Negli ultimi anni l’instabile regione del Sahel e dell’Africa sub-sahariana ha avuto di che soffrire per diverse cause: rivalità geopolitiche, instabilità interna dei Paesi, insorgenza jihadista, cambiamenti climatici. Povertà, tribalismo e disgregazione delle entità statuali hanno prodotto, tra gli effetti collaterali, anche un aumento dell’intolleranza religiosa verso i cristiani della regione.

Dal Sudan al Mali i cristiani rappresentano circa il 4% della popolazione, anche se fare stime precise è difficile. A questo si aggiunge la presenza forte e radicata di Ong, da Christian Aid a Cuamm – Medici per l’Africa, di ispirazione cristiana che contribuisce a cementare popolazioni divise su faglie etniche in una regione a grande maggioranza musulmana, decisiva per gli equilibri geopolitici del continente e per molti dossier che investono direttamente anche l’Europa, come la partita dell’immigrazione.

L’Ong Release International ha indicato nel rilancio dell’attività di Al Qaeda e Isis nella regione dopo la fine della guerra in Afghanistan e della statualità del Califfato tra Siria e Iraq la causa dell’aumento dell’intolleranza negli ultimi anni ricordando che ” i jihadisti stanno cercando di creare uno Stato islamico del Grande Sahara. È davvero ovvio che si tratta di un conflitto religioso”.

La presenza di sempre più jihadisti e la contestuale crescita dell’attività anticristiana in un Paese critico della regione, il Burkina Faso, è stata segnalata già dall’inizio dell’escalation contro i cristiani nel 2015 da Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs).

Acs segnala da tempo criticità nel Paese che fu di Thomas Sankara, in cui nel dicembre 2019 i jihadisti hanno ucciso 14 cristiani a Hantoukoura, nella parte orientale del Paese. Le tossine jihadiste hanno avvelenato i pozzi nella società locale, ove la tolleranza inter-religiosa era tradizionalmente rispettata anche nelle fasi di tensione etnica. L’infiltrazione dei guerriglieri radicalizzatisi in Siria e Iraq è stata fatale. Alessandro Monteduro, direttore di Acs Italia parlando con Il Timone ha dichiarato che nella regione ci sono “Paesi che fino al 2015 non sapevano neppure cosa fosse la persecuzione in odio alla fede, e che invece oggi sono l’epicentro del fenomeno”.

Laurent Dabiré, vescovo cattolico della diocesi burkinabé di Dori dal 2013 e dal 2019 Presidente della Conferenza Episcopale di Burkina Faso e Niger, è sul tema la voce più attenta nella denuncia delle persecuzioni anticristiane a fianco del vescovo di Fada ‘Ngourma, monsignor Pierre Claver Malgo. Dabiré ha scritto su Settimana News che “i terrroristi che aggrediscono il Burkina Faso non sono i musulmani con cui noi viviamo da sempre: questi non hanno problemi con i cristiani. Il problema è costituito da coloro che sono arrivati da lontano e da quelli che sono stati radicalizzati a contatto coi primi”. Il Burkina Faso è un caso estremo, ma purtroppo non isolato. Il report 2022 di Acs sulla persecuzione religiosa parla chiaro.

Un fronte sempre caldo resta il Mali, specie nella “terra di nessuno” in cui scorrazzano jihadisti e trafficanti di esseri umani al confine col Niger. Proprio a un posto di blocco tra Gao, Mali, e la capitale nigerina Niamey cinque cristiani sono stati sequestrati e assassinati da forze dell’Isis nel giugno 2021. In Mali la Costituzione, ricorda Acs nel suo report sulla persecuzione dei cristiani nel mondo, vieta ogni forma di discriminazione religiosa. Ma già dieci anni fa le comunità cristiane risiedenti nel Nord del Paese furono cacciate dall’avanzata jihadista, mentre in seguito nel dicembre 2021 nelle aree abitate dai cristiani in centro al Paese 34 persone sono state assassinate in vari attentati. Ove i gruppi radicali legati a Al Qaeda nel Maghreb Islamico imperversano viene vietata ai cristiani la possibilità di praticare i loro riti.

In Sudan, invece, Acs denuncia un ritorno alla persecuzione dell’era di Omar al-Bashir dopo il golpe militare del 2021. E di converso aumenta la pressione sul confinante Sud Sudan Tra gli episodi citati si rammenta “un attacco al villaggio di Dungob Alei, nel nord del Sudan meridionale, avvenuto nel maggio 2021”, portato da gruppi islamisti radicali e che “ha causato la morte di 13 persone e otto feriti”.

La libertà di culto ai cristiani è duramente limitata anche in Eritrea, propaggine orientale del Sahel: nell’ex colonia italiana il regime dittatoriale di Isaias Aferweki tra il 2021 e il 2022 ha sequestrato beni e terreni alla Chiesa cattolica locale e nelle celle del carcere di massima sicurezza di Mai Serwa di Asmara un quinto degli arrestati ivi detenuti (500 su 2.500) sono cristiani perseguitati e messi in galera perché sorpresi a svolgere funzioni in luoghi non autorizzati o perché rifiutatisi per ragioni religiose di prestare servizio nell’esercito per i 18 mesi di leva obbligatoria. A 94 anni, nel febbraio scorso, nella sua abitazione a Asmara ove era detenuto agli arresti domiciliari da quindici anni, è morto il Patriarca Abune Antonios della Chiesa Ortodossa Eritrea Tawahedo. Acs riporta che “gli è stata negata l’assistenza medica nonostante soffrisse di diabete e pressione alta”.

La situazione resta critica, anche se l’incremento della pressione europea e occidentale sul tema della libertà religiosa (Roma e Bruxelles hanno nominato inviati speciali sul tema) renderà più alto lo scrutinio già esercitato con attenzione dal Vaticano e dei suoi apparati ecclesiastici (e informativi) presenti in Africa. Aggiornamenti Sociali ha mostrato il ruolo dei movimenti cristiani nel difendere le comunità dall’intolleranza indipendentemente dal loro credo e mostrato l’esempio iconico in Burkina Faso delle attività di Radio Notre Dame du Sahel, emittente gestita dai gesuiti nella diocesi di Ouahigouya, nel Nord dell’ex Alto Volta, in cui cristiani, musulmani e animisti lavorano assieme per fare informazione, divulgazione e offrire una contronarrazione alle sirene jihadiste che lanciano il loro richiamo dalle madrase integraliste. Un messaggio di speranza degno del ruolo della Chiesa aperta ad gentes e all’ecumenismo, testimone delle sofferenze di una regione intera, che in Sahel deve affrontare prove dure e sfide complesse. Destinate ad affliggere ulteriormente una regione tanto strategica quanto dannata.

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