Nell’esercito degli Stati Uniti sono arruolati uomini di oltre cento diverse confessioni religiose, le principali, come il cristianesimo, l’ebraismo, l’islam e l’induismo sono attualmente rappresentate tra i ranghi dai cappellani dell’ Us Chaplain Corps, a riprova dell’apertura nei confronti della società statunitense così diversificata, dove pluralismo religioso è considerato una benedizione. Ma, prima di raggiungere questo traguardo, sono state vinte molte le cause legali, per consentire ai cappellani militari di rappresentare liberamente un credo diverso dal cristianesimo, indossando le mostrine che oggi riportano la Stella di Davide o la Ruota del Dharma; permettendo loro di dare conforto e supporto morale ai soldati di qualsiasi confessione, che nonostante un diverso credo, affidano le loro anime ad uomo di Dio che ha condiviso e condivide con loro tutto: dal duro addestramento alla vita in prima linea.

Per questo motivo un rabbino può trovarsi a confortare un musulmano o un mormone. E nessuno vi trova nulla di strano. A dare uno spaccato di questa realtà è stato il rabbino Michoel Harari, Capitano del 1° battaglione del 229esimo reggimento dell’aviazione dell’esercito, che ha spiegato al quotidiano israeliano Haaretz com’è professare la fede in Yahweh, in mezzo agli elicotteri da combattimento Apache AH-64, ascoltando i problemi di uomini devoti a Buddha o ad Allah.

Il pluralismo religioso è stato abbracciato dopo la Grande Guerra, quando nei cimiteri militari iniziarono a comparire le prime Stelle di Davide, in mezzo alle croci latine di marmo bianco, e negli ultimi anno ha raggiunto la sua massima espressione, anche per merito della flessibilità dei tempi contemporanei, permettendo ai soldati di tenere la barba per motivi religiosi, indossare i turbanti sikh (come avviene dal secondo conflitto mondiale nell’esercito britannico), o gli hijab per quanto riguarda le donne soldato musulmane. Uno dei primi beneficiari di questa apertura è stato proprio il captano Harari, che non avrebbe mai professato la parola di dio sotto le armi se l’esercito non gli avessi constino ti portare la sua lunga barba o i payot.

“Il turbante, gli hijab e le barba non sono mai stati considerati espressioni legittime da poter portare sotto le armi finché le persone non hanno sfidato l’esercito in tribunale”, spiega il rabbino, citando Mendy Stern: seguace della corrente ortodossa ebraica Chabad che si batté per portare la barba aprendo una spaccatura nel regolamento dell’esercito e creando un precedente importante per ogni tipo di confessione. “Per un ebreo di Chabad, non avere la barba non è un’opzione”, dunque per Harari, come per Stern, servire la patria in uniforme non sarebbe stato possibile.

Il rispetto delle diverse confessione, è evidentemente collegato alla parità di status di militari.L’arruolamento per un cappellano non è diverso da quello di un altro soldato, si seguono test attitudinali e fisici per essere inquadrati ad una o un’altra unità, l’iter e l’addestramento sono gli stessi che valgono per gli altri soldati; l’unica differenza è che in prima linea i cappellani militari che hanno giurato come loro di “sostenere la Costituzione degli Stati Uniti contro tutti i nemici, forestieri o compatrioti”, e sostenere il presidente e il proprio paese, non combattono.

“Il cappellano fa tutto ciò che fa un soldato – tranne combattere. Quindi non intendiamo assumere posizioni offensive o obiettivi di attacco. Come parte dello staff di comando, siamo lì per supportare la nostra unità, ma qualunque cosa facciano i nostri soldati – se si stanno allenando in tecniche per sfuggire al nemico, o scavare buche, fare sorveglianza e cose del genere – dobbiamo essere per inseriti all’interno dell’unità, e non essere un peso o rallentarlo.”, spiega Harari, “Pronti, per offrire al comandante un consiglio religioso e fornire supporto emotivo, mentale e morale ai soldati”. Qualunque sia il loro Dio.

Essendo il cappellano militare il riferimento religioso della base o dell’unità impiegata in prima linea, ognuno deve conoscere le altre religioni, i loro riti e le loro usanze, ad esempio informare il comandate se uno spostamento di truppe avviene durante il digiuno del Ramadan o dello Yom Kippur, permettendogli di fare le adeguate considerazioni in merito agli uomini di truppa praticanti. Per i casi più specifici però è necessario chiamare un cappellano, buddista o induista per esempio, perché non si possono conoscere tutti i meandri di tutte le religioni. Questo però non significa che il “problema” verrà trascurato, anzi, il rimando ad una figura religiosa che possa davvero portare alla risoluzione è un segno di rispetto di un credo differente e dei progressi che l’esercito americano, conscio della diversità della società, ha saputo compiere.

Alla domanda su cosa abbia spinto il rabbino Harari a proseguire nella sua missione, un uomo dal fisico tonico e sportivo, che si distanzia dalla figura del rabbino che tutti sono soliti idealizzare, la risposta lascia a bocca aperta, essendo una vera storia di coraggio e dedizione. “Durante l’addestramento ho letto un libro” cita il rabbino, “Sea of Glory“. Il libro racconta dell’affondamento del Dorchester, una nave da trasporto truppe affondata nell’Atlantico da un u-boot nel 1943. A bordo c’erano quattro cappellani: due protestanti, uno cattolico e un rabbino. Quando un siluro centrò la nave, i quattro cappellani iniziarono a distribuire giubbotti salvagente, e quando l’armadietto rimase vuoto, si tolsero i propri cedendoli a quattro soldati. La nave affondò, e l’immagine che rimase impressa ai sopravvissuti, fu quella dei quattro cappellani, stretti l’uno all’altro in un abbraccio mentre cantavano un inno sacro, forse Sh’ma Yisrael.”In piedi, uniti nel fare ciò che dovevano fare: salvare gli altri”.

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