Invadendo l’Ucraina la Russia ha perso, forse per sempre, ogni legame che la teneva vincolata e coesa al suo vicino occidentale, un vero e proprio Paese gemello nel corso dei secoli di comune storia. La rottura degli ultimi legami tra la Chiesa ortodossa ucraina e il Partiarcato di Mosca di Kiril, vero e proprio “cappellano” del Cremlino dall’inizio della guerra il 24 febbraio scorso, lo testimonia.
“Non siamo d’accordo con la posizione del patriarca Kirill di Mosca e di tutte la Russie sulla guerra in Ucraina”, si legge in un recente comunicato della chiesa guidata dal metropolita Onufriy, che dopo lo scisma della Chiesa ortodossa ucraina passata a fare riferimento al Patriarcato di Costantinopoli era rimasta, minoritaria ma attiva, a tenere i legami con Mosca. Onufriy, dall’inizio della guerra, ha un atteggiamento durissimo verso Mosca e non ha fatto sconti a Vladimir Putin e a Kiril nonostante i legami tra la sua Chiesa e la Russia. Il 24 febbraio, dopo l’invasione russa, Onufriy ha dichiarato che “”i popoli russo e ucraino provengono dalla fonte battesimale del Dnepr e una guerra tra loro è una ripetizione del peccato di Caino, che uccise il suo stesso fratello per invidia. Una tale guerra non può essere giustificata né da Dio né dal popolo”. Toni molto diversi dalla giustificazione della guerra da parte di Kiril da parte di un leader religioso che ha sempre esposto ragioni critiche verso il conflitto in Donbass, l’avvicinamento tra Ucraina e Occidente e il nazionalismo rampante nel Paese senza però dare mai sponda a separatismi o a quinte colonne nella sua Chiesa.
Mentre il patriarca di Mosca ha velatamente giustificato l’aggressione motivandola come una punizione per il rifiuto dei valori cristiani da parte dell’esecutivo ucraino, comprendente tra le altre cose l’organizzazione dei gay pride, Onufriy apriva le chiese per gli sfollati, le usava come centri per curare le vittime dei bombardamenti. Acquisendo una posizione di fatto sovrapponibile a quella di Epifanio, patriarca della Chiesa scismatica con Mosca dal 2018, il cui passo di distacco da Mosca è stato riconosciuto, oltre che da Costantinopoli, dal patriarcato di Alessandria e dalla chiesa ortodossa di Grecia.
La manovra di Onufriy ha valenza religiosa e politica. Accelera il processo di nation building e di costruzione di un’identità nazionale ucraina accelerato dalla guerra: sotto le bombe russe, gli ucraini si sono riscoperti parte di un “noi” collettivo che passa anche attraverso una genuina identità ortodossa. I fedeli di entrambi i patriarcati e i loro leader hanno preso una posizione chiara di condanna contro il nazionalismo diventando, gradualmente, la stessa cosa. Ma non solo: il distacco da Mosca della Chiesa ucraina che restava legata alla tradizione ortodossa ha una valenza poderosa se si pensa che la narrazione della Santa Russia è cominciata proprio a Kiev. La capitale ucraina è il centro ove tutto è cominciato, oltre mille anni fa, Il “battesimo della Rus” ad opera del Gran Principe di Kiev Vladimir I avvenne nel 988 proprio nella prima, grande città russa. Vladimir fu battezzato dai monaci ortodossi giunti da Costantinopoli in forma privata a Kherson, in Crimea, e poi promosse a Kiev il battesimo collettivo del popolo da lui guidato nelle acque del Dnepr. La “fonte battesimale” di cui ha parlato Onufriy nel discorso del 24 febbraio e che oggi è linea di faglia e frattura, obiettivo militare, punto di tensione.
E Kiril, col suo sostegno all’iniziativa di Mosca in Ucraina, ha fornito un poderoso assist all’obiettivo del distacco religioso tra la Russia e l’Ucraina perseguito a partire dal 2016 dall’ex presidente Petro Poroshenko e sostenuto dagli Stati Uniti per accelerare il disaccoppiamento tra i due Paesi. Volodymyr Zelensky, giunto all’inizio della guerra nella fase di maggior difficoltà in termini di gradimento, riceve dalla convergenza tra le due Chiese ucraine, sempre più simili tra loro dopo la rottura tra Onufriy e Kiril, un ulteriore assist per la creazione di una percezione nazionale da parte del suo Paese. Mentre il patriarcato di Mosca rischia ora di perdere definitivamente un terzo dei suoi fedeli e la garanzia di una proiezione all’estero fondamentale anche per un Cremlino intento a “nazionalizzare” l’ortodossia.
Come dichiarato a Askanews dal giornalista Luigi Sandri, storico conoscitore delle dinamiche dell’ortodossia, la rottura di Kiril con una tradizione di moderazione creerà problemi quando il concilio plenario dei patriarcati che rispondono a Mosca, ovvero quelli “dei paesi baltici, della Bielorussia e della Moldavia”, si riunirà per la prima volta dopo la pandemia. “Non ci sarà più l’unanimità, e non su una questione strettamente religiosa, teologica”, nota Sandri. “Il punto che spacca la Chiesa è politico: questa guerra era morale o no? La Chiesa prega per i soldati russi, ma chi li ha mandati a morire?”, si è chiesto il giornalista presagendo che quello “sarà il giorno del giudizio universale per il patriarca russo”. Il quale ha giocato il tutto per tutto nel sostegno alla guerra che fa sgorgare sangue dalla fonte comune dell’identità russo-ucraina, il Dneper dalle cui acque fu battezzato Vladimir e nacque la storia che avrebbe resto Mosca la Terza Roma. Oggi forse spezzato per sempre.