Se confermata nel programma ufficiale, sarebbe una visita epocale, con pochi precedenti nella storia del dialogo interreligioso: appare sempre più probabile che Papa Francesco possa recarsi nella città santa sciita di Najaf nel corso della sua visita di marzo in Iraq. A dichiararlo una delle figure simbolo del cristianesimo iracheno, che combatte da anni una battaglia per la sopravvivenza in un Paese ferito da guerre e tensioni interne, il cardinale Louis Raphael Sako, patriarca caldeo di Babilonia.

Parlando nel corso di un incontro online promosso dalla conferenza episcopale francese e dall’Oeuvre d’Orient, Sako ha annunciato di aver saputo che Papa Francesco intende recarsi nel cuore pulsante dell’Islam sciita, che custodisce la tomba del califfo Alì, quarto successore di Maometto per tutti i musulmani del mondo punto di riferimento per la corrente islamica che alla sua genealogia fa riferimento ritenendolo il primo Imam, terzo luogo per afflusso di pellegrini nel mondo musulmano dopo La Mecca e Medina. E Najaf, cittadina di circa un milione di abitanti a 160 km dalla capitale Baghdad, il 6 marzo prossimo sarebbe, secondo quanto anticipato da Sako, destinata a ospitare un incontro tra Bergoglio e il Grande Ayatollah Ali al-Sistaniritenuto uno dei maggiori esponenti dello sciismo duodecimano al mondo. L’occasione permetterebbe alla guida della Chiesa Cattolica e al 90enne ayatollah iracheno di firmare congiuntamente la  dichiarazione congiunta sulla “fratellanza umana” che il Pontefice argentino ha firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi con il grande imam di al-Azhar, la autorevole università sunnita del Cairo.

Uno dei massimi religiosi iracheni di confessione sciita, Sayyed Jawad Mohammed Taqi Al-Khoei, segretario generale dell’Al-Khoei Institute e co-fondatore dell’Iraqi Council for Interfaith Dialogue, interpellato da Asia News, ha alimentato le speranze che l’incontro possa avvenire e promuovere risultati fecondi: “Come musulmano sciita, non considero papa Francesco una autorità solo per i cattolici, ma per tutta l’umanità. E lo stesso vale per il grande ayatollah. L’islam sciita e il cattolicesimo “condividono aspetti simili per quanto concerne l’uso dell’intelletto e della ragione”

Sako in una recente intervista all’Osservatore Romano ha parlato a nome dei cristiani iracheni sottolineando che “noi stiamo preparando tutto insieme con il governo” la visita papale. “Per tutti è un evento straordinario. Il Papa verrà a dire: “Basta guerre, basta violenza, cercate la pace, la fraternità e la tutela della dignità umana”. Logico che in questo contesto un incontro con Sistani avrebbe un effetto catalizzatore per le dinamiche sociali, politiche e religiose che i cristiani iracheni sperano la visita del Papa possa mettere in moto. Portando all’attenzione del mondo la questione del drammatico crollo demografico dei cristiani d’Iraq e stabilendo una sinergia con l’Islam sciita per promuovere il dialogo interreligioso e culturale, ponendo fine al clima settario scatenato dalle conseguenze dell’invasione statunitense del 2003 e da una fase di continui conflitti intestini animati dall’insorgenza jihadista e dalle attività dell’Isis.

Peraltro, un incontro tra Francesco e l’ayatollah non potrà non avere anche una valenza politica interna per il tormentato Paese mediorientale. Sistani ha sempre voluto unire la sua aderenza alla tradizione sciita duodecimana e il suo ruolo di maestro religioso a una coscienza politica e umana che lo porta a schierarsi a favore dell’autonomia della sua nazione, l’Iraq, nel gioco delle grandi potenze e a evitare, per esempio, che un controbilanciamento dell’influenza statunitense porti il Paese nelle braccia del vicino Iran, con la cui teocrazia sciita ha avuto più volte scontri ideologici e dialettici.

Sistani nel 2005 ha perorato le libere elezioni e invitato tutti, donne comprese, a partecipare; ha emesso più di una fatwa contro il terrorismo e per invitare gli sciiti a resistere dal reagire violentemente agli assalti dei salafiti e degli estremisti, spezzando il circolo vizioso delle vendette; nel 2014 ha emesso una fatwa per invitare tutti i cittadini a difendere la “nazione e il popolo iracheni” dall’insorgenza dell’Isis. Poco più di un anno fa, dopo le proteste che a cavallo tra il 2019 e il 2020 hanno visto i cittadini scendere in piazza contro le ristrettezze nelle condizioni di vita e la crisi sociale del Paese contro il governo di Adil Abdul-Mahdi, Sistani ha condannato apertamente la repressione della polizia che ha causato oltre 500 morti, contribuendo di fatto alla sconfessione dell’esecutivo e alle sue dimissioni nel maggio scorso.

Logico, dunque, che un incontro Francesco-Sistani rappresenterebbe un vero e proprio messaggio diplomatico distensivo all’Iraq e al Medio Oriente intero. Un atto di rilancio di quel “multilateralismo” che la Santa Sede avalla da tempo come approccio preferito al contesto internazionale, funzionale a mantenere aperto un dialogo che possa disinnescare le tensioni politiche, sociali, religiose nelle aree più calde del mondo e, di conseguenza, migliorare le condizioni dei cristiani in scenari complessi come l’Iraq.

Riccardo Cristiano su Formiche ha fatto notare che “Visitare Najaf, la loro città santa, vorrà dire per Francesco aprire un contatto, un dialogo, con ogni sciita, quasi un rapporto personale con ciascuno di loro”. Un islam sciita che tra millenarismo e visione del mondo (fondata sul riscatto degli oppressi e gli ultimi) ha punti di contatto non indifferenti con l’escatologia e la tradizione cattolica può rappresentare, nelle sue forme più dialoganti, un interlocutore di peso. “Più che il testo del documento che dovrebbe firmare”, prosegue Cristiano, “è il luogo dove l’incontro e la firma dovrebbero avvenire a contare. Quel luogo costituisce il vero cuore dell’Islam sciita, e il Grande Ayatollah al-Sistani, novantenne, è sempre rimasto fedele alla teologia sciita, non accettando la svolta teocratica khomeinista”.

Francesco è sempre stato abile a unire simbolismo e pragmatismo nelle sue visite apostoliche e apparizioni pubbliche: lo ha fatto nel 2016 in occasione dell’incontro a Cuba col patriarca di Mosca Kiril, in cui fu possibile vedersi realizzato quell’abbraccio atteso da più di mille anni tra la massima autorità ortodossa e il pontefice romano; lo ha confermato in occasione dei suoi numerosi viaggi nei Paesi musulmani, il più celebre di quali è stato il citato appuntamento negli Emirati del 2019; più di recente. Infine, durante la pandemia di coronavirus, Francesco si è più volte palesato a Roma e al mondo come leader religioso conscio di doversi far carico dei pensieri e delle sofferenze di milioni di fedeli e già nella storia recente della Chiesa sono le immagini della sua preghiera davanti a Maria “Salus Populi Romani” e della celebrazione solitaria e silenziosa in Piazza San Pietro del 27 marzo scorso. Nessuna di queste iniziative è stata a uso e consumo di obiettivi “di immagine”, ma è risultata funzionale alla volontà della Chiesa di Bergoglio di avvicinarsi all’uomo e agli uomini, al dialogo tra i popoli e al confronto tra i credenti di diversi fedi. Un “multipolarismo religioso” a cui un nuovo tassello si potrebbe aggiungere, tra poche settimane, nel cuore pulsante dell’Islam sciita.

 





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