Pur essendo in minoranza, fino al 2003 il ruolo dei cristiani in Iraq è stato decisivo sotto il profilo sociale. Basti pensare ad esempio che il vice di Saddam Hussein era il cristiano Tareq Aziz. Dopo la fine della seconda guerra del Golfo, la situazione si è ribaltata: a partire da questo momento sono iniziate le discriminazioni e le persecuzioni. Ecco perché l’arrivo del Papa, fissato al prossimo 5 marzo, assume un valore oltre che simbolico anche di speranza.

La storia dei cristiani in Iraq

Da sempre i cristiani in Iraq hanno rappresentato una parte importante della composizione culturale e storica, nonostante fossero in minoranza. Nel 2003 la loro presenza sul territorio si aggirava intorno a un milione e mezzo di persone, rappresentando circa il 6% della popolazione. Di certo un numero in calo se confrontato con quello del lontano 1947 dove se ne contavano quasi cinque milioni. La principale fede cristiana presente in Iraq fa riferimento alla Chiesa Cattolica Caldea che trae origine dalla Chiesa d’Oriente, fondata nel primo secolo dall’apostolo San Tommaso. Si tratta quindi di una confessione che affonda le radici nei primi decenni del cristianesimo e questo fa capire la sua importanza a livello storico. Attualmente conta in Iraq circa 250mila fedeli.

Distribuiti principalmente nei territori di BaghdadBassora, Kirkuk e la provincia di Ninive, nel nord dell’Iraq, i cristiani possono essere considerati come una delle colonne portanti della società del Paese mediorientale. Specialmente perché le loro comunità custodiscono una ricchezza di tradizioni religiose e storiche che hanno permeato la cultura della regione. Nella piana di Ninive ad esempio, in centinaia di villaggi si porta ancora oggi avanti l’antica cultura assiro/siriaca, il cui gruppo etnico è radicato da secoli nelle province settentrionali irachene ed è a maggioranza cristiana. Sono poi presenti in Iraq anche confessioni cristiane ricollegate con le Chiese d’Oriente e con le comunità ortodosse. Il mosaico religioso di questo angolo di medio oriente è molto più variegato di quanto appaia dall’esterno e resiste ancora oggi, pur tra mille difficoltà.

I cristiani durante Saddam Hussein

La storia dell’Iraq è cambiata profondamente negli anni ’60. Rovesciata la monarchia che nel 1932 aveva condotto il Paese all’indipendenza, il quadro politico ha subito repentini mutamenti fino a quando poi nel 1969 il potere è andato definitivamente al partito Baath. Da allora la figura predominante è stata quella di Saddam Hussein, prima come vice – presidente e successivamente, dal 1979, come capo indiscusso dell’Iraq. Il Baath ha spinto, sulla scia delle formazioni figlie dell’ideologia del panarabismo socialista, verso una laicizzazione della società. I cristiani in tal senso non solo sono risultati tutelati, ma hanno assunto un ruolo importante in seno alla vita politica e culturale del Paese arabo.

La pax durante Saddam era più figlia del controllo assoluto esercitato sulla Nazione esercitato dal rais che un elemento ramificato nella società. Il leader iracheno apparteneva alla minoranza sunnita e, nei momenti di maggiore difficoltà, non ha esitato a usare la forza per controllare sia la maggioranza sciita che i curdi. Ma i cristiani, in questo contesto, non sono quasi mai stati coinvolti nelle latenti lacerazioni settarie. Da qui la loro attiva partecipazione nella società. Lo dimostra il fatto che il numero due di Saddam era il cristiano Tareq Aziz. Appartenente alla comunità cattolica caldea, è stato proprio lui il più fidato collaboratore del rais iracheno, nonché principale rappresentante all’estero del suo governo. Tareq Aziz era riconosciuto come “volto moderato” del regime, tanto da essere chiamato in causa dalla diplomazia durante le fasi più delicate degli anni del Baath. Dopo la caduta di Saddam Hussein, il ruolo avuto in quelle fasi è stato preso come simbolo della condizione dei cristiani in Iraq fino al 2003.

Il 2003 e il 2014: la persecuzione dei cristiani

Con la fine del rais, dal 2003 ha preso il via la discriminazione vera e propria verso la religione cristiana. Se da un lato è stata approvata la nuova Costituzione irachena che garantisce il rispetto verso la libertà religiosa, dall’altro, lo stesso documento non ammette leggi che fossero in contrasto con l’Islam. È in questo contesto che gradatamente l’islamismo è divenuto sempre più radicato, manifestando intolleranza verso le altre religioni, quella cristiana in particolare. In un primo momento gli attacchi sono rimasti isolati ad alcuni casi, successivamente sono iniziate le vere persecuzioni che hanno colpito i luoghi simbolo della fede di minoranza. L’otto agosto del 2004 ad esempio è stato commesso un attentato che ha preso di mira contemporaneamente 7 chiese cristiane in Iraq. Il 31 ottobre del 2010 è stato realizzato anche l’attacco all’arcieparchia di Baghdad dei Siri, sede della Chiesa cattolica sira in Iraq e soggetta alla Santa Sede.

I segni della grande persecuzione erano ormai tangibili. Tutto stava cambiando in modo irreparabile. La conferma dell’intolleranza verso le popolazioni cristiane è avvenuta  nel 2014  con l’avvento dell’Isis e la proclamazione del califfato islamico nel nord dell’Iraq e nella provincia dell’Al Anbar. A partire da questo momento è iniziato il calvario per tutti coloro i quali professavano questa fede: nei loro confronti è stata attuata una dura persecuzione personale, al punto da mettere in fuga le storiche comunità presenti nel nord del Paese.

L’importanza della visita del Papa

Un Pontefice in Iraq non aveva mai messo piede. Giovanni Paolo II ci aveva provato a più riprese, ma motivi politici prima e di sicurezza poi, hanno sempre impedito i viaggi apostolici in questo tormentato Paese arabo. L’arrivo di Papa Francesco ha quindi una valenza storica molto importante. Ma assume un significato simbolico ancora maggiore valutando l’attuale condizione dei cristiani: “Sono tre le parole con cui si può descrivere il significato di questa visita – ha dichiarato su InsideOver Alessandro Monteduro di Aiuto alla Chiesa che Soffre – speranza, riconciliazione e incoraggiamento”.

“La speranza – ha specificato Monteduro – è che si possa fare luce sulla persecuzione subita dai cristiani in Iraq, specialmente dopo il 2003, e si possa arrivare a una nuova fase per tutto il Paese”. La riconciliazione è invece da intendersi nell’apertura di un dialogo in grado di facilitare il risanamento delle ferite sociali lasciate in questi anni: “É un elemento – ha proseguito Monteduro – che fa parte della natura dei cristiani. La comunità deve riavviare il dialogo anche con chi l’ha tradita, con chi negli anni dell’Isis si è girato dall’altra parte”. L’incoraggiamento è infine per tutte le famiglie cristiane ancora fuori dalle proprie case: “La visita di Papa Francesco – ha concluso il rappresentante di Acs – potrebbe favorire il ritorno degli sfollati e continuare con le tante opere di ricostruzione”.

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