In un certo senso è stato il Dreyfus del XXI secolo, il cardinale George Pell, che nella giornata di lunedì 12 ottobre ha incontrato papa Francesco, da cui è stato ricevuto in udienza, diversi mesi dopo la definitiva fine del processo che lo vedeva coinvolto nella copertura opachi casi di pedofilia nella sua diocesi di Melbourne e l’assoluzione piena da parte delle autorità giudiziarie australiane. Un processo, quello a Pell, che è andato di pari passo alla detenzione del cardinale per 404 giorni dopo la condanna in primo grado e da numerose fonti è stato indicato come “inquinato” dalla forte mediaticità e da un non secondario pregiudizio anti cristiano.

Non si può, a prima occhiata, non tracciare un parallelismo tra l’arrivo in Vaticano di Pell e lo sviluppo della problematica inchiesta che ha travolto il suo ex rivale alla Segreteria di Stato, cardinale Angelo Becciu, sollevato da tutti gli incarichi da parte di Bergoglio nelle scorse settimane dopo che si è ampliata l’indagine interna delle autorità vaticane sull’utilizzo dei fondi a disposizione delle istituzioni finanziarie della Santa Sede.

Ma tale parallelismo non regge alla prova dei fatti: una fonte di Inside Over che ben conosce le dinamiche politiche vaticane conferma che è veritiera la versione del cardinale Pietro Parolin, secondo cui “Pell aveva chiesto, dopo la sua liberazione,  di tornare a Roma. Non c’è stata nessuna convocazione di Pell da parte del Papa”. Anzi, ci conferma la nostra fonte, alla visita si stava lavorando da tempo e non è stata l’accelerazione del caso Becciu a determinarla. E chi si intende di questioni vaticane ricorderà che mai il Papa ha preso con forza le distanze dall’uomo che, nel 2014, aveva voluto a capo del dicastero preposto al riordino delle finanze della Santa Sede secondo una logica di trasparenza funzionale anche all’allentamento dei controlli delle istituzioni internazionali sul Vaticano. Francesco ha accettato che Pell si sospendesse dalle sue funzioni nel momento in cui aveva la massima necessità di affrontare il processo ma non ha mai voluto prendere le distanze da uno dei collaboratori che, pur provenendo da un campo teologicamente più conservatore, riteneva più abili.

L’incontro ha una valenza “politica” notevole: conferma la bontà della linea di trasparenza perseguita da Pell ed è avvenuto, come ricorda l’Huffington Post, a poca distanza dalla riunione del “C6”, il consiglio di sei porporati (i cardinali Óscar A. Rodríguez Maradiaga, Reinhard Marx, Sean Patrick O’Malley, Oswald Gracias, Pietro Parolin, Giuseppe Bertello, a cui si sono aggiunti il segretario del Consiglio, monsignor Marcello Semeraro, e il segretario aggiunto, monsignor Marco Mellino) preposto a un’incisiva riforma delle finanze e della Curia. Pell, a lungo membro del team quando era ancora denominato “C9”, è ancora una voce ascoltata con grande cura da Francesco, e non è un caso che al suo ritorno nell’Urbe dopo tre anni sia stato ricevuto così vistosamente dal pontefice, che ha voluto mettere una copertura al suo operato in una fase in cui le autorità anti-riciclaggio internazionali sono pronte a chiedere conto al Vaticano delle nuove misure di trasparenza.

Come fa notare l’Huffington, “in questo particolare momento il monitoraggio antiriciclaggio di Moneyval nei confronti dei due microstati confinanti con l’Italia (Vaticano e San Marino) sarà particolarmente stringente, visto il timore di Europol circa le infiltrazioni della malavita che cercherà di mettere le mani sulla massa di denaro (circa 200 miliardi di euro) che dovrebbe spettare all’Italia con il Recovery fund”. A inizio ottobre, una prima mossa in questa direzione è stata fatta: la Santa Sede ha promosso una misura fortemente auspicata da Pell e pubblicato il suo bilancio per la prima volta dal 2016, facendo risultare che i tanto discussi investimenti non coprono che una minima parte al suo intero e circa due terzi del budget è destinato a mantenimento delle missioni, attività caritatevoli, beneficenza. Il fatto stesso che in questi ultimi mesi sia stata la stessa realtà vaticana a scoprire le questioni problematiche nelle sue finanze è un ulteriore indicatore del fatto che anche la Santa Sede è maggiormente conscia dei rischi al suo interno: una nuova vittoria della linea Pell, riscattata assieme al suo promotore dopo anni problematici da cui il cardinale australiano è uscito, meritatamente, a testa alta.