni contro l’Eni e risoltasi con un rigetto da parte del Tribunale civile di Gela per “mancanza di nesso causale” tra la presenza degli inquinanti e le malformazioni. Le normative sempre più stringenti in materia emissiva hanno portato a una dismissione prima del settore chimico e poi, dal 2009, della raffinazione, come buona parte del comparto europeo colpito dalla crisi.

L’attuale sindaco, Lucio Greco, avvocato con un passato di impegno civico e ambientale ci spiega la complessità del problema gelese. A ogni cambio di governo regionale e nazionale bisogna ricominciare ad affrontare i problemi: uno dei suoi primi atti è stato di avviare i bandi per avere a disposizione figure qualificate nella gestione del delicato lavoro ambientale. L’attività dello stabilimento si è avvalsa, nel corso dei decenni, di aziende dell’indotto che hanno offerto servizi non gestiti direttamente dalla multinazionale italiana.

È sull’Eni che si sono concentrate le attività di controllo, in special modo dal 2006, anno in cui le competenze della Guardia Costiera vengono estese all’entroterra. Al comando il maresciallo maggiore Salvatore Orami. “Le nostre attività sono divenute stringenti e possiamo aver accelerato la decisione di ridurre e poi arrestare l’attività. L’impianto marciava a circa 2.5 mln di barili di raffinazione al giorno ma nell’ultimo periodo i volumi erano quasi raddoppiati, probabilmente per compensare la perdita degli altri comparti ormai dismessi. Questo può aver acuito la frequenza di incidenti che, in una raffineria, non sono mai del tutto scongiurabili. Ci sono stati, come la cronaca ha riportato, incidenti rilevanti e mortali. Il vero problema è quello che ha lasciato l’attività in termini di inquinamento che forse non si eliminerà mai. Il problema della falda resterà. Ogni tanto arrivano le televisioni, fanno lo scoop ma poi finisce tutto lì”.

Di tutti i filoni processuali in cui sono stato circa una cinquantina di volte convocato come testimone, a oggi resta solo ed esclusivamente quello per il “Disastro ambientale”. Su tale materia è l’avvocato Dionisio Nastasi Parte civile per il comune nella causa di disastro ambientale. “Ancora non sono stati escussi tutti i testimoni. Come parte processuale non posso esprimermi ma Il processo di disastro ambientale mira ad accertare le responsabilità per l’ecosistema e da la possibilità al territorio di potersi riscattare che può chiedere il risarcimento del danno. Non è solo la responsabilità penale il nodo ma capire e accertare se c’è stata un’alterazione dell’ecosistema. In questo caso va ripristinata la salubrità dell’ambiente. Ma nel caso di Gela sarà molto difficile e serviranno forse secoli”.

Si tratta di studi transdisciplinari piuttosto complessi. Il processo è iniziato nel 2009. I dettagli del processo non possono essere discussi in questa fase per il corretto rispetto dell’iter giudiziario. Tuttavia si potrebbe prevedere una sentenza nell’arco di alcuni anni. Il riavvio della raffineria ha portato inoltre un nuovo corso alla storica divisione tra gelesi.

Il nostro lavoro di girare intorno allo stabilimento è pressoché terminato, per avere un quadro completo sarebbe necessario il confronto con la multinazionale italiana. Giornali e raffinerie non hanno sempre avuto un dialogo facile. Basti pensare che il più grande critico di Enrico Mattei fu un tale Indro Montanelli, dalle colonne del Corriere della Sera. Ma da alcuni anni, il dialogo e il confronto sembrano divenuti più semplici. Walter Rizzi, presidente della Raffineria di Gela, ci invita a visitare lo stabilimento. Sappiamo che Eni sta portando avanti l’iniziativa Energie Aperte che, consentendo l’accesso ai propri siti italiani, ha inaugurato un nuovo corso nelle relazioni con il territorio e la stampa.

Non ci nasconde che questo percorso di crescita e apertura, oggetto di confronto e condivisione interna, ha consentito all’azienda di evolversi e valutare positivamente questo nuovo modo di porsi anche alla luce dei risultati dell’iniziativa. Nella sala riunioni dove ci incontriamo permane una certa tensione iniziale. Gela è da decenni al centro di un acceso dibattito e le nostre domande vertono proprio sulla situazione delle bonifiche e il riavvio della bio-raffineria. In altri tempi e contesti forse ci saremmo dovuti accontentare di una laconica nota, come per altri servizi giornalistici. La situazione di oggi è differente. Ditte Jull-Joergensen, direttore generale dell’Ener, ha visitato lo stabilimento ieri. Il tema dei biocombustibili sta entrando nelle agende di diversi Paesi europei. Il tema della conversione in biorefinery è quanto mai attuale.
Rizzi è diretto: “L’Eni è qui da 70 anni. Si è creato un legame, una coesione sociale importante che andava mantenuta. Una parte della popolazione si oppose alla chiusura definitiva dello stabilimento prevista per il 2009. Sono stati anni difficili in cui si è messo in discussione tutto il comparto petrolifero. La volontà di rimanere ha fatto scongiurare la chiusura. Abbiamo avviato il progetto di conversione della Raffineria di Gela a ciclo tradizionale in bioraffineria investendo circa 500 milioni di euro, una conversione industriale in cui pochi credevano. Ma è stata una scelta lungimirante che cercava di tenere conto anche dell’aspetto sociale della nostra presenza qui”.


“Per cui se si abbattono i livelli emissivi anche con azioni che possiamo definire transitorie verso un mondo del trasporto di massa più pulito, ben venga. La domanda è: riesco ad avere un trasporto di massa più pulito nel giro di dieci anni? Tecnicamente difficile. Il Saf abbatte del 60% le emissioni, è un percorso transitivo alternativo, il problema è il costo di produzione: questo carburante è prodotto dagli scarti delle piante e degli olii e le quantità disponibili non sono sufficienti rispetto alle necessità del settore. Ma anche per questo Eni sta sviluppando la filiera agricola per la coltivazione di piante che non incidano né sulla produzione tradizionale di colture alimentari né sulle risorse forestali, ma su terreni abbandonati o molto degradati o semi aridi di alcuni Paesi africani”.
Domandiamo le ragioni di tale onerosità. “Il bio sta diventando competitivo per diverse ragioni: certamente l’aumento della domanda delle materie prime ma anche i costi dell’intero ciclo produttivo. Oggi stiamo lavorando ad un progetto di sviluppo di idrogeno verde, un altro grande mondo, con un impianto che sarà realizzato all’interno della bio raffineria. Nel processo chimico meccanico abbiamo bisogno dell’idrogeno che si fa col gas metano. Qualche mese fa siamo stati al limite dell’economicità perché utilizzavamo tonnellate di metano, che ci servivano per fare tonnellate di idrogeno, che ci servono per fare tonnellate di bio; e il metano era arrivato a costare più dell’intero processo. Oggi la situazione si è normalizzata, anche se sul tema della transizione ci sono aspetti da valutare. Ad esempio, la produzione di idrogeno comporta l’utilizzo di un grande quantitativo di acqua demineralizzata che va fatta o trovata”.

Ed ecco che si comprende la banalizzazione di certe proteste che vorrebbero semplicizzare il problema della conversione senza tenere conto dell’effettivo processo tecnico, oltre che dei possibili costi economici e sociali. Chiediamo ulteriori spiegazioni.
“Sul mercato del petrolio una contrazione avverrà prima o dopo: oggi il consumo a livello mondiale si attesta sui 90 milioni di barili al giorno ma le previsioni stimano 110 milioni per il 2040 per i mercati emergenti, secondo le agenzie internazionali. Come Eni a Gela ci siamo e vogliamo restare! Dall’altra parte va detto che questo è un grande laboratorio a 360 gradi”.
Si possono restituire i terreni all’agricoltura? “Ni. Dopo 60 anni di attività di un petrolchimico, possiamo recuperarlo per coltivare dei semi che assorbono il cadmio che servono poi per fare olio e fare il biodiesel. Ma l’aranceto no! Quello si può fare in tutti i terreni della campagna gelese che sono numerosi e disponibili”.

Però, osserviamo, il bacino della Ruhr, in Germania, è diventato un parco. “Ma era carbonifero non un petrolchimico, qui si facevano i fertilizzanti, la pubblicità del Moplen la ricorda? Si produceva qui. Si è tenuto un convegno sulla rigenerazione del territorio qui un anno fa alla presenza del direttore generale del Ministero dell’ambiente. Noi abbiamo un cronoprogramma fino al 2029 per demolire a tutti gli impianti dismessi, in coerenza anche agli accordi del 2014 e 2019. I terreni, una volta terminate le attività di bonifica , saranno pronti ad essere altrimenti utilizzati. All’interno di questi perimetri noi siamo favorevoli a cedere il diritto di superficie dei terreni a condizioni estremamente vantaggiose a qualsiasi Azienda per attività diverse, non vorremmo solo aziende di indotto o energia”.

“A me fa piacere sentire ancora dire ‘c’è mamma Eni’, ma bisogna diversificare. Sì, il ‘dual flag’: si cresce insieme. Ci integriamo con il territorio e contribuiamo a sostenere lo sviluppo socioeconomico locale ma il nostro è un compito industriale e abbiamo degli azionisti di riferimento, tra cui uno importante, lo Stato, ai quali rendere conto. Questo è il nostro perimetro di azione”.
Parlando delle aree chiediamo lo stato delle bonifiche. È il dottor Montella a prendere la parola come Program Manager Sicilia e Calabria di Eni Rewind: “Qui a Gela stiamo realizzando una importante trasformazione ambientale caratterizzata da interventi di messa in sicurezza e bonifiche avviati sin dagli anni Novanta, il cui dettaglio è disponibile su internet“.

“In primis con la costruzione dell’impianto di trattamento delle acque per la bonifica della falda, di cui al progetto di bonifica approvato dagli enti nel 2004, e successive varianti del 2014 e 2021, attivo dal 2007,e che gestisce le acque di circa 120 pozzi di emungimento con una portata massima impianto 300 m3/ora. Il sistema implementato risulta efficace nella rimozione della contaminazione e nel suo contenimento all’interno della nostra area, senza esportazione all’esterno. In coerenza con l’evoluzione e la complessità del quadro ambientale, al fine di ottimizzare la bonifica, abbiamo implementato altre tecnologie come ad es. l’e-hyrec, un dispositivo brevettato da Eni che effettua una estrazione più selettiva della contaminazione idrocarburica, minimizzando l’estrazione di acqua e garantendo una bonifica più veloce. Il livello di prodotto in fase separata, infatti, si è ridotto negli ultimi anni a tracce o veli. Inoltre, per quanto riguarda il parametro arsenico, stiamo sperimentando in area Texaco, la tecnologia del Groundwater Circulation Wells, che crea nella matrice satura un effetto “lavatrice”, garantendo la massimizzazione dell’estrazione di contaminante”.

“Per quanto riguarda i suoli invece si evidenzia che tutte le aree del sito sono state impattate da attività ambientali. C’è circa il 35 % delle aree che non contempla interventi perché non necessari, come previsto dall’Analisi di Rischio approvata dagli Enti; aree in cui sono stati completati interventi di bonifica; aree con diverse attività in corso come da progetti decretati, e circa 20 ettari, sui quali stiamo attendendo per iniziare i lavori la conclusione dell’iter istruttorio in capo al Ministero. Nell’ambito delle attività di demolizione da valorizzare anche il fatto che molte parti, come i materiali ferrosi, vengono recuperati, oltre 10mila tonnellate finora”.
“Per quanto concerne le demolizioni dei vecchi impianti della raffineria, sono in corso di completamento quelle programmate per la prima fase dal Protocollo d’Intesa siglato nel 2019 con l’allora ministero dell’Ambiente e si sta avviando la seconda fase, da concludere entro il 2029. In particolare, Eni Rewind ha ultimato le demolizioni degli impianti legati alla raffinazione che oggi non sono più in uso, come il camino dello Snox e la vecchia Torcia che era alta 150 metri, che hanno modificato lo skyline della città”.
“Entro il 2023 si completeranno le demolizioni delle caldaie dell’ex centrale termoelettrica G100 e G200 e saranno avviati i lavori per la demolizione del camino quadricanne, Saranno, inoltre, avviati gli interventi per l’impianto acido solforico e frazionamento aria. Si tratta di interventi molto complessi dal punto di vista della gestione operativa e della sicurezza dei lavoratori, anche per la vicinanza di impianti in esercizio, con la conseguente necessità di applicare tecnologie specifiche”.

Abbiamo sentito spesso dire che avete bonificato solo quello che vi serviva, domandiamo. “La politica delle porte aperte, ci viene risposto, serve proprio per sfatare i miti e le leggende metropolitane e chi vuole può venire a verificare l’avanzamento dei lavori di persona”.
Ci salutiamo all’ingresso dello stabilimento con un arrivederci. Durante il tragitto di quasi due ore che ci riporterà a Catania rileggo un passo dell’intervista al comandante Orami: “Io vorrei che anche i miei figli tornassero a lavorare a Gela e non mi dispiacerebbe che almeno uno di loro lavorasse alla raffineria, oggi con queste condizioni. Un tempo non lo avrei mai detto, quando vi entrai io da ragazzo in visita dissi: ‘qui dentro non lavorerei mai’, l’odore delle benzine era terribile. Oggi il discorso è cambiato e si potrebbe verificare l’evenienza di lavorarci io stesso se potessi tornare indietro”.
No, indietro non si torna. Si narra che Mattei, uomo forte e carismatico, avrebbe impresso un diverso impulso nei rapporti tra l’Eni e Gela. Molti gelesi che lo ricordano, si sono sentiti orfani dalla scomparsa del padre della multinazionale italiana. Mi tornano in mente, allora, le parole di Karl Barth:
TRASPARENZA
Questo reportage è stato realizzato con il sostegno dei lettori. Qui di seguito tutte le ricevute delle spese sostenute dal reporter