La religione svolge un ruolo di primo piano nella nuova Guerra fredda fra Occidente e Russia iniziata ufficialmente all’indomani di Euromaidan, la rivoluzione colorata che nel 2014 ha portato alla fuga dell’allora presidente legittimamente eletto Viktor Yanukovich e all’insediamento di una nuova classe politica totalmente uniformata all’europeismo e all’americanismo.

Mosca è corsa ai ripari annettendo la Crimea e sostenendo i movimenti separatisti filorussi apparsi nel Donbass, nelle repubbliche di Lugansk e Donetsk, ma senza riuscire a fermare l’inglobamento del Paese nell’orbita occidentale, che nei prossimi anni potrebbe accedere anche all’Alleanza Atlantica, rendendo la minaccia dell’accerchiamento militare quanto mai vicina.

L’autorità centrale di Mosca sul millenario mondo russo (Russkiy Mir) è legata anche alla profonda influenza culturale esercitata dal fatto di essere considerata la Terza Roma, l’erede spirituale del cristianesimo delle origini, ragion per cui la chiesa ortodossa russa ha storicamente goduto di un prestigio pari a quello del patriarcato di Costantinopoli nell’ortodossia orientale.

Oggi, quel prestigio e quell’influenza sono sotto attacco da parte degli scismatici antirussi che, dopo aver ottenuto la nascita di una chiesa ortodossa ucraina indipendente dall’autorità del patriarcato di Mosca e di tutte le Russie, stanno spostando lo scontro nel vero cuore della cristianità ortodossa: i Balcani.

Nuovi venti di scisma

Mentre i riflettori internazionali erano puntati sulla cerimonia di nascita della Chiesa indipendente ucraina, nello stesso periodo, ossia dicembre dell’anno scorso, un altra Chiesa iniziava a pretendere il diritto all’autocefalia dalla sua storica casa madre: quella montenegrina. La Chiesa ortodossa serba è la seconda più antica al mondo, dopo quella bulgara, e ha diritto di giurisdizione sui Balcani occidentali, esclusa l’Albania, sin dalla fondazione. L’alleanza plurisecolare serbo-russa è incomprensibile senza prendere in considerazione i legami che uniscono i patriarcati di Belgrado e Mosca, che hanno storicamente avuto la responsabilità di preservare la tenuta della fratellanza slavo-ortodossa.

L’insofferenza antiserba sta riemergendo pericolosamente nella regione e, mentre il Paese è sempre più accerchiato militarmente dall’allargamento della Nato e vittima delle pressioni europee e americane affinché si allontani dalla sfera d’influenza russa, un nuovo scisma, questa volta in salsa balcanica, sembra essere alle porte.

A dicembre scorso, il presidente montenegrino Milo Dukanovic aveva espresso la sua preoccupazione circa i tentativi della chiesa ortodossa serba di minare l’indipendenza del Paese e inibirne il cammino verso l’europeizzazione, sostenendo che la soluzione ideale sarebbe stata seguire l’esempio ucraino e promuovere l’autocefalia della chiesa nazionale, attualmente sotto l’autorità di Belgrado.

La chiesa montenegrina ha tentato di emanciparsi una prima volta nel 1993, approfittando della crisi iugoslava, ma senza ottenere alcuna risposta dal patriarcato di Costantinopoli. All’epoca, però, la strategia perseguita per accelerare il dissolvimento del Paese fu basata sull’alimentazione degli etno-nazionalismi, mentre la religione giocò un ruolo maggiormente rilevante per i musulmani bosniaci, albanesi e kosovari.

Ma dal 1993 ad oggi il panorama internazionale è profondamente cambiato e, dopo il fallimento degli esperimenti panslavista e comunista, a Mosca è rimasta soltanto l’ortodossia come ultimo strumento per tentare di frenare, e magari interrompere, l’occidentalizzazione dei Balcani e dell’Europa orientale.

A maggio il governo ha adottato un progetto di legge mirante a creare un registro indicante quali edifici religiosi di proprietà del Montenegro fino al 1918, l’anno della fondazione del regno dei serbi, dei croati e degli sloveni, sono divenuti poi parte di patrimonio straniero. Il registro servirà lo scopo di restituire la proprietà sui suscritti allo stato e, sebbene sia stato presentato come un progetto imparziale, è chiaro che andrà a colpire quasi esclusivamente la chiesa ortodossa serba.

Sulla questione è intervenuto anche il governo serbo, nella piena consapevolezza del disegno che si nasconde dietro la legge, che ha chiesto alla controparte montenegrina di non procedere ulteriormente, ricevendo in cambio l’invito a non intromettersi negli affari interni del paese.

Ambizioni di autocefalia sono anche riapparse in Macedonia del Nord, sullo sfondo sia dello scisma fra Mosca e Costantinopoli che dell’accelerazione del percorso d’adesione all’Ue e alla Nato. La chiesa ortodossa macedone gode di parziale autonomia, ma non di indipendenza, e l’anno scorso ha lanciato un appello ufficiale a Costantinopoli affinché le venga riconosciuto il diritto all’autocefalia.

La chiesa ortodossa serba ha raccolto i segnali d’allarme provenienti dalla Macedonia e si è dichiarata pronta a rinegoziare gli accordi per l’autonomia del 2002, ma l’obiettivo di Skopje resta la completa autocefalia.

Gli sviluppi in Ucraina

I rapporti fra i patriarcati di Mosca e di Costantinopoli restano tesissimi, alla luce del continuo supporto di quest’ultimo nei confronti dell’atto scismatico di Kiev. Ad oggi, l’autocefalia della chiesa ortodossa ucraina è stata riconosciuta, fra gli altri, dal patriarcato di Alessandria e dalla chiesa ortodossa greca, ed è diplomaticamente sostenuta sia dal governo ucraino che dagli Stati Uniti.

Sia per Kiev che per Washington l’autocefalia della chiesa ortodossa ucraina rappresenta, almeno a livello pubblico, una questione di libertà religiosa, un diritto fondamentale del popolo ucraino circa l’avere giurisdizione unica sui propri affari religiosi. In realtà, come palesato dai discorsi dell’ex presidente Petro Poroshenko e del segretario di Stato statunitensi Mike Pompeo, si tratta dell’ennesimo fronte del conflitto fra Occidente e Oriente russo.

La chiesa ortodossa è stata tradizionalmente considerata un instrumentum regni della Russia per continuare ad esercitare controllo sui popoli slavi, e l’indebolimento di Mosca e Belgrado passa per la promozione di nuove autocefalie in quel che resta del sempre più frammentato Russkiy mir. Perciò, dopo Ucraina e Montenegro, è altamente probabile che l’onda scismatica travolga anche Macedonia del Nord, Croazia e Bosnia Erzegovina, e che le chiese indipendenti diventino i nuovi megafoni contro la Russia.





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