“I pastori fulani, affiancati da banditi provenienti da tutta l’Africa occidentale e centrale, sono diventati un esercito di occupazione, che conta decine di migliaia di persone, occupa foreste, frontiere e persino città”. Il quotidiano nigeriano Punch parla di uno Stato sull’orlo del fallimento. Ancora si contano le vittime della strage della domenica di Pentecoste ad Owo, quando il colore rosso dei paramenti è diventato tutt’uno con quello del sangue dei martiri. La Nigeria piange l’ennesima mattanza di innocenti. Il bilancio ufficiale è di 21 vittime, ma in tanti sono stati condotti in ospedale in fin di vita. Il numero quindi, è destinato a crescere. E fonti della diocesi locale sostengono che i morti siano già almeno 38.

Intanto, nel Paese, cresce la rabbia nei confronti delle autorità. Il dito è puntato contro i pastori fulani: per molti il gruppo armato dei mandriani seminomadi di religione musulmana, che nel 2014 è stato schedato come il quarto più feroce al mondo, sarebbe responsabile della mattanza nella chiesa di San Francesco. Ma anche contro il presidente, Muhammadu Buhari, appartenente alla stessa etnia, accusato di aver chiuso troppo spesso gli occhi davanti alle scorribande dei pastori.

“Ci circondano nella foresta e possono attaccarci da un momento all’altro. Siamo terrorizzati”, racconta suor Agnes Adeluyi, della congregazione delle Suore di San Luigi di Owo ai microfoni di Vatican News. “Abbiamo tutti paura – rivela – perché non c’è protezione da parte del governo”. Le dispute etniche, come quella tra fulani e yoruba, sono la prassi in Nigeria, dove i gruppi etnici sono oltre 250. Alla base dello scontro fra i pastori e le comunità sedentarie, dedite all’agricoltura, c’è la scarsità delle risorse: ci si uccide per l’acqua, la terra e i pascoli. La siccità e le carestie complicano la situazione ed inaspriscono le dispute fra mandriani e contadini. È un problema atavico ma oggi gli Ak47 hanno preso il posto delle frecce e così secondo un recente rapporto di Amnesty International tra il gennaio del 2016 e l’ottobre del 2018 sono morte negli scontri per la terra almeno 3.600 persone. Vuol dire che, nel silenzio generale, i fulani hanno fatto più morti di Boko Haram.

Gli Stati più colpiti sono quelli del nord, dove imperversano anche i miliziani jihadisti, e della Middle Belt. Ma la strage di Ondo dimostra che i pastori fulani, se fossero davvero responsabili del massacro, sarebbero ormai pronti a spingersi anche nel sud, la zona agricola e più produttiva del Paese, ricca anche di giacimenti di idrocarburi. A mettere in guardia le autorità sul fatto che i “terroristi” fossero ormai pronti a colpire in tutto il Paese, nei mesi scorsi, erano state diverse personalità di spicco: dal premio Nobel per la Letteratura, Wole Soyinka, a Nasir el-Rufai, governatore dello Stato di Kaduna, uno dei più colpiti da agguati e rapimenti.

La stampa locale vede nell’attacco una vendetta contro Rotimi Akeredolu, presidente di etnia yoruba dello Stato dell’Ondo. Lo scorso anno dopo una serie di episodi violenti e criminali ha deciso di estromettere i fulani dalla regione, invocando il rispetto della legge sui pascoli. È possibile, quindi, che l’odio interetnico e la lotta per la terra abbiano portato all’ennesimo attentato. Ma è anche vero che da qualche anno la componente religiosa è diventata sempre più preponderante. Il fatto che ad essere presa di mira a Owo sia stata una chiesa gremita di fedeli raccolti in preghiera non è un particolare trascurabile.

Negli ultimi due anni sono stati decine i villaggi attaccati, le chiese vandalizzate e i sacerdoti rapiti. C’è una componente economica, certo. Con i riscatti si finanzia la guerriglia per conquistare i terreni. Ma, per chi conosce bene la realtà locale, è innegabile che ormai ci sia anche un aspetto legato al fondamentalismo, che punta al “dominio” degli “infedeli“. A denunciare come dietro ai sequestri e agli attacchi ai villaggi ci sia ormai anche una motivazione confessionale sono stati negli anni anche i vescovi locali. Alcuni anni fa quello di Kafanchan, monsignor Bagobiri, spiegava come le “questioni religiose” andassero di pari passo con quelle “fondiarie”. “Entrambe le cause sono presenti, ma il fattore religioso è preponderante: è una persecuzione”, diceva parlando delle scorribande nel Kaduna.

Anche Wilfred Chikpa Anagbe, vescovo di Makurdi, nel 2018, non aveva dubbi sul fatto che i fulani e gli altri gruppi armati islamisti avessero un “piano prestabilito per islamizzare le regioni a maggioranza cristiana del Middle Belt”. Per questo, secondo alcuni, senza un intervento efficace da parte delle autorità, il Paese rischia di piombare in un conflitto etno-confessionale. Attaccare i cristiani in Nigeria, infatti, significa dichiarare guerra a circa la metà della popolazione. Insomma, il livello dello scontro si è alzato e secondo qualche commentatore la “guerra di religione” sarebbe dietro l’angolo. Nel frattempo, la crisi alimentare che secondo la Fao e il World Food Program ormai minaccia dozzine di Stati africani rischia di aggravare ulteriormente la situazione.

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