È la religione con il tasso di espansione più elevato del pianeta ed è praticata da un abitante su quattro del globo. Ha plasmato la storia dell’umanità e di innumerevoli civiltà, ispirando condottieri, illuminando filosofi e convertendo le genti di ognidove. La religione di cui si sta scrivendo non è il Cristianesimo, ma l’Islam. E tra i luoghi più improbabili e impensabili in cui questa fede va crescendo e prosperando, oltre alle Americhe Latine, v’è l’Oceania degli aborigeni e dei maori.
La mezzaluna conquista gli aborigeni
È dal diciottesimo secolo che gli aborigeni dell’Oceania bianca, ovverosia di Australia e Nuova Zelanda, sono a conoscenza dell’Islam, del vissuto del profeta Maometto e del contenuto del Corano. Ed è dal secolo successivo che ha inizio la storia delle prime moschee dell’Oceania bianca, con l’edificazione nel 1861 di un luogo di culto maomettano a Marree. Ma è soltanto dall’alba del Duemila che l’islam si è trasformato da un fenomeno di nicchia ad una tendenza di massa, passando dall’essere la realtà di comunità sparute al perno identitario di personaggi pubblici, sportivi e intere tribù.
Tra il 2001 e il 2011 gli aborigeni australiani di fede islamica sono quasi raddoppiati, passando da 641 a 1.140, e tra gli scienziati sociali vige la concordia su cosa attendersi dai dati di prossima pubblicazione dell’ultimo censimento della popolazione: un aumento di quella cifra. I motivi alla base dell’islamizzazione degli aborigeni australiani sono diversi e spaziano dal proselitismo incessante dei missionari provenienti da Medio Oriente e Asia meridionale alla ricerca di alternative spirituali al cattolicesimo, una religione tanto sfiorita quanto associata al trauma della cosiddetta “Australia bianca” e che viene dunque dimessa in favore del nuovo e/o dello sconosciuto, che può assumere la forma del già menzionato islam o dell’altrettanto vibrante protestantesimo evangelico.
Nella Nuova Zelanda, similmente, i ricercatori indagano da un ventennio sulla crescente rilevanza dell’islam all’interno della vita sociale dei nativi e ne hanno appurato un tasso di crescita straordinario: è la religione che ha fatto il maggior numero di proseliti tra i maori dall’inizio degli anni Duemila. Virtualmente inesistenti fino a qualche decennio or sono, oggi i maori musulmani sarebbero tra i 1.300 e i 1.500.
L’islam piace agli autoctoni australiani e neozelandesi perché offre, oltre ad una serie di comunanze archetipiche coi loro valori e con la loro mitologia, una sorta di primitivo stato sociale, riparo dal razzismo strutturale della società e istituzioni solidali. Che vengano dalla Turchia o che vengano dal Pakistan, in sintesi, i missionari non si limitano a regalare copie del Corano, ad esplicare le ragioni dell’islam. Fanno molto di più: aiutano (e convertono) tossicodipendenti, alcolisti, madri sole, senzatetto, giovani finiti nei circuiti del banditismo urbano. Fanno ciò che dovrebbe fare lo Stato, e che potrebbe fare la miope Chiesa, lenendo le ferite e risolvendo i problemi più comuni delle povere ed emarginate comunità native.
Una “religione pop”
Si scriveva che è dal diciottesimo secolo che gli aborigeni australiani sono a conoscenza del messaggio profetico di Maometto, ma che è soltanto dal Duemila che l’interesse di una nicchia è divenuto il fenomeno delle masse. Masse perché gli aborigeni musulmani non sono poco più di un migliaio: sono (sicuramente) di più, potrebbero essere fino al decuplo. Cifre che sfuggono all’occhio degli addetti ai censimenti per una varietà di ragioni – in primis la paura della discriminazione – e la cui dimensione può essere tentativamente stimata, superficialmente colta, guardando a dei metodi di misurazione qualitativi.
La cattura della quantità dice che l’islam è la fede di un gruppo ristretto di aborigeni, perlopiù discendenti di coloro che per primi vennero a contatto coi commercianti musulmani provenienti dall’Asia. I fatti, però, dipingono un quadro totalmente differente da quello dei censimenti e delle indagini sociologiche. I fatti, invero, mostrano e dimostrano come l’islam abbia fatto breccia tra le stelle dell’intrattenimento, i personaggi pubblici e gli sportivi nazionali di origine autoctona. Perché musulmani sono, tra i tanti, l’ex campione di pugilato Anthony Mundine e i rugbisti Aidan Sezer, Jamal Idris, Monty Ioane, Blake Ferguson e Payne Haas.
In Nuova Zelanda, di nuovo, la situazione non è radicalmente difforme da quella della contigua Australia, dato che l’ingresso dell’islam nelle vite dei maori è stato favorito dalla politica ecumenica di Tūheitia Potatau. Quest’ultimo, re della comunità maori dal 2006, è stato colui che ha permesso l’arrivo della prima traduzione del Corano in lingua maori nell’arcipelago neozelandese. L’emergere di connessioni con il terrorismo islamista e di fenomeni di radicalizzazione durante l’epoca dello Stato Islamico, però, ha rallentato il divenire dell’islam una “religione pop” tra i nativi e non solo.