Cristiani perseguitati in Nigeria, religiosi messi in fuga dall’estremismo islamico nel Sahel, chiese prese di mira in molti Stati dove la fede cristiana è in minoranza. Quello africano è un continente dove le varie comunità sono falcidiate e martoriate dalla povertà, dal fanatismo, dal terrorismo.

Di recente si è aggiunta la piaga del coronavirus, che rischia di rendere ancora più isolate diverse comunità che aspettano aiuti e sostegni per sopravvivere. Adesso si è aggiunto anche un altro fronte: quello dei cristiani tigrini in fuga dal loro stesso Paese, peraltro a maggioranza cristiana. Un paradosso che ha dell’incredibile e che potrebbe portare al disastro umanitario: in Etiopia un premier che vuole rilanciare un “etiopianismo” basato sulla comune radice cristiana ha scatenato un conflitto in grado di creare migliaia di profughi cristiani.

Il conflitto in Etiopia

Il 4 novembre del 2020 è la data che ha segnato la fine del periodo di tregua vissuto per due anni dall’Etiopia, dopo il pluridecennale scontro con l’Eritrea. L’origine di un nuovo conflitto è dovuta alla volontà del primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed di imporre l’intervento dei militari nelle regioni settentrionali del Tigray, area al confine con l’Eritrea. Un’azione richiesta dal premier dopo un lungo e duro scontro con il Partito per la Liberazione del Tigray (Tplf). L’obiettivo del primo ministro etiope è quello di porre fine all’attuale sistema costituzionale che si basa sul federalismo etnico e introdurre lo Stato centralizzato, con la forte guida di Addis Abeba. Un nuovo concetto di nazione quindi,  basato sulla lingua amarica e sulla religione cristiano-ortodossa. Questo progetto ha trovato però l’opposizione del Tplf, il quale ha egemonizzato per anni la politica etiope e che ha come obiettivo il mantenimento dell’attuale impostazione costituzionale. Un braccio di ferro trasformatosi adesso in una drammatica resa dei conti.

L’esodo verso il Sudan

La nascita del conflitto nelle regioni settentrionali del Tigray ha avuto tra i vari effetti quello di mettere in fuga migliaia di abitanti verso altri territori. Lo Stato che ha iniziato a registrare i maggiori arrivi è il Sudan. Qui da novembre hanno iniziato ad entrare più di 4 mila persone al giorno e la maggior parte di loro sono cristiani. Tutti partono portando dietro poche cose, a volte solo i vestiti che indossano. Senza distinzione di sesso o di età, più di quarantamila persone sono scappate dalla guerra alla ricerca di un po’ di tregua. L’afflusso dei rifugiati nel Sudan sta mettendo a rischio il sistema di accoglienza con difficoltà nella gestione di questi numeri. Nonostante gli appelli internazionali che invitano le forze combattenti a deporre le armi, al momento non vi sono segnali che fanno sperare ad una rapida fine del conflitto. E ora che l’esercito federale etiope è entrato a Macallè per catturare i dirigenti tigrini, si teme che gli scontri possano causare centinaia di vittime civili. Prosegue quindi la fuga della popolazione che pur di sottrarsi alla guerra non tiene conto di altri possibili rischi derivanti dall’esodo. A lungo andare la presenza imponente dei cristiani nel  Paese musulmano che li ospita, potrebbe generare nuovi problemi per la loro incolumità e non sono quelli legati all’accoglienza.

L’antica tradizione cristiana dei tigrini

Il cristianesimo nel corno d’Africa rappresenta un grande elemento di identità. L’insegnamento del Vangelo è arrivato da queste parti ben prima della colonizzazione europea. Addirittura le origini vanno ricercate nel grande regno di Axum, lì dove tra il IV e il V secolo la religione cristiana è diventata quella ufficiale nella corte. Saheed A. Adejumobi, uno degli storici più importanti dell’Etiopia, ha fatto risalire l’avvento del cristianesimo allo sbarco di due fratelli, Frumenzo ed Edesio, dalla città di Tiro. Questi ultimi, condotti come schiavi alla corte, hanno convertito Re Ezanà alla nuova religione. E da allora la storia della regione orientale del continente è cambiata per sempre.

“Il cristianesimo per etiopi ed eritrei è uno dei pochi punti in grado di unirci – ha confermato ad InsideOver un cittadino eritreo da anni residente in Italia – Puoi parlare tante lingue, appartenere a tante etnie, ma l’appartenenza alla religione cristiana ci accomuna”. E questo vale anche per i tigrini. Sono più di cinque milioni i tigrini in Etiopia, molti dei quali vivono nella regione coinvolta nel conflitto esploso a novembre. La stragrande maggioranza è cristiana, per la precisione cristiana copta. Anche questo un elemento da non trascurare nell’identità dei tigrini e del resto dei popoli etiopi: la loro Chiesa è quella che fa capo al Patriarca d’Alessandria, la cui origine è da individuare dallo scisma consumatosi nel concilio di Calcedonia del 451.

Lo stesso premier Abiy Ahmed, come spiegato da Alessandro Lutman, quando parla di “etiopianismo” fa riferimento alla comune appartenenza alla Chiesa cristiano copta. In barba però al plurisecolare cammino comune sul fronte religioso, adesso i tigrini sono costretti a scappare dalla propria terra. E a mettersi in salvo in territori lontani dalle proprie abitazioni.

Il pericolo dei cristiani in Sudan

L’esodo di tigrini verso il confinante Sudan è contrassegnato da mille incognite. In primo luogo, si sta scappando verso un Paese in forte difficoltà. I segni di un trentennale dominio da parte di Bashir, al pari di quelli provocati dalle ferite del golpe dell’aprile del 2019, rendono il Sudan il posto meno adatto a dare accoglienza. L’Unhcr ha stimato in un milione il numero possibile di tigrini che oltrepasseranno la frontiera. Per loro sarà difficile ricevere cibo, medicine e altri materiali di prima necessità. Il loro Natale sarà trascorso probabilmente dentro improvvisate tendopoli, difficili da raggiungere dalle organizzazioni internazionali. Dall’Europa poi, per il momento nessuna voce si è levata a loro difesa. Nessun governo al momento sembra accorgersi di un possibile disastro umanitario capace di coinvolgere una grande comunità cristiana. A confermare le difficoltà anche le testimonianze rese all’agenzia cattolica Sir dai missionari salesiani: comunicazioni interrotte, strade sbarrate, gente lasciata allo sbaraglio.

In secondo luogo, occorre considerare che i tigrini si stanno ritrovando in massa rifugiati in un territorio a maggioranza musulmana. La Chiesa, cattolica e copta, in Sudan non sono ben viste. Yunan Tombe Trille Kuku Andali, vescovo della città sudanese di El-Obeid, lo scorso anno su VaticanNews è stato molto chiaro: “Qui la Chiesa è vista come una comune Ong, siamo trattati come tali”. La domanda sorge quindi spontanea: sono possibili delle persecuzioni contro i cristiani tigrini in Sudan? Le preoccupazioni in tal senso sono molto forti: “Non credo però che si arriverà a una persecuzione – ha dichiarato una fonte diplomatica che ha voluto rimanere anonima – Ma verranno trattati come merce da quei trafficanti, attivi in Sudan, che proveranno a farli arrivare in Italia”. L’allarme è quindi lanciato. Spetta alla coscienza dell’Europa coglierlo prima che sia troppo tardi.

 

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