Arriva dall’altra parte dell’oceano la notizia della morte di padre Juan Heraldo Viroche, della parrocchia di Ntra. Sra. Del Valle de La Florida, a Tucumàn. Il parroco 46enne è stato trovato senza vita nella sua abitazione, a 70 km dalla capitale argentina di Buenos Aires.Anche se le dinamiche della morte di padre Juan sono ancora avvolte nel mistero e le prime ricostruzioni sembrano convergere sull’ipotesi del suicidio, basta scavare nel passato e negli appunti del sacerdote per intuire che la soluzione potrebbe esser un’altra.Il sacerdote Juan Heraldo Viroche, come raccontano le numerose testimonianze fornite da amici e parrocchiani, in questi anni ha ripetutamente denunciato la criminalità organizzata e l’avanzamento del traffico di stupefacenti nel tentativo di contrastare la crescente “messicanizzazione”, come la definì a febbraio scorso Papa Francesco, dell’Argentina.Il gesto più eclatante arriva nel novembre del 2015, quando – nel corso di una messa celebrata all’aperto – padre Viroche sfida cartelli della droga e boss locali con la sua predica. Da quel giorno inizia un calvario fatto di furti e minacce che spingono il sacerdote a chiedere all’arcivescovo di Tucumán, monsignor Alfredo Zecca, il trasferimento. “Non sono profeta di calamità però le cose si stanno mettendo molto male”, aveva predetto il prete poco prima della fine. Il tempo a sua disposizione è agli sgoccioli e s’interrompe così, bruscamente, nella camera da letto dove viene ritrovato senza vita.LEGGI ANCHE: Il dramma dei cristiani palestinesiAnche le parole della Commissione Episcopale per la pastorale per la droga-dipendenza sembrano suggerire agli inquirenti la stessa pista: “Padre Juan era conosciuto perché spendeva la vita contro il traffico di droga, ha parlato chiaramente all’interno e all’esterno della sua comunità, per difendere la vita in pericolo”. La Commissione ha confermato che “padre Viroche, ai suoi più stretti collaboratori, aveva espresso profondo dolore per le minacce ricevute dalle mafie della droga”.La storia di padre Juan non può non esser letta in combinazione con quella di padre José Alfredo Lopez Guillem, padre Alejo Naborì e padre Josè Alfredo Jimenez. I tre sacerdoti sequestrati ed uccisi lo scorso settembre nel Messico orientale. Anche dietro ai loro delitti, ancora irrisolti, s’intravede la firma del crimine organizzato. Nella violenta affermazione dei gruppi criminali sulle piazze della droga, così come per il controllo del traffico di uomini e di altri racket, ogni pietra d’inciampo viene sistematicamente rimossa.LEGGI ANCHE: “In atto un genocidio di cristiani”Questo spietato sistema di epurazione vede anche i preti, con le loro infaticabili attività benefiche, nel mirino. Anzi, proprio nell’incorruttibilità di questi uomini, nuovi e sempre più spregiudicati trafficanti vedono un pericoloso ostacolo al loro disegno egemonico. Mentre, troppo spesso, le autorità locali chiudono un occhio. Anche due.Se il Messico è stato incoronato dal Centro cattolico multimedia “Paese più pericoloso” dell’America Latina dove esercitare il ministero sacerdotale, come testimonia la tragica fine di padre Juan, il fenomeno sta assumendo i contorni di una guerra aperta tra la Chiesa e il crimine organizzato che non conosce confini.I Paesi in cui i cristiani sono perseguitati sono molti, non solo in Siria. Vogliamo andare laddove i cristiani sono oggetto di violenza solo per la loro fede. E per farlo abbiamo bisogno di TE.SOSTIENI IL REPORTAGE QUI
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