Il Nicaragua di Daniel Ortega non cessa di stringere le maglie sulla Chiesa cattolica, indicandola come la principale fonte di opposizione al regime sandinista. Nell’ultimo quinquennio, dopo una faticosa fase di riappacificazione lungo lo scorso decennio, la Chiesa è stata indicata dal governo di estrema sinistra dell’ex guerrigliero come il punto di riferimento che maggiormente proteggeva i protestanti e i dimostranti che cercavano rifugio tra abbazie, scuole confessionali, luoghi di culto.
I Santi “chiusi in Chiesa” da Ortega
Pasqua ha segnato un nuovo punto negativo per le condizioni della Chiesa nel Paese. La dittatura socialista ha stretto le maglie sulla libertà religiosa. Una mossa passata sotto traccia nei media occidentali e di cui in Italia ha parlato con grande attenzione una testata certamente non sospettabile di simpatie confessionali come Il Manifesto. Ortega ha vietato la Via Crucis del Venerdì Santo, ogni celebrazione pubblica fuori dalle Chiese negli altri giorni del periodo pasquale, le manifestazioni pubbliche della Domenica della Resurrezione e complessivamente, con il suo governo, oltre 3mila manifestazioni nei quaranta giorni della Quaresima nella capitale Managua e in tutto il Paese.
Ortega, ha scritto Il Manifesto, ha “rinchiuso i Santi in Chiesa”: “Un vero e proprio assedio” quello che ha visto poliziotti e soldati perquisire i luoghi di culto e fermare le manifestazioni abusive “sotto la regia della “papessa”, come qualcuno chiama laggiù Rosario Murillo, vicepresidente nonché moglie di Ortega”. Desiderosa di trasformare la Chiesa cattolica “in una sorta di chiesa patriottica di regime. Proprio lei che aveva coniato fin dal 2007 lo slogan di un Nicaragua cristiano, socialista e solidale”.
Perché la Chiesa è sotto attacco
Il Nicaragua sandinista figlio di quell’ondata anti-dittatoriale degli anni Ottanta che vide la Chiesa protagonista in tutta l’America Latina con l’epopea della Teologia della Liberazione va alla guerra con il mondo cattolico che rappresenta l’unico contropotere nel Paese. Il vero timore di Ortega era la possibilità che omelie pubbliche e manifestazioni chiedessero la liberazione degli undici sacerdoti detenuti per reati politici nel Paese e soprattutto del simbolo della resistenza della Chiesa al regime, Monsignor Rolando Álvarez, condannato a 26 anni di carcere per “tradimento alla patria”. Dopo che a marzo il Vaticano ha chiuso per protesta l’ambasciata a Managua, la persecuzione si è amplificata.
La Chiesa cattolica resiste come unica alternativa ai sandinisti. Dopo che nel 2018 Ortega aveva imposto un giro di vite sulle politiche sociali, aumentato le tasse, ridotto i benefit e aumentato il fardello economico in un Paese in perenne crisi sulle generazioni più giovani, la violenta protesta degli studenti e dei sindacati ha avviato la deriva autoritaria del Paese. Le stime sui morti da aprile a luglio 2018 variano da un minimo di 328 a un massimo di 568.
Allora si creò un fronte coeso contro il duo Ortega-Murillo: alla Chiesa si aggiungevano i sindacati, le associazioni imprenditoriali, gli insegnanti, le sigle universitarie.
Repressione senza fine
La repressione ha colpito duramente soprattutto gli studenti; nel frattempo, ricorda il Financial Times, “la comunità imprenditoriale è stata intimidita e costretta al silenzio dopo aver espresso sostegno ai manifestanti antigovernativi nel 2018. I leader del Cosep, la principale organizzazione imprenditoriale, sono stati imprigionati. Il regime ha chiuso più di 3mila Ong e costretto 54 media a chiudere”.
Resta la Chiesa, ultima istituzione emancipatrice, accusata da Ortega di essere un’istituzione dittatoriale e di voler sovvertire in nome del legame con l’Occidente il regime. E dimentico del sostegno dato da preti, suore e istituti religiosi alla resistenza dei guerriglieri contro l’odiosa dittatura di Augusto Somoza ai tempi della rivolta, Ortega sceglie il confronto diretto. Non c’è spazio per nessuna alternativa al suo regime familistico in un Paese ove i diritti di ogni tipo sono messi a rischio. E in cui la Pasqua negata è solo l’ultimo di una serie di abusi del regime contro il suo stesso popolo.