Nel 70 d.C., con la distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dell’Impero romano, la limitata autonomia del popolo ebraico nella terra di Israele arrivò alla fine. A quel tempo, il numero di ebrei del mondo antico era compreso tra due e tre milioni, una percentuale notevole considerando che la popolazione totale era stimata in 70 milioni.

Francesco Cito, Israele, Gerusalemme,1988

Ma non tutti quegli ebrei vivevano nella terra di Israele. A partire dall’esilio babilonese del VI secolo a.C., gli ebrei iniziarono a insediarsi in tutto il bacino del Mediterraneo e anche a nord di esso. Nel I secolo d.C., metà del popolo ebraico viveva tranquillamente in diverse nazioni, in territori come l’odierno Iraq, l’Asia Minore, le isole greche, l’Egitto, la Libia e altre parti del Nord Africa. Gli ebrei vivevano perfino a Roma. Dopo la distruzione del Tempio, la dispersione degli ebrei subì un incremento. Ma molti furono in grado di preservare la loro identità sia religiosa che nazionale.

Il grande cambiamento avvenne nel periodo moderno, quando la civiltà musulmana iniziò a rimanere indietro rispetto agli sviluppi scientifici, economici e intellettuali dell’Occidente. E così, il centro della vita ebraica si spostò verso l’Europa, principalmente nella parte orientale, dove la popolazione ebraica crebbe significativamente. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale, i dati demografici avevano subito un’inversione: dei 18 milioni di ebrei nel mondo, il 90% viveva in Paesi cristiani, comprese le Americhe, e solo il 10% risiedeva in territori musulmani. Durante la Shoah, un terzo degli ebrei al mondo fu brutalmente assassinato nel corso del peggior genocidio della storia. Il massacro fu il risultato non di conflitti religiosi o territoriali, ma di un folle odio razziale, anche se gli ebrei non erano mai stati una razza separata. Fortunatamente, mezzo secolo prima dell’Olocausto, alcuni ebrei europei particolarmente perspicaci e sensibili – la maggior parte di loro con una mentalità completamente secolarizzata – furono in grado di prevedere la terribile tragedia che attendeva il popolo ebraico. Questi individui pieni di risorse lasciarono la futura trappola mortale rappresentata dall’Europa e tornarono alla fonte della loro identità sulla sponda orientale del Mar Mediterraneo, per rivendicare la loro antica patria ancestrale, la loro indipendenza e la loro sovranità.

Grazie a loro, all’indomani del genocidio nazista, non rimasero solamente musei e memoriali dedicati agli ebrei che avevano perso la vita. Infatti, lo Stato di Israele, fondato nel 1948, fu in grado di offrire rifugio ai sopravvissuti dell’Olocausto e oggi, sette decenni dopo, sei milioni e mezzo di ebrei, la metà della popolazione ebraica mondiale, vivono in libertà in Israele.

Ma la separazione dall’Europa rimase incompleta

L’identità della maggior parte degli ebrei che vennero nella terra di Israele prima della Shoah – compresi quelli che costruirono lo Stato di Israele – era profondamente legata alla civiltà europea e americana. I milioni di ebrei europei che riuscirono a emigrare in America prima della chiusura delle sue porte negli anni Venti si identificavano infatti come occidentali. Inoltre, il ritorno degli ebrei nella loro antica patria creò problemi alle comunità ebraiche che da secoli vivevano relativamente in pace nel mondo arabo. Con la fondazione di Israele in una parte della Palestina, e sulla scia della guerra portata avanti da sette Stati arabi, la maggior parte degli ebrei, per propria volontà o per costrizione, lasciò l’Iraq, la Siria, lo Yemen, il Libano, l’Egitto e il resto del Nord Africa. Questi ebrei orientali e mediterranei iniziarono, in modo ambivalente e non sempre con successo, ad adattarsi all’identità israeliana occidentalizzata.

La continua ostilità della maggior parte dei Paesi del Medio Oriente nei confronti di Israele, la sua grande dipendenza dagli Stati Uniti e il progresso della tecnologia moderna hanno reso Stato ebraico un tipico Paese occidentale, con cittadini che prendono come modello l’Europa occidentale e l’America, non il bacino del Mediterraneo. Ma non bisogna dimenticare che Israele è parte integrante del Mediterraneo, sia geograficamente che storicamente. Se Israele vuole assicurare la sua esistenza nella regione in cui è nato il popolo ebraico deve trovare un modo per rinnovare e approfondire la sua identità mediterranea e per assorbire elementi mediterranei – culturali, spirituali, storici ed economici – nella sua attuale identità occidentale. Questo sviluppo sarebbe un contributo fresco e creativo all’identità mediterranea collettiva dei vicini di Israele.

Gli israeliani devono interessarsi ai loro vicini

Ci sono quattro buone ragioni che motivano questa scelta. La prima ha a che fare con ciò che gli intellettuali sionisti – incluso il grande studioso della cabala Gershom Scholem – hanno definito “ritorno alla storia” e cioè la transizione sionista da un’identità ebraica mitica a un’identità israeliana storica. Durante i duemila anni di esilio, l’identità ebraica era basata su testi e miti che trascendevano il tempo e lo spazio. Gli ebrei si spostavano di luogo in luogo come una persona si sposta da un albergo all’altro. Come disse Hannah Arendt, gli ebrei erano “ovunque e da nessuna parte”, includendo se stessa in questa definizione. Gli ebrei consideravano le molte terre in cui vagavano, per scelta o poiché esiliati, come case temporanee. Aspettavano e pregavano in vista del giorno della redenzione quando, solo per un atto di Dio, sarebbero potuti tornare nella loro patria storica che, sorprendentemente, erano riusciti a evitare nel loro continuo peregrinare.
Il più delle volte, gli ebrei non avevano grande interesse per la storia delle nazioni in cui vivevano, ma si preoccupavano solamente delle questioni che riguardavano i loro diritti e le loro responsabilità come minoranze temporanee. La componente della «patria» nell’identità degli ebrei rimase debole, in modo da non competere con la forte ed esigente teologia che dominava la loro coscienza nazionale.

Perciò, il «ritorno alla storia» nella loro antica patria, con piena responsabilità verso tutti gli aspetti della vita e all’interno della comunità, impone agli israeliani di apportare un cambiamento fondamentale all’identità ebraica. Gli israeliani devono interessarsi sinceramente ai loro vicini geografici e devono imparare a conoscere i loro confini, la loro storia e le loro caratteristiche come popolazioni mediterranee. Se Israele come Stato sovrano continua a sviluppare la propria identità solamente attraverso il dialogo culturale e spirituale con l’Europa occidentale o la lontana America non sarà in grado di realizzare pienamente il “ritorno alla storia“, e corre il rischio di ritornare a una pericolosa mitologia religiosa. Ad esempio, la fantasiosa idea di ricostruire l’antico Tempio sul conteso Monte è una ricetta per un disastro.

La seconda ragione per rafforzare l’identità mediterranea di Israele è la riconciliazione con i Paesi arabi, che fin dall’inizio hanno rifiutato o non hanno pienamente accettato l’esistenza dello Stato ebraico.

I palestinesi, così come gli arabi nei Paesi che confinano con Israele, sostengono che gli ebrei sono essenzialmente degli stranieri nella regione del Mediterraneo e che è stato solo l’antisemitismo a spingerli a trovare una casa in Medio Oriente. Pertanto, se gli israeliani abbracciassero la loro identità mediterranea, potrebbero dimostrare agli arabi che gli ebrei, per gran parte della loro storia, sono stati abitanti della regione mediterranea. In effetti, la maggior parte delle grandi opere della letteratura religiosa ebraica – come la Bibbia e la Mishnah, il Talmud di Gerusalemme e i primi testi cabalistici – furono scritte nella Terra di Israele e non in Europa: ulteriore prova che l’identità ideale per lo Stato di Israele è quella mediterranea. Un’identità non occidentale, non orientale, ma mediterranea che renderebbe Israele un membro legittimo e permanente della regione che è la culla della civiltà globale.

Francesco Cito, Israele, Gerusalemme, 2010

Infine, un quarto fattore: la globalizzazione. La tecnologia, il capitalismo del libero mercato e la rapida ascesa di internet hanno creato un superficiale velo di identità uniforme. Questo ha portato a un crescente desiderio di recuperare specifiche identità nazionali. Abbiamo visto questo desiderio durante la dissoluzione della Jugoslavia in Stati nazionali separati, in Cecoslovacchia, tra i baschi e i catalani in Spagna, con gli scozzesi in Gran Bretagna, così come in altre parti del mondo. Questa tendenza a volte può essere poco saggia da un punto di vista economico – la Brexit è un ottimo esempio – e può portare a nuovi e inutili conflitti. Pertanto, un’organizzazione regionale basata su una storia e una cultura condivise può fornire un’adeguata risposta all’odierno rullo compressore dell’identità globale e anche scoraggiare miopi identità locali che possono innescare inutili lotte.

L’identità mediterranea è un’identità meravigliosa: antica e moderna. Nel bacino del Mediterraneo, sorsero e prosperarono grandi civiltà come quella cristiana, ebraica, musulmana e, naturalmente, greca e romana. Civiltà che rimangono il grande fondamento della cultura mondiale. È inconcepibile che gli ebrei, che furono a lungo ospiti in terre musulmane e cristiane, non debbano dare un contributo decisivo all’identità mediterranea per mezzo della loro storica identità israeliana, che risale a 3mila anni fa. Questo è il debito che gli israeliani hanno con il Mediterraneo, un luogo in cui, dopo le fatiche delle incessanti peregrinazioni, vogliono rimanere come cittadini permanenti.

Fotografia di apertura di Francesco Cito, Israele, Gerusalemme, 2009