da Oo Kray Khee

Se si parla di Birmania, ci vengono subito in mente i Rohingya, la popolazione musulmana considerata dalle Nazioni Unite la più perseguitata al mondo. Uomini e donne costretti a scappare dalla loro terra, subendo violenze da parte degli estremisti buddisti e dall’esercito regolare. I media sono concentrati su di loro. Sulla loro storia tragica, fatta di abusi e ingiustizie. Di stupri e di morte. Ma in Myanmar ribattezzato così dalla giunta militare nel 1989 ci sono conflitti che durano da decenni e che colpiscono gran parte dei tre milioni di cristiani sia cattolici sia protestanti che rappresentano la più importante minoranza religiosa del Paese asiatico. Però, come se fossero persone di serie B, non fanno notizia.

Vittime della discriminazione religiosa sono in particolare le popolazioni Karen e Kachin, perseguitate da quasi 70 anni. Prima dalla sanguinaria dittatura del generale Ne Win, poi da Than Shwe, padre-padrone della Birmania fino al 2011 e infine, ancora oggi, dai vecchi militari che dovrebbero essere in pensione. Eppure, almeno secondo i governi occidentali, la situazione sarebbe dovuta cambiare definitivamente alla fine del 2015, con la vittoria alle elezioni della National League for Democracy (Nld), il partito guidato dal premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi.

Andare a vedere quello che sta succedendo con i propri occhi non è semplice. Black area, l’ha definita il governo birmano. Una zona nera dove i giornalisti e le organizzazioni umanitarie non possono entrare, ma dove tutto è possibile. L’unico modo per farlo, è in maniera illegale, attraversando la giungla che separa i territori controllati dalla guerriglia Karen dalla Thailandia.

Mentre il sole sta sorgendo, un vecchio pick-up è pronto a partire dal piazzale del piccolo albergo di Mae Sot, città al confine tra i due Paesi asiatici. Destinazione «Kawthoolei», il nome con il quale i Karen amano chiamare la loro terra: la «Terra senza peccato». Sei ore di viaggio verso sud, costeggiando l’infinita frontiera che divide la Thailandia e la Birmania. «Stiamo percorrendo la strada della morte», ricorda Saw Khu, guerrigliero che per l’occasione si è camuffato da autista.

I Karen, originari della Mongolia e del Tibet, sono arrivati in queste zone dopo una lunga migrazione nel 730 a.C., per un terzo della popolazione sono cristiani e vivono in armonia tra loro e con la natura che li circonda. È l’esercito birmano il problema. «Vuole eliminarci. Vogliono annientare qualsiasi tipo di specificità, per questo siamo costretti a combattere», spiega il generale Nerdah Mya quando lo incontro nel villaggio di Oo Kray Khee, roccaforte della guerriglia Karen. «Dobbiamo difendere la terra dei nostri avi, la nostra gente e le nostre tradizioni». La guerra ha causato migliaia di vittime e numerosi Karen sono fuggiti dai loro villaggi. Almeno 500mila sono i rifugiati interni, oltre 130mila quelli che sono finiti nei campi profughi della vicina Thailandia. Molte persone porteranno per tutta la vita i segni indelebili delle mine antiuomo con cui le truppe birmane hanno reso impenetrabile la foresta.

Pesanti attacchi sono in atto proprio in questi giorni nel nord dello Stato Karen. Gli scontri si sono acuiti lo scorso 4 marzo, quando un migliaio di soldati governativi hanno invaso il distretto di Mutraw, con l’obiettivo di finire la costruzione di una strada militare. Le violenze hanno costretto più di 2mila abitanti a cercare rifugio tra le montagne. L’Esercito di liberazione nazionale Karen (Knla), che nel territorio di Mutraw è controllato dalla 5a Brigata del comandante Baw Kyaw, soprannominato «la Tigre», sostiene che le forze armate birmane stiano usando il progetto della costruzione della strada per favorire la propria espansione nello Stato Karen. Cosa che in realtà è già avvenuta negli ultimi anni. Subito dopo la firma nel 2015 di un cessate il fuoco tra il governo, la Karen National Union (Knu) ala politica del Knla e altri sei gruppi armati etnici, infatti, i militari governativi non hanno fatto altro che costruire nuovi avamposti e rifornire di armi e mezzi quelli già esistenti. Le trattative di pace, invece, avrebbero dovuto prevedere negoziati politici. «Hanno chiaramente approfittato di questa situazione per trasferirsi nelle nostre aree di controllo», ha spiegato Baw Kyaw. «Ora non possiamo rimanere a guardare, dobbiamo affrontare con coraggio questa situazione e combattere».

Nei giorni scorsi, intanto, la Knu in una lettera inviata al governo di Rangoon, ha chiesto l’immediato ritiro delle truppe per garantire la sicurezza degli sfollati e proseguire la contrattazione. L’appello è stato ignorato. E le violenze continuano. Pesanti scontri a fuoco sono in corso anche nel nord-est della Birmania contro i Kachin, anch’essi in gran parte cristiani. La situazione è peggiorata negli ultimi giorni. Migliaia di persone hanno lasciato i loro villaggi per cercare rifugio nella giungla. Più di 100mila , invece, hanno abbandonato le loro case dal 2011, anno in cui il conflitto si è riacceso.

In una dichiarazione rilasciata recentemente dall’Alleanza delle comunità Kachin, si sostiene che l’obiettivo dell’esercito birmano è quello di «distruggere l’identità etnica, distruggere la religione, colonizzare le terre e rubare le risorse». Non a caso, infatti, gran parte delle risorse naturali, tra cui diamanti, oro, legname e gas, sono presenti nelle zone abitate dalle minoranze etniche. Ma un documento delle Nazioni Unite, descrive ancora meglio quello che sta succedendo nel territorio dei Kachin: «Si stanno verificando attacchi indiscriminati o sproporzionati, uccisioni extragiudiziali, privazione arbitraria della libertà, sparizioni forzate, distruzione di beni e saccheggi, torture, stupri e altre forme di violenza sessuale, lavoro forzato e reclutamento di bambini nelle forze armate».

Il problema è che i vecchi generali, arricchitisi sfruttando i territori etnici, hanno ancora molto potere. La carta costituzionale birmana, infatti, non solo riserva ai militari il 25% dei seggi parlamentari indipendentemente dall’esito del voto, ma permette loro anche di controllare il ministero degli Interni, quello della Difesa e quello per gli Affari di confine. Quest’ultimo non a caso è proprio l’organismo che si occupa delle zone abitate dalle diverse etnie. Inoltre, la vecchia giunta è parte del Consiglio per la Difesa e la sicurezza nazionale, che può in qualsiasi momento bloccare o modificare le leggi considerate pericolose per l’unità e la sicurezza del Paese. Intanto la guerra prosegue e Karen e Kachin continuano a versare sangue per la loro libertà..