Una proposta a suo modo rivoluzionaria quella che arriva dal Patriarca ortodosso ecumenico Bartolomeo I, ovvero quella per arrivare a far sì che cattolici e ortodossi festeggino la Pasqua nella stessa data.
Il Concilio di Nicea e la data della Pasqua
L’impegno viene portato avanti in vista dell’anniversario del Concilio di Nicea (325) che arriverà fra tre anni. Quel Concilio, ha dichiarato il Patriarca a Vatican News, “è stato molto importante per fissare il contenuto della nostra fede cristiana, ma anche per fissare la data della Pasqua, come e quando debba essere celebrata. Purtroppo non la celebriamo insieme da molti anni, da molti secoli”. Il Patriarca, nel quadro di questo anniversario, ha dichiarato che la Pasqua sarà oggetto degli sforzi condivisi con Papa Francesco.
Nicea, il primo dei concili ecumenici della storia, si tenne nel maggio-giugno del 325 per volontà dell’imperatore Costantino. Vi parteciparono più di duecento vescovi, in maggioranza orientali. Nicea servì a fissare alcuni punti saldi dell’ortodossia cristiana: condannò, ad esempio, l’eresia di Ario, proclamando il Figlio consustanziale al Padre, ma soprattutto fissò la celebrazione della Pasqua dopo l’equinozio di primavera (uso romano-alessandrino). Sebbene le due fedi celebrino entrambe, nella stessa festa, la Resurrezione di Cristo, la Pasqua ortodossa e quella cattolica hanno ogni anno, date differenti. Questo perché la prima si basa sul calendario giuliano, e non quello gregoriano.
Lo scisma del 2018 e la guerra in Ucraina
Fin qui, la questione, nonché la proposta, potrebbe apparire meramente dottrinale se non addirittura di lana caprina. Tuttavia, un progetto che (ri)avvicini così tanto il cristianesimo cattolico a una delle tante teste della Chiesa ortodossa, in questo preciso momento storico, ha un valore estremamente politico. Negli scorsi mesi, infatti, Bartolomeo non ha risparmiato alcuna critica a ciò che sta accadendo in Ucraina e vi è ritornato anche nelle ultime ore: “Abbiamo sempre condannato questa guerra che non si non condannare. Io ho parlato contro il presidente russo Vladimir Putin e contro mio ‘fratello’ Kirill che purtroppo sta benedicendo questa guerra fin dall’inizio”. Tra Bartolomeo che cerca di rafforzare la dimensione internazionale di una Chiesa ortodossa greca sempre più indipendente dal riferimento storico ad Atene, e un Kirill padre spirituale di Putin, Costantinopoli ha scelto l’inaccettabilità di una giustificazione teologica a una guerra di aggressione.
Il Patriarca di Costantinopoli, che rappresenta diverse chiese autocefale del mondo ortodosso, parla della guerra in Europa dal suo quartier generale, il Patriarcato Ecumenico che si trova al Phanar di Istanbul, una cittadella dove si trova la residenza dello stesso Patriarca, la chiesa ortodossa, gli uffici, l’archivio. Il rilancio dell’iniziativa politica ed ecumenica di Bartolomeo si inquadra soprattutto nello scisma verificatosi nel mondo ortodosso quattro anni fa. Un precedente simile riporta indietro alla querelle del 1996 sulla giurisdizione canonica sull’Estonia, che fu tuttavia risolto in tempi da record.
Nell’ottobre 2018 ha avuto infatti inizio il divorzio tra la Chiesa ortodossa russa e il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, quando la prima ha interrotto unilateralmente la piena comunione con il secondo in risposta a una decisione del Santo Sinodo del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli che confermava la propria intenzione di concedere l’autocefalia alla Chiesa ortodossa in Ucraina.
Un atto più che religioso dopo i fatti del 2014. La decisione stabiliva anche che il Santo Sinodo avrebbe immediatamente concesso una serie di autonomie e dirette dipendenze da: fu ristabilito un organismo ecclesiastico subordinato direttamente al Patriarca ecumenico a Kiev nonché revocata l’autorizzazione del 1686 che aveva concesso al patriarca di Mosca di ordinare il metropolita di Kiev.
Bartolomeo “il visionario”
In carica dal 1991, Bartolomeo I è una figura complessa in un caleidoscopio e acefalo come quello del mondo ortodosso. Tra i suoi principali obiettivi vi sono stati la ricostruzione delle chiese ortodosse sovietiche nonché il rafforzamento dei legami sia tra queste con le altre fedi. La sua è una comunità minuscola, un’enclave cristiana in un lago islamico. Ha assistito all’esodo di cristiani dalla sua terra, ma ha saputo ricostruire il dialogo con le Chiese orientali ma soprattutto con le autorità turche nel post-Guerra Fredda. Del resto, Bartolomeo, nato nel 1940 nell’isola di Imbros, sotto controllo turco, ha visto la popolazione della sua isola e le attività economiche dei residenti cristiani strozzate dalla tracotanza turca. Eppure, da abile tessitore politico (“un visionario”, lo ha definito il suo biografo) è riuscito conquistarsi un piccolo lago di autorità nella Turchia re-islamizzata forzosamente.
Le buone relazioni con lo stato turco hanno permesso a Bartolomeo di godere di una libertà d’iniziativa negata a diversi suoi predecessori: ha potuto celebrare liturgia in luoghi di memoria cristiani prima vietati al culto, ha potuto restaurare centocinquanta chiese ed edifici in rovina appartenenti al patriarcato ed è riuscito a far ottenere la cittadinanza turca a membri del sinodo patriarcale provenienti da stati esteri (cosa rilevante per garantire una degna successione patriarcale, in quanto solo col passaporto turco si può essere eletti).
A Bartolomeo si devono interessanti iniziative ecumeniche: è riuscito ad organizzare per la prima volta nella storia un concilio pan-ortodosso (a Creta, nel 2016), dopo lo scisma del 1054. Dapprima ha costituito un’assemblea di primati, poi ha fatto in modo che fosse presente la maggior parte dei patriarchi ortodossi. In quell’occasione non ha potuto evitare che, a Concilio già convocato, il patriarca di Mosca, cui appartiene la metà degli ortodossi nel mondo, annunciasse la sua assenza. Nel corso degli anni ha saputo costruirsi un’immagine cosmopolita e à la page, occupandosi di temi contemporanei come profughi e ambiente.
Il significato della mossa di Bartolomeo
Tuttavia, il contesto nel quale arriva la mano tesa di Bartolomeo non può essere ignorato. Il conflitto in Ucraina, infatti, ha alienato a molti le simpatie per la Chiesa russa, della quale Kirill è rappresentante. Del resto, la Chiesa di Mosca da anni si è mostrata connivente con il regime di Putin del quale si è fatta complice nonché humus culturale del neozarismo. Il Patriarcato conosce bene questa frattura, dovendo subire da secoli la hybris della sorella maggiore di tutte le Chiese ortodosse. E sebbene si sia posto sempre come un uomo di pace e dialogo, la mano tesa verso Roma-su una questione meramente liturgica-può avere una valenza più che simbolica in opposizione al divisivo Kirill.
Potrebbe trattarsi del momentum storico per il sinodo di Costantinopoli, che potrebbe ambire a realizzare un ricompattamento cristiano contro l’”eresia di Mosca”. Un passo che porterebbe il patriarcato fuori dall’isolamento e dalle pastoie che indubbiamente legano i suoi destini a quelli della Turchia.
Allo stesso tempo, Bartolomeo non può trascurare le aspirazioni da ago della bilancia di Ankara, all’interno della vicenda ucraina. Potrebbe trattarsi di un’altra finestra storica entro la quale rinegoziare le proprie credenziali in una Turchia che, tra le altre cose, viaggia verso le elezioni del prossimo anno. Un ottimo crocevia del tempo per potenziare l’enclave cristiana in un’area pressoché totalmente musulmana.