Non solo il petrolio, ma anche un’altra importante arma in grado di far pressione su molti governi del medio oriente, dell’Asia e dell’Africa: l’Arabia Saudita infatti ha dalla sua l’Hajj, ossia il Pellegrinaggio presso la grande Moschea di La Mecca, il luogo più Sacro dell’Islam che ogni musulmano deve visitare almeno una volta nella vita. Il flusso di pellegrini che si dirige verso la città santa, strappata dai Saud alla famiglia Hashemita dell’allora Regno dell’Hegiaz nel 1926, è costante e massiccio lungo tutto il corso dell’anno ed oltre ad essere una fonte di guadagno in chiave turistica per Riyadh rappresenta anche uno strumento per dirigere ed influenzare le politiche di diversi stati a maggioranza musulmana. Non sono capitate in passato denunce, da parte di alcuni governi non allineati alla politica saudita, di boicottaggio dei viaggi dei propri cittadini verso La Mecca da parte delle autorità dell’Arabia Saudita; oggi l’Hajj si inserisce anche nel braccio di ferro iniziato a giugno tra Riyadh e Doha, segno di una crescente tensione nella Penisola Arabica.
La proposta di ‘internazionalizzare’ La Mecca
Lo scorso 5 giugno, dopo la visita del presidente Trump a Riyadh, il regno saudita ha deciso di troncare ogni rapporto con il sultanato guidato dalla famiglia Al Thani con la motivazione secondo cui Doha continua ad appoggiare il terrorismo internazionale; assieme ai Saud, a dare il via libera al blocco contro il Qatar sono stati anche Bahrein, Emirati Arabi Uniti ed Egitto i quali hanno dato vita ad un fronte sunnita del Golfo esteso al governo del Cairo con Kuwait ed Oman al contrario più cauti nell’adottare misure drastiche contro l’emirato qatariota. Da allora, la tensione non è mai diminuita con i Saud a capo del fronte sunnita che più volte hanno chiesto, come condizione indispensabile per il ripristino della normalità dei rapporti interni alle petromonarchie, il rispetto del cosiddetto ‘piano dei tredici punti’ da parte del Qatar. Tra le misure richieste dal documento stilato da Riyadh, anche la fine di ogni rapporto commerciale con l’Iran da parte di Doha e la chiusura dell’emittente Al Jazeera.
Un programma piuttosto impegnativo ed oneroso per il Qatar, una vera e propria minaccia agli interessi del piccolo emirato che in questi anni ha visto crescere la propria sfera d’influenza finanziaria grazie a numerose operazioni effettuate dal proprio fondo sovrano in Europa; gli Al Thani non hanno mai preso in considerazione l’eventualità di attuare i tredici punti richiesti dall’Arabia Saudita e, per far fronte al blocco commerciale, ha intensificato i rapporti con la Turchia (che nei pressi di Doha ha una grande base militare) ed ha ricevuto da Teheran tonnellate di cibo per scongiurare penurie dei generi di prima necessità a seguito della chiusura delle frontiere lungo la penisola arabica. Una rivalità, quella tra i Saud e gli Al Thani, nata già nel 1995 con il colpo di Stato che a Doha ha portato al potere Hamad bin Khalifa Al Thani, il quale ha deposto il padre Khalifa bin Hamad ed ha avviato una politica autonoma dalla linea dettata dai sauditi nel Golfo.
Gli screzi sorti nelle ultime settimane, figli anche del finanziamento fornito per anni alla Fratellanza Musulmana (acerrima nemica dei Saud) da parte di Doha, sembravano essersi affievoliti anche con la mossa degli USA di stringere un importante patto militare con il Qatar con lo scopo di equilibrare in parte quello ben più oneroso da 140 miliardi stipulato da Trump a Riyadh nel mese di maggio; nelle ultime ore però, sono state registrate nuove impennate nelle provocazioni e nei contrasti tra i due stati del Golfo: in particolare, ha suscitato molto clamore la presunta proposta del governo qatariota di internazionalizzare la città Santa di La Mecca, non rendendola quindi più sotto la sovranità saudita. Proposta presunta per l’appunto giacché, ad onor di cronaca, né presso la QNA (la Qatar National Agency) né presso gli altri canali ufficiali di Doha risulta essere stata esplicitamente effettuata tale richiesta; esiste tuttavia un reale scontro su La Mecca e sull’Hajj in particolare, con il governo degli Al Thani che si è detto sì pronto a portare la questione dell’internazionalizzazione della città Santa all’ONU, ma che al tempo stesso non ha ancora formalizzato alcuna ufficiale proposta.
La risposta del gruppo sunnita riunito a Manama
“Lo Stato del Qatar non vuole risparmiare alcun sforzo per superare le violazioni contro il suo paese e vuole cercare di risolvere la questione attraverso i canali giusti. Le Nazioni Unite sono la giusta piattaforma da partire“; a pronunciare queste parole è Sheikh Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, Ministro degli Esteri di Doha, il quale in un’intervista concessa ad Al Jazeera fa chiaramente intendere che il Qatar interesserà l’ONU ed i vari organismi internazionali preposti per porre fine ai blocchi sauditi e difendere gli interessi del proprio paese. Da qui anche la proposta, sempre presso la sede del Palazzo di Vetro, di discutere circa lo status di La Mecca e pensare ad un’internazionalizzazione del sito religioso; una provocazione forse, che però è bastata per accendere gli animi tra i palazzi residenziali della famiglia Saud a Riyadh. In coincidenza con la festa dell’Hajj e con il braccio di ferro tra i due paesi, mettere in discussione la sovranità saudita sulla moschea più Sacra dell’Islam è elemento di pressione politica verso l’Arabia Saudita.
Dal canto suo, l’esecutivo saudita ha replicato duramente e lo ha fatto da Manama, capitale del Bahrein, dove il 30 luglio ha avuto luogo un summit proprio tra i quattro paesi sunniti che hanno imposto il blocco al Qatar: “La proposta qatariota è un vero atto di guerra – ribadisce il Ministro degli Esteri saudita, Adel al-Jubeir, in una dichiarazione rilasciata ad Al Arabiya – Riyadh ed i suoi alleati invitano Doha a non politicizzare l’Hajj”. Pur tuttavia, come sopra affermato, una proposta qatariota non è mai ufficialmente pervenuta in alcuna sede, ma l’Arabia Saudita ha voluto ribadire con forza che la questione non può essere utilizzata come pretesto politico all’interno del braccio di ferro in corso tra i due paesi; ma ormai il vaso di Pandora sull’argomento sembra essere stato definitivamente scoperto: è infatti partita, anche nelle ore successive al vertice di Manama, una diatriba tra Riyadh e Doha su chi in effetti rechi maggior danno all’altro sulla questione relativa all’Hajj.
Da un lato, i Saud dichiarano di notare un tentativo di boicottaggio del pellegrinaggio da parte degli Al Thani, rei di non concedere visti ai propri cittadini per recarsi a La Mecca; dall’altro lato però, il governo del Qatar, sempre per bocca del ministro degli Esteri, accusa l’Arabia Saudita di creare problemi e difficoltà per il trasporto verso la città Santa dei circa ventimila cittadini del piccolo emirato accreditati per raggiungere la Moschea sacra. Accuse reciproche, con sullo sfondo l’Hajj e le chiavi di La Mecca, da sempre armi a doppio taglio dei Saud in grado di donare loro un importante potere politico ma anche, nell’altro verso della medaglia, delle pressioni che spesso hanno contribuito a far emergere i lati deboli della dinastia.
Nessuna nuova sanzione dei Saud al Qatar
Il vertice di Manama, oltre alla scia di polemiche e minacce relative all’Hajj, ha però fatto trapelare anche alcuni timidi tentativi di riavvicinamento tra le parti: in primo luogo, i quattro paesi presenti in Bahrein hanno deciso di non aggiungere nuove sanzioni contro Doha, riservandosi la possibilità di valutare una soluzione diplomatica e di aspettarsi dal Qatar passi in avanti sulla risoluzione dei tredici punti richiesti lo scorso 5 giugno. “I quattro paesi sono pronti per il dialogo con il Qatar – si legge nel documento il cui primo firmatario è lo sceicco del Bahrein Al Khalifa – a condizione che Doha annunci la sua sincera volontà di smettere di finanziare il terrorismo e l’estremismo ed il suo impegno a non interferire negli affari esteri di altri paesi rispondendo inoltre alle 13 richieste“; la strada per la fine delle tensioni e delle diatribe tra il blocco sunnita ed il Qatar, appare però ancora molto lunga.