La regione di Idlib, nel nord-ovest della Siria, continua ad essere uno dei territori contesi tra le forze governative – supportate dalla Russia – e le milizie jihadiste affiliate per la maggior parte ad Ankara. L’area è spesso soggetta a bombardamenti e ad attacchi da parte di Damasco, che mira a riprenderne il controllo per annettere nuovamente anche il nord-ovest del Paese ed eliminare le ultime sacche di resistenza jihadista ancora attive in Siria. La regione di Idlib è considerata l’ultima roccaforte delle milizie islamiste ed è ufficialmente sotto il controllo di Tharir al Sham, gruppo estremista con forti legami con la Turchia noto per la sua brutalità e per la costante violazione dei diritti umani portata avanti dai suoi membri.

Diversi report stilati da Ong ed organismi internazionali hanno più volte evidenziato le difficoltà che la popolazione civile di Idlib è costretta ad affrontare da quando Hts e altre fazioni jihadiste hanno iniziato a governare la regione. Si parla spesso di omicidi, rapimenti, arresti arbitrari, violenze sessuali (principalmente contro le donne) e confisca o distruzione di proprietà private. La stessa Onu ha sottolineato come a Idlib vengano perpetrati veri e propri crimini di guerra contro i civili, prima vittima di un conflitto che va avanti già da nove anni. La guerra, si legge nel report di ottobre dell’Onu, ha anche costretto un milione di persone a lasciare l’area di Idlib ed Aleppo: le loro proprietà sono poi state sequestrate da Hts o distrutte, privando gli sfollati anche della possibilità di fare un giorno ritorno alle proprie case.

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Le violenze delle milizie jihadiste colpiscono tutta la popolazione di Idlib, ma a temere particolarmente per la propria vita sono i cristiani della Valle dell’Oronte.

I cristiani di Idlib

Nei villaggi di Yacoubie, Gidaideh e Knaye vivono tre importati comunità cristiane, guidate da due frati francescani: il quasi settantenne Hanna Jallouf e il quarantenne Luai Bsharat. Entrambi, allo scoppio della guerra, hanno deciso di restare al fianco delle 300 famiglie cristiane del nord-ovest della Siria.

“Tutti i preti e i sacerdoti che c’erano sono fuggiti dopo che molte chiese e luoghi di culto sono stati distrutti o bruciati”, ha raccontato padre Jallouf in un’intervista all’Agensir. “Temono per la loro vita, si chiedono se dovranno fuggire e abbandonare tutto. Io ripeto loro di non avere timore, che Dio è con noi e ci aiuterà come ha sempre fatto in questi anni di guerra”. Ma continuare a vivere a Idlib non è facile. “La gente è stremata da tanti anni di guerra. È ancora più povera, perché qui ci manca tutto. Manca l’elettricità, manca l’acqua, il costo della vita è molto alto, qualche pezzo di pane riusciamo a prenderlo quasi a un dollaro, poi ci sono da acquistare il gasolio, la benzina. E non c’è lavoro”, aveva poi spiegato il francescano in un’ultima intervista a Vatican news.

Parole, quella di Hanna, confermate anche da padre Firas Lutfi – Custode della Provincia di San Paolo per i Francescani di Siria, Libano e Giordania – all’associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS). Secondo quanto raccontato dal sacerdote, i gruppi jihadisti attivi a Idlib hanno confiscato le proprietà della Chiesa, imposto la sharia e distrutto tutto ciò che potesse ricordare la religione cristiana, come le croci sulle tombe o nei luoghi di culto.

Nonostante le violenze, per padre Lufti la presenza dei suoi confratelli nei villaggi dell’Oronte è fondamentale affinché la religione cristiana possa continuare a sopravvivere anche in tempi di guerra e persecuzione. Dopo nove anni, il numero dei fedeli è notevolmente diminuito: prima del conflitto i cristiani siriani erano circa 2 milioni, ma secondo diverse stime la metà dei fedeli avrebbe già lasciato il Paese.

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