
Viaggio nella comunità intono alla RWM Italia
Il futuro (dis)armato del Sulcis
L’autore del reportage è tra i vincitori del corso di giornalismo di reportage della Newsroom Academy
Scherza? “Alla RWM non entrerà di sicuro, non le rilasceranno alcuna intervista tantomeno scattare fotografie”. La RWM Italia è off limits, tranne che per chi ci lavora. Sulcis, sud-ovest Sardegna, una delle aree economicamente più depresse d’Italia. Un inarrestabile effetto domino sta falcidiando, qui, un’economia già allo stremo. Durante un reportage sulla decarbonizzazione, parlando con alcuni dei tanti ex operai vittime di questa crisi, ho chiesto informazioni su questa azienda al centro di diverse polemiche. Perché RWM Italia non è una fabbrica come le altre. È una delle circa 70 aziende italiane impegnata nella produzione di armamenti e spesso oggetto di biasimo ed esecrazione dalla stampa internazionale e locale. Sita nei comuni di Domusnovas e Iglesias, nasce dall’acquisizione, nel 2010, del ramo d’azienda dei prodotti per la Difesa dalla SEI Esplosivi da parte del Gruppo tedesco Rheinmetall, che ne detiene l’intero capitale.

L’attività di questa azienda ha subito un forte rallentamento. Il locale “Comitato di riconversione della RWM”, che raggruppa circa 20 diverse associazioni, ha partecipato all’azione della rete che ha esercitato forti pressioni in parlamento. Lo scorso anno grazie al suo instancabile attivismo, è stato raggiunto un fondamentale traguardo: la revoca definitiva (dopo 18 mesi di sospensione) delle licenze all’esportazione della RWM di bombe d’aereo verso Arabia Saudita e Emirati Arabi, che rappresentava una buona fetta della produzione. Inoltre le loro denunce e segnalazioni hanno fatto sospendere le autorizzazioni all’ampliamento dell’area di produzione. Il loro intento è la conversione di questa azienda a produzioni civili.

I loro portavoce, Cinzia Guaita e Arnaldo Scarpa, spiegano le loro argomentazioni, già note e diffuse attraverso servizi e documentari tutti reperibili in rete. Il “sussulto etico” che ha originato e che anima la loro attività dal 2017, è la scoperta dell’utilizzo di forniture italiane di bombe per aerei da combattimento a Riad. Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e altri Paesi si sono costituiti come coalizione a seguito, nel 2015, della risoluzione ONU n° 2216. Quella che, nelle intenzioni, doveva essere una breve operazione di sostegno al governo dello Yemen contro i ribelli Houthi, si è trasformata in una lunghissima guerra civile dagli esiti ben noti, anche a causa del sostegno dell’Iran alla fazione ribelle. La revoca delle licenze verso l’Arabia non ha arrestato la produzione alla RWM Italia che continua la fornitura di armi ad altri Paesi, tra cui Nato e Ue.

L’invasione russa dell’Ucraina, inoltre, ha fornito la spinta per estesi programmi di riarmo. “È una sfumatura a chi siano destinate le armi. L’Italia non può ne deve fornire armi a nessuna nazione belligerante”, ci dice Arnaldo, professore di informatica in un liceo di Iglesias. “Le aziende di armamenti devono cessare tutta la loro attività o non si raggiungerà mai la pace”. Anche Cinzia è professoressa di liceo, insegna lettere e storia. Sull’invio di armi all’Ucraina, per quanto nazione aggredita, conferma che sia un errore: “Non c’è un fondamento giuridico, non fa parte della Nato né della Ue. Noi sorvegliamo sui processi: nel 2001 sembrava che fossero tutti d’accordo per evitare la conversione al bellico dell’allora SEI. È stato detto che c’è una guerra mondiale in corso combattuta a pezzi; noi riteniamo che anche la pace possa essere costruita a pezzi. Disarmiamo il nostro territorio per disarmare il mondo”. All’unisono confermano che le questioni internazionali sono certamente complesse ma appannaggio della politica che si dimostra incapace di interrompere e invertire i processi che portano ai conflitti. Arnaldo afferma che “il Comitato è comunque contro la produzione di armi” e, completa Cinzia, “perché la produzione è una causa della guerra”.

La politica locale si trova al centro del dibattito. La Sindaca di Domusnovas, Isangela Mascia, ha già rilasciato interviste in merito e conferma la sua posizione: “L’azienda fornisce occupazione a un Paese che continuerebbe un inesorabile spopolamento. Domusnovas non è l’unico centro di produzione di armi al mondo. Hanno autorizzazioni e permessi concessi a livelli molto più alti di quella che può essere la politica locale. I nostri controlli sono rigorosi. I cittadini di Domusnovas non amano certo la guerra ma difficilmente troverà persone che ritengono la chiusura o la conversione dell’azienda come percorribili nell’attuale situazione”. Non aderisce alle proteste NIMBY (termine inglese che indica le proteste di una comunità locale contro l’installazione di strutture sul proprio territorio), tanto di moda oggi in Italia. In merito alle vicende giudiziarie sul rilascio delle concessioni, oggi oggetto di un procedimento giudiziario attribuibile alla precedente amministrazione, attende fiduciosa l’opera della magistratura. Il sindaco di Iglesias, Mauro Usai, ha rifiutato di rilasciare qualunque dichiarazione.

Ci sarebbero diverse voci da verificare e interrogativi sospesi. Tentiamo di avere risposte direttamente dall’azienda e il suo amministratore delegato, l’ing. Fabio Sgarzi. Su di lui poche notizie, rare le interviste, le sue ultime apparizioni risalgono alle audizioni in Commissione Difesa della Camera, in merito proprio alle conseguenze sull’azienda causate dalla revoca delle licenze di esportazione.
“Venga in azienda venerdì, l’ing. Sgarzi la incontrerà personalmente”. Percorro una deserta strada provinciale 89 nella brulla campagna arroventata dal sole cocente. Dopo una breve attesa e le rigorose verifiche di sicurezza ci incontriamo in una sobria sala riunioni. Fabio Sgarzi è solo, nonostante fossi stato informato della presenza anche dell’addetto stampa. “Facciamo due chiacchiere prima da soli” esordisce.

Anni di polemiche e accuse perché ha deciso di rispondere alla mia richiesta di intervistarla? La sua risposta è diretta: “Lei è uno dei pochi che ce lo abbia chiesto”. Rimango sorpreso, ma non troppo in fondo. Una semplice email, la mia, con l’elenco degli argomenti e delle fotografie da realizzare. In aziende di questo settore, anche a causa della pressione mediatica, è necessario fornire ampie garanzie di riservatezza. L’anonimato dei clienti e dei contratti per ragioni di sicurezza; i dettagli dei processi di produzione per la protezione della proprietà industriale; ma, soprattutto, la privacy delle persone che vi lavorano, spesso oggetto di attacchi personali. È sufficiente leggere alcune recensioni “poco pacifiche” su Google per capirlo. Ogni passo sarò accompagnato dal responsabile della sicurezza, che supervisionerà tutto il materiale raccolto. “Ma si potrà ugualmente rendere conto di quale sia il volto di questa azienda”, prosegue Sgarzi, mentre mi accompagna di persona a visitare il compound.
“Qui si producono corpi bomba stupidi, mine marine, cariche di controminamento, teste in guerre per missili e siluri, oltre che a varie tipologie di munizionamento. Oltre a manufatti riempiti di esplosivo, ne produciamo anche a esclusivo uso addestrativo caricati con materiali inerti aventi le stesse caratteristiche di peso e bilanciamento. Il processo produttivo si fonda sull’elevata specializzazione del personale, che lavora con altissimi livelli di precisione, per garantire la qualità e tutelare la sicurezza. Produciamo un’ampia varietà di corpi bomba, con varie tipologie di esplosivo, ma in particolare in PBXN-109. Chiunque abbia un minimo di competenze in materia, sa che manufatti come le bombe possiedono un’elevata sicurezza intrinseca durante lo stoccaggio, il trasporto e il loro uso: esse detonano solo quando innescate dalle spolette. Esse vengono montate solo prima di essere agganciate all’aereo. Noi non le produciamo, sono acquistate e poi installate direttamente dall’utilizzatore finale”.

Assistiamo integralmente al processo di produzione per ottenere l’esplosivo di tipo PBX attorno al quale si è poggiata la vicenda processuale, che dura dal 2019, relativa all’obbligo di procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). È l’ing. Sgarzi che ci illustra le fasi. Poi precisa: “Alla fine del 2021 il Consiglio di Stato, senza richiedere ulteriori relazioni tecnico-scientifiche, ha ribaltato la sentenza del TAR della Sardegna, che invece traeva le sue conclusioni proprio da una CTU, e ha determinato che in questo stabilimento c’è un ‘impianto chimico integrato di sostanze per la fabbricazione di esplosivi’”.
Rientrati negli uffici proseguiamo l’intervista. Pur non essendo un esperto dal punto di vista tecnico devo ammettere che alcune delle informazioni che avevo raccolto dalla rete e attraverso una narrazione quasi sempre senza contradditorio, mi paiono non del tutto esatte. Chiedo chiarimenti. Senza violare i vincoli di segretezza e confidenzialità cerchiamo di capire da chi e come vengono impiegati i manufatti esplosivi che abbiamo visto. Sono le bombe d’aereo i prodotti si cui ci soffermiamo maggiormente. Sono munizioni di caduta utilizzati sui vari velivoli di produzione USA (F-16, F18, F35) ed europea (Tornado, Mirage, Eurofighter, Rafale, Gripen).

La produzione principale dei corpi bomba per l’F35 è negli Usa, l’Italia è il secondo fornitore qualificato. “Esistono poi altri produttori di bombe nel mondo. Come per i ricambi delle automobili anche in questo settore esiste la “concorrenza” di prodotti meno costosi, ma non altrettanto performanti e sicuri: sono prodotti in Brasile, Spagna, Turchia, Pakistan, Corea del Sud. Con i bilanci dei paesi Nato incrementati sulle spese militari, qui saremmo in grado di partecipare alla ricostituzione di riserve strategiche. Come sa l’Alleanza atlantica impone che le nazioni abbiano sufficienti armamenti per garantire la sicurezza. I nuovi membri, come Svezia e Finlandia ad esempio, devono aumentare la sicurezza della struttura difensiva”. Tradotto significa che dovranno portare “in dote” un sufficiente arsenale militare. “Vi è un’ipocrisia miope di una parte della politica italiana quando si parla di Difesa. L’Italia è parte di molti consorzi che producono aerei militari come il Tornado, l’Eurofighter e l’F35, ma è la sola che, insieme agli americani, produce per essi anche le bombe”.

“La nazione che acquista i velivoli per parecchi miliardi di Euro, come l’Arabia Saudita, si attende di acquistare anche il munizionamento adatto. Se lei fosse il cliente, cosa penserebbe di un Paese che, dopo aver avuto ingenti profitti per la vendita degli aerei, revocasse le licenze per le munizioni e solo per quelle? Anche se la Farnesina ha cercato di minimizzare, la realtà è che si è rotto un importante rapporto fiduciario tra i due Paesi e molte aziende italiane sono state danneggiate dalla situazione”. È noto che le relazioni tra Italia e Arabia Saudita ed Emirati Arabi abbiano toccato il minimo storico nel periodo successivo alla revoca delle licenze di esportazione della RWM. La Repubblica scriveva di una “missione diplomatica quasi disperata” quella del ministro Di Maio, nel 2021, per evitare il boicottaggio delle aziende italiane a seguito dell’embargo deciso dal governo Conte.

La RWM, a causa di quanto avvenuto, ha subito ingenti danni e a farne le spese sono stati oltre 200 lavoratori che non hanno potuto mantenere il posto. “Mi permetta una precisazione – continua l’ing. Sgarzi – l’Arabia Saudita acquista da questo stabilimento dal 1995 quando la proprietà era della SEI e ha continuato a farlo per 25 anni”. “I contratti però non si rimpiazzano velocemente ed è stato conseguente il calo della produzione col relativo ridimensionamento del personale”. L’azienda precisa che, nonostante questo, sia riuscita, grazie ad altri contratti, a mantenere un livello occupazionale che attinge in buona misura dal mercato interinale. Questa, talvolta, è stata una critica verso l’azienda da parte del Comitato e delle altre associazioni. Sgarzi ci risponde: “Alla flessibilità siamo costretti. Spendiamo molto più che assumerli direttamente, il personale per lavorare qui deve essere formato e lo facciamo a spese nostre”.
“Purtroppo non ci sono molte alternative per garantire la sopravvivenza dell’azienda, se si continuano a trattare le nostre attività produttive come sacrificabili sull’altare del consenso politico a breve. RWM Italia è una società italiana, paga le tasse in Italia, reinveste tutti gli utili qui senza aver mai distribuito dividendi all’azionista tedesco. Vorremmo essere trattati con maggior dignità e correttezza e non essere strumentalizzati e sacrificati senza neanche un segno di fattiva compensazione verso l’azienda e i lavoratori”.

L’ing. Sgarzi non è isolano. I sardi, invece, conoscono bene questo atteggiamento e non possono non nutrire il sospetto che questa azienda, tutto sommato piccola rispetto a colossi come Leonardo-Finmeccanica, sia una pedina sacrificabile in una politica che, fino alla crisi russo-ucraina, sembrava impegnata in una continua passerella pacifista. Pocos, locos y mal unidos, recita una descrizione lapidaria del popolo sardo da parte dei vecchi dominatori spagnoli. Questo rende più agevole forme di colonizzazione industriale – ora è il turno dei parchi eolici – che causano spesso scempio paesaggistico lasciando “cattedrali nel deserto” quando cessano gli interessi. Anche in questo caso ci sono precise responsabilità della politica locale e nazionale.