“Allah akbar”. Dio è grande. Due parole che nel mondo occidentale si sono legate a stragi, bombe, decapitazioni e a tutto il campionario di barbarie a cui ci ha abituati il terrorismo di stampo islamico nelle ultime due decadi. Abbiamo sentito gridare “Allah akbar” a Grozny, la capitale della Cecenia martirizzata da due guerre, ed in Bosnia, prima ancora lo abbiamo sentito in Afghanistan quando i “talebani” – che allora non si chiamavano così – combattevano i sovietici, poi in occasione dell’11 settembre, a Beslan, in Iraq, Siria e Libia in bocca prima ai miliziani di al-Qaeda e poi dell’Isis.
“Allah akbar”. Due parole che sono diventate sinonimo di terrore e che nell’immaginario collettivo dell’uomo occidentale evocano immagini sanguinose e generano un sentimento di “rabbia e orgoglio”.
“Allah akbar” però sono parole di pace e felicità. “Dio è grande” viene usato dai musulmani non solo durante la preghiera ma anche per esprimere la propria gioia, ma una gioia che non deriva dall’uccisione di un essere umano come siamo abituati a vedere nei filmati dell’Isis o in quelli di al-Qaeda. Per gli stessi musulmani l’utilizzo di queste parole in quelle occasioni è considerato aberrante: si sentono defraudati e offesi da una minoranza che uccide in nome della loro religione. “Allah è pace”, questo pensano i musulmani, ed uccidere nel suo nome è sbagliato.
Allora cosa sta succedendo nell’Islam? Perché, come si è soliti dire, non tutti i musulmani sono terroristi ma tutti (o quasi) i terroristi oggi sono musulmani?
Per capirlo occorre uscire da facili schemi e pensare che l’Islam non è un blocco monolitico ed unitario e che al suo interno esistono diverse confessioni anche oltre la divisione tra sciiti e sunniti che, nella storia, ha causato più morti che in tutti gli attentati in occidente. Occorre uscire dal meccanismo mentale della “reductio ad unum” e pensare che siamo davanti – ed in mezzo – ad una guerra di religione tra una parte del mondo musulmano ed il resto dell’Islam. Perché all’interno dell’Islam, così come esistono divisioni all’interno del mondo cristiano, ci sono diverse dottrine (e correnti): salafismo, hanbalismo, wahabismo, sufismo, alawismo, ismailismo sono solo alcuni dei nomi più noti. Quando si parla di Islam, quindi, è necessario specificare di quale dottrina si stia parlando, se sciismo o sunnismo, e a sua volta di quale corrente.
Cosa sta succedendo quindi nel mondo musulmano?
Stiamo vivendo una nuova era del (quasi) eterno conflitto tra sciiti e sunniti con degli Stati nazionali che sovvenzionano questa o quella corrente. Secondo chi scrive il problema nasce dal desiderio di espansione del wahabismo e del salafismo di origine saudita che è matrice ideologica di al-Qaeda e dell’Isis nonché del terrorismo ceceno e balcanico. Ormai è assodato che questi gruppi terroristici siano stati sovvenzionati tramite denaro privato raccolto attraverso le “decime” della religione islamica ed incanalato nelle tasche dei miliziani attraverso finte organizzazioni caritatevoli e per mezzo di banche islamiche, tutte organizzazioni che hanno la propria sede logistica in Arabia Saudita ma non solo. Oltre a Riad, che si calcola abbia stanziato sino ad oggi 100 miliardi di euro per diffondere il wahabismo nel mondo, anche altre petromonarchie del Golfo sono sede di flussi di denaro che finiscono nelle casse dei terroristi. La destabilizzazione della Siria, ad esempio, è partita da agitatori che avevano sede nel “pacifico” Kuwait, col quale moltissimi Paesi occidentali fanno affari anche di tipo militare; anche l’Italia, ad esempio, ha recentemente ricevuto una commessa per la vendita di 28 caccia Typhoon al piccolo emirato del Golfo.
Non solo. Anche all’interno del mondo sunnita esistono profonde fratture che portano ad attentati e a veri e propri scontri diplomatici tra le cancellerie del Medio Oriente: esiste una divisione netta, infatti, tra i Fratelli Musulmani, quelli che hanno fomentato le rivolte il nord Africa tra Egitto e Tunisia, ed il wahabismo integralista che, come abbiamo visto, è matrice ideologica (e finanziaria) di Isis e al-Qaeda.
Pertanto le stesse petromonarchie del Golfo si sono trovate divise nel supporto al terrorismo, con l’Arabia Saudita a sostenere l’Isis e le sue diramazioni ed il Qatar, ad esempio, a sostenere i Fratelli Musulmani. Doha infatti, durante le Primavere Arabe, ha sostenuto la Fratellanza in Egitto con circa 400 milioni di dollari e ne ha promessi 10 miliardi una volta che la situazione si fosse normalizzata, ma sappiamo tutti com’è andata a finire: al-Sisi, laico, è al potere e per tutta risposta Il Cairo ha immediatamente condannato Doha per il suo supporto al terrorismo fiancheggiando, altra strana alleanza, Riad e Abu Dhabi. Meno strano è vedere l’Egitto insieme agli Emirati Arabi Uniti, in considerazione del fatto che le due nazioni stanno aiutando il generale Haftar in Libia ad avere ragione delle milizie islamiche (e di quelle del Governo di Unità Nazionale). Questa è anche la chiave di lettura per la condanna del Qatar quale “stato terrorista” da parte di Riad in occasione della visita del Presidente Trump e dell’inaugurazione del Global Center for Combating Extremist Ideology. In quel particolare frangente la Casa Bianca aveva espressamente indicato – per la prima volta – quali fossero le nazioni finanziatrici del terrorismo internazionale (Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Oman, Bahrein, EAU) ed immediatamente Riad, di comune accordo col Kuwait, si è affrettata ad indicare nel Qatar l’agnello sacrificale, con poco successo peraltro, visto l’ingresso a piè pari dell’Iran e della Turchia a sostegno di Doha.
Quello che stiamo vivendo in occidente è solo il riflesso, peraltro pallido se paragonato al numero di morti causati dal terrorismo negli stessi Paesi islamici, di un conflitto interno all’Islam che sta coinvolgendo non solo gli adepti delle diverse confessioni ma anche gli stessi Governi che sono attori di primo piano in questa contesa.
Pertanto ridurre e trattare la questione del terrorismo islamico come se fosse un unico problema legato all’Islam in sé risulta fuorviante e non risolverà mai il problema: per sconfiggere il terrorismo l’unica mossa vincente è quella di slegarsi dalle petromonarchie del Golfo e costringerle così, con l’isolamento, a far cessare quell’enorme flusso di denaro che finisce nelle casse dei salafiti e wahabiti che combattono nelle fila dell’Isis o di al-Qaeda, ma finché non ci sarà un progetto unitario e organico che vada in questo senso in Europa e nel mondo, coinvolgendo quindi la Russia, gli Usa e la Cina che fanno affari (anche lauti) con questi Paesi, il problema rimbalzerà come una palla impazzita da un Paese del Medio Oriente ad un altro, da una regione dell’Africa ad un’altra.