Nell’immaginario collettivo l’Irlanda continua ad essere considerata uno dei fortini inespugnabili della cristianità occidentale, la terra di San Patrizio, la cui identità nazionale intrinsecamente cattolica si è forgiata nelle lotte contro l’ostile vicino britannico, anglicano ed antipapista, e la cui profonda fede ha ispirato le lotte dei fratelli nordirlandesi.
L’Irlanda del 2020, però, è molto diversa da quella descrizione. Come nel resto dell’Europa, definita dal sociologo delle religioni Peter Berger il “continente ateo“, la secolarizzazione ha infine prevalso sulla plurisecolare egemonia culturale cattolico-centrica e nuovi valori, liberali, relativisti, laici, postcristiani, hanno attecchito nella società, mentre l’osservanza alle funzioni è crollata, insieme al reclutamento di nuovo clero, e le chiese chiudono per assenza di fedeli, preti e denaro.
La chiesa dell’annunciazione sarà demolita
Finglas è un quartiere popolare di Dublino che nel corso del Novecento era noto per ospitare una delle più vivaci comunità di cattolici della capitale irlandese. La partecipazione alle messe e, soprattutto, il vivere la fede in maniera attiva ed incisiva nel quotidiano, avevano convinto lo storico arcivescovo di Dublino, John McQuaid, ad avallare la costruzione di una maxi-chiesa negli anni ’60.
La chiesa, ribattezzata dell’Annunciazione ed inaugurata nel 1967, è stata eretta avendo come punto di riferimento l’architettura delle grandi cattedrali europee e colpisce, infatti, per le notevoli dimensioni, possedendo una capienza di 3mila 500 fedeli.
Ma dagli anni ’60 ad oggi la società irlandese è cambiata, diventando irriconoscibile, e l’attaccamento al cattolicesimo, tradizionalmente considerato uno degli elementi fondanti dell’identità nazionale, è svanito. La chiesa dell’Annunciazione è diventata anacronistica, perché le presenze sono drasticamente calate, e rappresenta anche un costo insostenibile, perché le donazioni rasentano lo zero e neanche la raccolta fondi per la ristrutturazione ha attratto interessati, perciò la chiesa cattolica ha deciso di comune d’accordo con il Consiglio cittadino di Dublino di procedere con la demolizione.
Una nuova chiesa verrà eretta al suo posto, ma le sue dimensioni saranno dieci volte minori: avrà una capienza massima di 300 fedeli. Sul resto della proprietà saranno costruiti almeno 50 alloggi per gli anziani e sei acri saranno venduti. Il via libera ai lavori, da parte del consiglio cittadino, è stato dato a inizio febbraio, ma la chiesa aveva chiuso ufficialmente i battenti il 7 ottobre 2018, quando è stata ufficiata l’ultima messa.
La nuova chiesa, inoltre, avrà più l’aspetto di un centro di ritrovo per il quartiere che quello di un edificio religioso, stando proprio alle dichiarazioni del clero. Soltanto una parte del nuovo e piccolo luogo di culto sarà dedicata alle funzioni liturgiche, perché sono previsti uffici, aule per convegni ed un piccolo angolo ristoro.
La demolizione, simbolo del cattolicesimo che scompare
Il 78% della popolazione continua a professarsi cattolico ma basta uno sguardo più approfondito per capire che si tratta, in larga parte, di una massa secolarizzata, cristiana più per cultura che per fede, e composta da quelli che Berger ha definito “appartenenti senza credenza“.
Numeri alla mano, l’idea che si tratti di una semplice opinione viene smentita, assumendo i connotati di un vero e proprio dato di fatto: il 22 maggio 2015 il 62,1% dell’elettorato si è espresso a favore della legalizzazione dei matrimoni omosessuali, il 18 gennaio 2016 ha fatto seguito l’entrata in vigore della legge sulle adozioni per le coppie omosessuali, il 14 giugno 2017 diventa primo ministro il liberale Fine Gael, apertamente omosessuale, e il 25 maggio 2018 il 66,4% degli irlandesi ha votato per abrogare l’ottavo emendamento sul diritto all’aborto, spianando la strada alla sua liberalizzazione.
La chiesa cattolica ha svolto un ruolo di primo piano nel rendere possibile il cambio di paradigma. Fino agli anni ’90 era considerata la più prestigiosa istituzione sociale del paese e, come in altri luoghi, forniva uno scudo di protezione per gli strati più deboli, emarginati e vulnerabili della popolazione. Fra la metà degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, poi, un’ondata di scandali si abbatte sull’intera struttura ecclesiastica nazionale, dalle arcidiocesi di Dublino e Tuem alle diocesi di Limerick, Raphoe, Cloyne e Ferns, coinvolgendo più di 100 entità gestite dalla chiesa, fra cui seminari, scuole, orfanotrofi e congregazioni.
La portata degli scandali è enorme: la commissione Ryan, istituita nel 1999, impiega dieci anni per ricostruire la storia degli abusi sessuali, concludendo i lavori con un rapporto di 2500 pagine, scritto grazie a 1090 testimonianze, che certifica oltre 1500 violenze compiute fra il 1970 e il 1999 e alle quali hanno preso parte direttamente, ossia perpetrando, e indirettamente, ossia nascondendo e insabbiando, più di 800 persone. I risarcimenti alle vittime degli abusi hanno portato la chiesa cattolica irlandese a rischio bancarotta, costando l’equivalente di un miliardo di euro.
Sono stati proprio gli scandali ad aver spinto la popolazione ad allontanarsi in massa dal cattolicesimo e ad adottare nuovi valori, anche ostili e contrari ad essa, secondo quanto appurato dal rapporto Vocations Ireland di Noelia Molina dell’ottobre 2017. Negli altri paesi europei, invece, l’affievolimento della fede è legato soprattutto ai processi di secolarizzazione e solo in minor parte alla condotta del clero; ciò rende il caso irlandese unico nel suo genere ed una preziosa fonte di insegnamento per la chiesa cattolica.
A volte, infatti, il nemico non viene dall’esterno, come nel caso delle forze secolari e laiciste, ma si cela al proprio interno, nelle stesse strutture adibite al fondamentale ruolo di trasmettere e custodire la fede e di tutelare i fedeli. La sopravvivenza del cattolicesimo, in Europa e nel resto del mondo, dipenderà quindi dalla postura che sarà assunta nei confronti del clero corrotto, perché tanti casi stile Irlanda sono già scoppiati ed altri appariranno.