“Nel mondo milioni di cristiani continuano a vivere emarginati, in povertà, ma soprattutto discriminati e in pericolo. Dopo due anni di pandemia vogliamo tenere acceso un faro su questa oppressione e aiutare Aiuto alla Chiesa che Soffre Onlus a portare conforto e sostegno ai fedeli di tutto il mondo: in particolare coloro che vivono in Libano, Siria e India“
Nella prima metà del 2012 la Siria ha avuto la percezione di essere un Paese in guerra. L’inizio del conflitto viene formalmente identificato con l’inizio delle manifestazioni a Dara’a, nel marzo del 2011, ma in realtà i combattimenti ad alta intensità hanno avuto luogo a partire dall’anno successivo. Uno dei primi elementi che ha fatto percepire ai cristiani di essere in guerra ha riguardato la chiusura delle scuole in molte parti del Paese. Era impossibile, con lo sfaldamento iniziale dell’esercito e con la perdita del controllo di vaste aree del territorio da parte del governo, garantire l’istruzione. Ma dopo un decennio, sia per una guerra mai conclusa e sia per condizioni economiche falcidiate dalle sanzioni, molte scuole non sono state riaperte. Un allarme rilanciato anche dalle missioni cristiane presenti sul territorio.
Siria, l’istruzione negata
Durante la battaglia di Aleppo, andata avanti dal 2012 al 2016, gli abitanti avevano un unico obiettivo: sopravvivere. La città, una vera e propria capitale economica della Siria e una metropoli di 2 milioni di abitanti diventata nel tempo riferimento sociale e culturale del nord del Paese, ha vissuto per quattro anni divisa, frammentata e con lo spettro quotidiano di bombardamenti. I quartieri orientali per diverso tempo sono stati occupati da gruppi di ribelli in realtà formati in gran parte da sigle jihadiste in alcuni casi anche straniere. Gli abitanti di queste zone hanno temuto per diversi anni i bombardamenti dell’aviazione siriana e russa durante i tentativi di estromissione dei terroristi dalla città. Chi invece viveva nei quartieri rimasti in mano al governo, ha subito il bombardamento degli ordigni lanciati dai gruppi islamisti. Quando si usciva di casa, a prescindere dalla zona in cui ci si trovava, ogni abitante temeva di finire vittima delle bombe. In un contesto del genere organizzare l’istruzione è stato impossibile. Per quattro lunghi anni una città come Aleppo ha avuto poche scuole aperte e gran parte degli istituti di formazione chiusi. Anche perché molti degli edifici scolastici sono andati distrutti durante i combattimenti.
Beneficiario: Aiuto alla Chiesa che Soffre ONLUS
Causale: EROGAZIONE LIBERALE – ILGIORNALE PER I CRISTIANI CHE SOFFRONO
IBAN: IT23H0306909606100000077352
BIC/SWIFT: BCITITMM
Per altre informazioni puoi consultare la scheda del progetto
Vale per Aleppo, ma questo discorso può riguardare anche Homs, Raqqa (ex “capitale” dello Stato Islamico), Deir Ezzor e la stessa Damasco, in parte occupata fino al 2018 da gruppi radicali. Lì dove in Siria è arrivata la guerra l’istruzione è stata tra le prime vere vittime. Oggi, tra le principali città e tra le città capoluogo, soltanto Idlib non è tornata in mano al governo. Eppure organizzare un’adeguata istruzione è ancora molto complicato. La guerra sta continuando e questo vuol dire che Damasco deve usare ancora molti fondi per finanziarla. Le sanzioni poi fanno il resto. Con il commercio bloccato, il governo ha pochi soldi da destinare alla ricostruzione, compresa quella delle scuole. Molti edifici sono inagibili o inadatti ad ospitare gli studenti.
Il peso delle sanzioni
Il ruolo negativo delle sanzioni non si esaurisce soltanto nella mancanza di soldi per finanziare la riapertura delle scuole. L’economia al collasso della Siria, ulteriormente danneggiata poi dalla pandemia, sta imponendo a molti ragazzi e a molte ragazze di cercare lavoretti ed espedienti per portare qualcosa a casa. Molti di loro, pur in presenza di nuovi edifici, non avrebbero scelta: dovrebbero lavorare invece che andare a scuola. A lanciare questo allarme è stato nei giorni scorsi, come riportato da VaticanNews, l’arcivescovo greco cattolico di Homs Jean Abdo Arbach: “Cosa potrà fare da grande un bambino se non ha accesso all’educazione? È molto pericoloso”, ha tuonato. Dalla sede dell’arcivescovado, Arbach ha fatto presente quella che è la situazione ad Homs e in molte città siriane. Manca di tutto sia a livello infrastrutturale che lavorativo. Per i cristiani la sfida è duplice: si tratta di contribuire a ricucire il tessuto sociale siriano e cercare di far tornare quanti più fedeli possibile dopo la fuga di migliaia di famiglie a causa del conflitto. Per farlo provare a ridare l’istruzione a una generazione intera privata dalla possibilità di andare a scuola è forse il primo e decisivo passo.
Le missioni cristiane
É stato lo stesso vescovo di Homs a ricordare l’importanza che hanno molte delle missioni attualmente impegnate in Siria: “Come vescovi e servitori di Dio – ha dichiarato – dobbiamo lavorare con le istituzioni caritative come Aiuto alla Chiesa che soffre, l’Oeuvre d’Orient e tutti gli altri organismi per rafforzare e radicare la nostra presenza, il nostro diritto, la nostra dignità di cittadini nel nostro Paese e nella nostra terra”. Aiuto alla Chiesa che Soffre recentemente ha lanciato una campagna per aiutare i cristiani di Siria e Libano. Fondi destinati a dare una speranza a chi vive nella bolgia siriana. L’obiettivo è ricostruire chiese e luoghi di aggregazione.
Ogni luogo di culto recuperato vuol dire non solo far tornare i cristiani, ma creare anche un ambiente a disposizione di tutti per ridare quei servizi tolti dalla guerra, compresa l’istruzione. In Siria in questo momento anche un semplice oratorio in più potrebbe voler significare per centinaia di ragazzi, cristiani e non, riavere un angolo in cui studiare, socializzare e riprendere la normalità. Sono molte le missioni cristiane nel Paese che curano proprio questo aspetto e che provano a rimettere in piedi, con le proprie forze, i servizi di istruzione. Da Aleppo ad Homs, passando per Damasco e altre aree dove la povertà e le sanzioni fanno più terrore della guerra. Sono al momento preti, suore e missionari a tenere in vita l’istruzione. Nella speranza un giorno che la Siria possa riappropriarsi definitivamente della propria normalità.