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Il quotidiano cinese Global Times, spin off del Quotidiano del Popolo alle dipendenze del Partito comunista cinese (Pcc), ha scritto su Twitter che Pechino e il Vaticano starebbero organizzando la visita di papa Francesco in Cina. Il tweet, che cita il vescovo Marcelo Sanchez Sorondo, il cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, parla chiaro: “I prossimi passi tra China e il Vaticano sono la creazione di relazioni diplomatiche tra i due Paesi, l’organizzazione della visita di Papa Francesco in Cina e l’accoglienza dei leader cinesi in Vaticano”.


Il messaggio è chiaro e inequivocabile: i tempi sono ormai maturi per far incontrare due soggetti ciascuno dei quali responsabile di circa un quinto dell’umanità e dotato di una storia antichissima. Il monsignor Sanchez Sorondo è lo stesso che in tempi non sospetti aveva lanciato vari assist a Pechino, prima definendo la Cina un “Paese straordinario” in quanto a quelle latitudini “i giovani non assumono droghe” e non ci sarebbero “baraccopoli”, poi sottolineando come oltre la Muraglia fosse presente una “coscienza nazionale positiva”. Non solo: il Dragone, sempre secondo la visione dello stesso vescovo, starebbe mettendo in pratica l’enciclica di Papa Francesco, Laudato Si “meglio di tantissimi altri Paesi”.

L’assist del Vaticano alla Cina

Insomma, continuando a citare Marcelo Snachez Sorondo e alcuni suoi recenti interventi, appare evidente come in Vaticano ci siano personalità che ritengono la Cina migliore degli Stati Uniti, dove, al contrario dell’ex Impero di Mezzo, l’economia “domina la politica”, dove “il pensiero liberale ha liquidato il concetto del bene comune” e dove “le multinazionali del petrolio” influenzano la linea politica di Washington. Il quadro evocato da Sorondo prende forma: da una parte l’inferno americano, dall’altro il nuovo paradiso cinese. Al netto delle opinioni personali, una posizione del genere appare subito alquanto semplicistica, o peggio, mossa da considerazioni ideologiche avverse al governo americano. Nell’elogiare la Cina, Sorondo non ha infatti fatto cenno delle condizioni religiose esistenti a quelle latitudini, dove c’è spazio solo per il “cattolicesimo con caratteristiche cinesi”. Semaforo verde, insomma, solo per quei culti che hanno ricevuto il via libera dall’alto, che sono schedati e controllati dalle autorità centrali; gli altri, quelli indipendenti, rappresentano una minaccia troppo grande, e per questo le loro attività sono osteggiate in tutti i modi. La Chiesa di Francesco, inoltre, sempre attenta nel difendere i più deboli, non ha speso una sola parola né per la delicata situazione nello Xinjiang né per le proteste di Hong Kong.

Interesse reciproco

Ha fatto poi discutere l’accordo provvisorio stipulato tra il Vaticano e la Cina per la nomina dei vescovi da parte di Pechino. Secondo le indiscrezioni, questo sarebbe il funzionamento citato nel patto: le varie diocesi cinesi scelgono i loro candidati, i quali devono poi superare l’esame del governo; soltanto a quel punto, i vescovi potranno essere consacrati dal Papa. L’accordo è provvisorio, ma allo stato attuale delle cose entrambe le parti hanno ottenuto quanto richiesto. E proprio questa logica win win potrebbe essere alla base del tanto atteso viaggio del Pontefice in Cina. Già, perché in tal caso i due soggetti avrebbero di che guadagnarci: il Vaticano riuscirebbe finalmente ad avvicinarsi ai numerosi fedeli cinesi (un bacino ricco di fedeli dal quale attingere “nuove leve”), mentre la Cina riuscirebbe ad accreditarsi d’innanzi all’opinione pubblica come “amica” dei cristiani. Un profilo, questo, che farebbe dimenticare in un istante i numerosi problemi della Cina con la violazione dei diritti umani a lei imputati da mezzo mondo.

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