
La baia dei pescatori
Questo reportage è tra i vincitori del corso di fotografia della Newsroom Academy con Ivo Saglietti.
È l’alba di un piovoso autunno nella piccola baia a 15 chilometri dal capoluogo sardo. Le case sono ormai vuote, salvo quelle dei residenti che aumentano di anno in anno a causa del costo degli alloggi nei centri urbani. La maggior parte sono seconde case al mare da utilizzare nei mesi estivi o da dare in affitto a turisti italiani e stranieri, prevalentemente tedeschi, che cercano un turismo non chiassoso e adatto alle famiglie con bambini. Qui, tra la spiaggia e un tratto di mare dal fondo sassoso, c’è un piatto promontorio che divide due morfologie marine diverse e che costituiscono un buon habitat per i pesci. Tutte cose che devono aver pensato anche i romani che, tra il II e il IV sec. d.C., costruirono un insediamento ittico con approdo per le barche e, pare, una itticoltura, le cui rovine sono ancora in vista sfidando l’erosione dei flutti marini.

A secoli di distanza, uno sparuto gruppo di pescatori ormeggia le proprie barche in questo angolo di mare. Un tempo non lontano, la pesca veniva fatta con le caratteristiche barche in legno col fondo piatto o “chiattino” dette “su ciu” in lingua sarda. Oggi minuscoli scafi in vetroresina di poco valore e facilmente riparabili hanno soppiantato quasi del tutto le barche della tradizione. La vita del pescatore non è invece cambiata molto. È una vita dura, senza soste se non quelle dettate dal meteo avverso. Non si diventa pescatori per caso: spesso mestiere e passione si ereditano come nel caso di Valentino, uno dei protagonisti di questa storia.

Cinquant’anni, tanti lavori alle spalle come dipendente o collaboratore nelle attività più disparate: garzone di ferramenta, saldatore in cantiere, responsabile di sala in un night club. Poi il passare degli anni e il carattere non hanno più lasciato molto spazio per un lavoro subordinato. Ed ecco che il mestiere che chi vive qui ha sempre visto svolgere su questo angolino di mare diventa un modo per sbarcare il lunario, insieme con i tanti piccoli lavori che nel corso di una vita si è imparato a fare.

Ma il reddito di cittadinanza? Viene da chiedergli: “Non mi va di prendere soldi per non fare niente; se mi danno qualcosa da fare li prendo, altrimenti non è giusto: i soldi bisogna guadagnarseli”. In una frase tutta la fierezza e l’orgoglio di chi ha molto chiaro il proprio ruolo nella società. Chi vuole guadagnarsi da vivere con le proprie mani non condivide proprio la complessità della burocrazia applicata da chi: “Ha comunque lo stipendio assicurato e un ufficio caldo in cui lavorare”. E stupisce che una regione con appena 1.579.181 abitanti e con 1.897 km di coste – le più estese di una regione italiana – si sia dotata di norme che equiparano la pesca costiera individuale all’attività professionale, senza peraltro rilasciare nuove licenze. Nonostante una pandemia che ha messo in ginocchio un’economia già in fase terminale e l’apparire all’orizzonte una nuova crisi mondiale, nessuna forza politica sembra considerare la possibilità di estendere i limiti esigui per cui nemmeno i residenti possono procacciarsi i mezzi di sussistenza dal mare. Agricoltura, raccolta e pesca sono, spesso, l’extrema ratio per sopravvivere, in un Paese dove lo stato sociale è spesso assente. Ed è la stessa politica che permette il riavvio delle centrali a carbone e che consente lo scempio ambientale dei parchi eolici offshore con danni all’ecosistema che non si può nemmeno prevedere.

Come durante il lockdown quando dei solerti tutori dell’ordine e dalla salute pubblica cercano di convincerlo che non può stare solo in mezzo al mare “perché è pericoloso per la sua salute”. Certo c’è il Covid, ma bisogna pure mangiare qualcosa e un pesce risolve sempre un pasto. I pesci si pescano, e i pani? Per quelli basta fare un baratto con qualche donna che ancora qui usa il forno a legna, fino a che qualche burocrate non vieterà pure questa usanza millenaria ancora largamente diffusa. La legna per la stufa si recupera da qualche terreno da pulire, qualche lavoretto qua e là quando Giove pluvio e Nettuno non ne vogliono sapere di stare buoni. In realtà la pioggia obbliga più che altro a svuotare le barche per non farle affondare ma non è un impedimento reale alla pesca. Diverso il mare agitato che, con barche di stazza poco superiore a un guscio di noce, rende impossibile o quasi le operazioni in mare. “Ma se hai gettato le reti devi comunque issarle o le perdi”, ci ricorda Valentino che spesso recupera anche quelle di altri pescatori non esperti come lui.
La vita di Valentino è questa. Diverse compagne ma nessuna moglie; i figli non sono arrivati “ma di certo gli avrei insegnato il mio mestiere e i miei valori. Basta venire in mare per impararli. Il mare non fa sconti, serve solidarietà” anche se si è a poche centinaia di metri dalla riva. “La scorsa vigilia di Natale ho passato tutta la notte in mare, ho soccorso due sprovveduti che avevano deciso di prendere qualche pesce per il pranzo. Le cime del rimorchio si sono spezzate tante volte col mare in burrasca. Quando sono tornato a casa, all’alba, avevo un principio di congelamento, ho impiegato giorni per riprendermi. Se ti ammali non mangi, è meglio guarire sempre in fretta”.

E il futuro? E se succede qualcosa? “Io vivo adesso e giorno per giorno, domani si vedrà”. Sarebbe del tutto inutile a questo punto chiedere se una vita come questa sia giusta o ingiusta, se sarebbe potuta essere diversa, magari facendo altre scelte: “Queste sono domande per i filosofi, ognuno faccia il proprio mestiere: il mio è fare il pescatore”.