Il primo ministro del Pakistan Imran Khan dà una forte spallata all’intolleranza e all’estremismo islamico nel Paese asiatico. È notizia degli ultimi giorni infatti che il governo di Islamabad ha approvato la costruzione del primo tempio indù nella capitale del Pakistan. E, aspetto assolutamente rilevante, l’esecutivo di Khan non solo ha dato il nulla osta alla costruzione del luogo sacro ma ne sarà cofinanziatore dal momento che destinerà, secondo il quotidiano locale Dawn, 100 milioni di rupie, pari a 1,32 milioni di dollari, per la realizzazione del tempio e delle strutture associate.

Una storia estremamente importante se contestualizzata nella cornice del Pakistan contemporaneo dove le minoranze religiose vivono discriminate e prevaricate a causa sia del fanatismo, che infetta ampi strati della popolazione, ma anche per alcune leggi che hanno sempre mirato a mantenere in uno stato di subordinazione i gruppi confessionali minoritari. Un esempio esplicativo è la ”legge sulla blasfemia” che, dal 1986, punisce chi nomina Maometto e il Corano e che ha relegato gran parte della minoranza cristiana, il 2% della popolazione, e di quella induista, il 3% della popolazione, a una situazione di miseria e subordinazione. Il caso più eclatante di come la legge sulla blasfemia sia stata adoperata in modo arbitrario è quello di Asia Bibi, una giovane contadina cristiana che, accusata di aver oltraggiato il Profeta, è stata condannata a morte senza prove ed è rimasta in carcere per 8 anni sino a quando nel 2018 la Corte Suprema l’ha assolta.

Imran Khan, quando due anni fa esplose il caso Asia Bibi, si schierò apertamente a favore della scarcerazione della donna e si scagliò aspramente contro i fondamentalisti islamici che ne invocavano l’uccisione. Oggi, con il nulla osta alla costruzione del tempio indù, ha dimostrato di voler proseguire nel percorso di lotta alle discriminazioni nei confronti delle minoranze etniche e religiose del Pakistan. La proposta di costruzione del tempio venne infatti già discussa nel 2017, sotto il governo dell’ex primo ministro Nawaz Sharif, ma la realizzazione trovò degli ostacoli amministrativi. Solo dopo tre anni e un nuovo leader alla guida del Pakistan il progetto, che prevede oltre al tempio anche la costruzione di un forno crematorio, alloggi per i visitatori, una sala della comunità e un parcheggio distribuito su un’area di più di 2000 metri quadrati, ha preso vita. Giubilo e soddisfazione da parte della comunità indù pakistana sono stati immediati. “Questo è un grande passo per la comunità indù e per il Pakistan”, ha detto ad Al Jazeera Pritam Das, residente a Islamabad, che poi ha proseguito nello spiegare che questo evento non va ad arricchire solo la comunità indù ma il Pakistan tutto dal momento che il mondo intero inizierà ad avere una nuova visione del Paese asiatico per troppo tempo associato al fanatismo e considerato una terra ortodossa, immobile e refrattaria a qualsiasi apertura religiosa.

L’esecutivo di Khan, come anticipato, non è nuovi a questi gesti che mirano alla riconciliazione e alla tolleranza religiosa, l’anno scorso infatti il governo di Islamabad aveva anticipato che si sarebbe impegnato a ristrutturare oltre 400 templi indù disseminati in tutto il Paese, inoltre a novembre il premier Khan si è messo in luce anche per aver teso la mano verso l’India e la comunità Sikh inaugurando il corridoio di Kartarpur. Un pellegrinaggio che consente a oltre 5000 pellegrini l’anno di viaggiare dall’India al Pakistan, senza visto, per potersi recare in uno dei siti più santi della religione Sikh.

Come prevedibile non sono mancate però anche delle osservazioni critiche alle politiche di Khan. Omar Waraich, capo di Amnesty International nell’Asia meridionale, ha dichiarato ad Al Jazeera che, benchè la costruzione del tempio sia “un gesto molto gradito”, la comunità indù pakistana ha bisogno di “molto più che semplici gesti. Ha bisogno di protezione: protezione dei templi dagli attacchi dei vandali, protezione delle donne e delle ragazze dalle conversioni forzate e protezione di tutta la comunità da leggi e pratiche discriminatorie che le hanno sottoposte a persecuzione”. Nel rapporto del 2019 sul Pakistan, stilato da Amnesty, si legge che le minoranze religiose continuano ad essere perseguitate e secondo l’associazione Movement for Solidarity and Peace ogni anno mille ragazze indù e cristiane sono costrette a convertirsi per sposare uomini musulmani.

La risposta da parte del primo ministro però non si è fatta attendere, Khan ha infatti fatto sapere, tramite il ministro federale per gli affari religiosi Noor-ul-Haq Qadri, di voler formulare, entro due mesi, un disegno di legge riguardante la controversa questione delle conversioni forzate di cui molte donne indù e cristiane sono state vittime. Per il momento si tratta di una volontà chiara e manifesta, la speranza è che diventi presto realtà a riprova, ancora una volta, del fatto che il Pakistan sta virando,a poco a poco, la rotta della sua storia, affrancandosi dagli estremismi oscurantisti e aprendosi verso le minoranze, cercando così di archiviare discriminazioni, prevaricazioni e violenze che per troppo tempo hanno infettato la ”terra degli uomini puri”.

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