Emmanuel Macron ha chiesto a Papa Francesco di mediare per la pace in Ucraina sentendo direttamente la Russia e il governo di Kiev. E Bergoglio avrebbe dato un assenso di massima a promuovere un dialogo per cui, da tempo, si batte apertamente. Questo, perlomeno, è quanto riferiscono fonti dell’Agenzia Nova che commentano le parole del titolare dell’Eliseo in un’intervista a Le Point.

L’asse Macron-Bergoglio

Macron ha affermato di aver chiesto al Pontefice di sentire telefonicamente i presidenti degli Stati Uniti e della Russia, Joe Biden e Vladimir Putin, per favorire l’avvio di un processo di pace in Ucraina. La missione romana dell’inquilino dell’Eliseo lo ha portato a confrontarsi sia con il Papa che con la Comunità di Sant’Egidio in una discussione a tutto campo sul futuro dell’Europa. Macron da tempo è il leader che più attivamente si batte per porre fine al massacro a Est, conscio che da esso dipende non solo una minaccia all’ordine globale ma anche una precarizzazione della posizione globale di Parigi.

Unendo i puntini si delinea un triangolo tra Vaticano, Francia e, in prospettiva, Germania con obiettivo l’Ucraina. Un mese fa Francesco ha richiamato dal Kazakistan a una fine della guerra e, soprattutto, a un nuovo spirito di convivenza europea ispirata al modello di Helsinki; Francesco ha richiamato alla necessità di costruire la “casa comune europea” invocata da Mikhail Gorbaciov e si trovava nella capitale kazaka Nur Sultan mentre ivi passava anche il leader cinese Xi Jinping; più recente è la constatazione franco-tedesca di una crisi nei rapporti bilaterali attorno a cui si è costruito un programma di sintonia europeo negli ultimi anni e l’attestazione della necessità di un reset sostenuta dal Ministro dell’Economia Bruno Le Maire. Parigi e Berlino si rendono conto che l’asse è in crisi, principalmente, per l’Ucraina e la ri-atlantizzazione dell’Europa, che va contro la comune volontà di porre freno alle dinamiche conflittuali.

Il Papa sa che per il suo obiettivo di distensione globale e per il sostegno del Vaticano alla transizione verso un sistema multipolare un ruolo attivo dell’Europa è fondamentale. Il Papa venuto dalla “fine del mondo”, strumentalizzato dai progressisti in passato e avversato da molti sovranisti come post-occidentale, è in realtà il leader più europeista, se non europeo, di tutti. L’unico, assieme allo stesso Macron, ad avere contezza della gravità della situazione creata dalla crisi in Ucraina.

E non a caso tra tutti gli interlocutori possibili il Presidente francese ha scelto proprio il Papa, a cui ha scelto di presentarsi in visita in rappresentanza del ruolo onorifico di membro del capitolo di San Giovanni in Laterano, regina delle basiliche della cattolicità, che spetta per diritto al capo di Stato francese dalla fine del Cinquecento.

Francesco e l’Ucraina come Giovanni XXIII e Cuba

In quest’ottica qui, però, solo il Vaticano ha la forza politica e morale per promuovere un dialogo oltre ogni barriera. La Santa Sede non vuole sottostare a pressioni esterne e da tempo ha una linea chiara, espressa sia da Francesco che dal Segretario di Stato Pietro Parolin: sì al riconoscimento della Russia come aggressore, no alla crociata contro il popolo guidato da Vladimir Putin, pressione su Kiev per la ragionevolezza politica. “Non dimentichiamo di pregare, di continuare con la preghiera per la martoriata Ucraina. Il Signore protegga quella gente e ci porti tutti sulla strada di una pace duratura”, ha detto Papa Francesco il 26 ottobre in udienza generale.

Nella manifestazione per la pace di Sant’Egidio, il 25 ottobre, Francesco ha aggiunto di ritenere particolarmente grave il fatto che si sia ventilato l’uso di armi atomiche, capaci di portare il mondo su quella “frontiera dell’Apocalisse” che tra i suoi predecessori Giovanni XXIII esplorò mediando tra Usa e Unione Sovietica ai tempi della Crisi dei Missili di Cuba.

E come Papa Roncalli, anche Bergoglio sa che mai quanto ora il compito di Vaticano è di dare piena applicazione all’enciclica Pacem in Terris: invocare la diplomazia dei costruttori di pace facendo appello, oltre ogni barriera politica, sociale e religiosa, agli “uomini di buona volontà”.

La strategia della mediazione

“La volontà del Vaticano è di organizzare questi negoziati a stretto giro, per non perdere l’occasione e per evitare un potenziale cambiamento degli scenari sul terreno che complicherebbe qualsiasi attività di mediazione”, riporta Agenzia Nova. Il Generale Inverno, in quest’ottica, lavora per il Pontefice: la stagione autunnale e invernale si preannuncia destinata a portare con sé uno stallo delle operazioni militari che rischiano di condurre a una grave crisi politica se non si sfrutterà la finestra per ridare parola alla diplomazia. La sensazione, in questa fase del conflitto, “è che la diplomazia stia agendo dietro le quinte e il lungo colloquio di papa Francesco con Macron sembrerebbe confermare tale scenario”. Ma l’Oltretevere sarebbe, in tal senso, disposto alla massima cautela e vorrebbe muoversi come apripista dell’Europa agendo, però, in una prima fase in totale autonomia.

Lo schema sarebbe questo: una mediazione vaticana di sondaggio, senza intermediari, tanto a Kiev quanto a Mosca, seguito da dialoghi diretti tra Usa e Russia da un lato e tra Mosca e Kiev dall’altro, entrambi con l’intermediazione vaticana, a cui far seguire un coinvolgimento europeo per un nuovo concetto securitario. Un’opportunità importante per l’Europa, che vede nella potenza diplomatica del Vaticano una sponda ma ovviamente sa che la Santa Sede non può togliergli le castagne dal fuoco.

Il Papa, parafrasando Josif Stalin, “non ha divisioni” e può agire solo in virtù di un riconosciuto credito morale e della credibilità globale di cui gode. Ma la politica a tutto campo dovrà farsi strada. E in quest’ottica la “dottrina Bergoglio” per la pace è più europea che occidentale, vede le nazioni prima che le grandi organizzazioni internazionali come punti di riferimento, si gioca sulla moral suasion. La carta cinese è quella che il Vaticano, dedito al pieno dialogo con Pechino, tiene di riserva per pressare la Russia.

Il magistero del Papa, un’opportunità per l’Italia

Quello di Papa Francesco, e Macron se ne è reso conto, può essere un importante magistero politico. E della sua importanza anche per l’Italia l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte ne ha parlato in un’intervista ad Avvenire formulando una sua proposta concreta su come muoversi verso una soluzione di pace: “Pace”, ha detto Conte, “non può essere una parola associata alla debolezza. E le parole di papa Francesco non indeboliscono certo la comunità internazionale”, anzi. Per Conte “l’Europa deve farsi promotrice di una conferenza internazionale di pace, da svolgersi in sede europea sotto l’egida delle Nazioni Unite, con il pieno coinvolgimento del Vaticano”. Uno scenario che sembra anticipare molte mosse dell’Oltretevere e che potrebbe coinvolgere anche il nuovo governo di Giorgia Meloni.

L’onorevole romana, che ha a lungo individuato nell’atlantismo il suo riferimento cardine, ha chiaramente ribadito il sostegno all’Ucraina contro l’aggressione russa nel suo discorso inaugurale. Ma questo non toglie che ci sia spazio per originalità politica e dialogo. L’Italia ha tutto l’interesse a una de-escalation: “in rappresentanza dell’Italia la Meloni, stabilendo un forte rapporto con la Santa Sede, cercando interlocutori come Macron e la Merkel, può promuovere nell’Ue un’iniziativa di pace che finalmente restituisca all’Europa un peso politico, per scongiurare ai nostri popoli sofferenze pesanti e incubi atomici. Questo sì sarebbe vero europeismo. Una rinascita grande dell’Unione Europea”, ha notato un commentatore di peso della destra italiana come Antonio Socci su Libero.

Giorgia Meloni, poche ore prima del summit tra Macron e Francesco, ha visto il presidente francese a Trastevere nel suo primo bilaterale, per quanto informale, del suo nuovo governo. Nel suo discorso alla Camera, nella giornata del 25 ottobre, ha poi sottolineato come suoi riferimenti ideali diverse figure che richiamano a un attivo protagonismo italiano e europeo: San Benedetto, patrono d’Europa, ma anche Giovanni Paolo II, il pontefice simbolo di un’epoca che fronteggiò il comunismo ma fu anche aperto alla “Casa Comune” di Gorbaciov, e lo stesso Francesco. Per non parlare di Enrico Mattei, la cui lezione parla di sovranità e autonomia dell’Italia nel contesto globale. Un piano politico che oggi non può non passare per l’affrontare a livello collettivo le sfide comuni europee. Passanti anche per la ricerca di una via d’uscita alla crisi d’Ucraina e alle sue conseguenze in campo economico, politico, energetico. Una linea che non contrasta affatto con il sostegno attivo alla resistenza ucraina, una delle componenti per evitare che la pace a Kiev sia quella del cimitero, ipotesi respinta dallo stesso Parolin in un’intervista a Limes.

Dopo la Francia, dunque, anche l’Italia può e deve fare sforzi politici concreti a tutto campo per trovare una soluzione realistica al caos ucraino. Il moltiplicatore di potenza dato dalla relazione ombelicare col Vaticano può in quest’ottica esaltare il protagonismo di Roma. Il governo Meloni ha le prospettive e la necessità di tornare a pensare in grande. E il primo passo può essere proprio la sponda politica per fare del dialogo russo-ucraino mediato dal Vaticano un game-changer del conflitto. Consentendo a Roma di riprendere il sentiero per far da garante all’ingresso dell’Ucraina dopo la pace nell’Unione Europea per espandere a Est la proiezione del sistema-Paese. Contribuendo a riportare ordine e pace in Europa per permettere a tutte le nazioni di riprendere la via dello sviluppo.

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