Quasi duemila detenuti senza processo, 1.252 persone rapite, oltre mille stuprate, 33.255 vittime di abusi fisici o psicologici, 1.240 costrette a sposarsi con la forza. Sono alcuni dei numeri sconvolgenti della persecuzione anti-cristiana nel mondo, contenuti nel rapporto annuale World Watch List 2018, stilato dalla associazione internazionale Porte Aperte, Onlus che dal 1955 si occupa di sostenere i cristiani perseguitati. Oltre 215 milioni quelli oppressi in ragione della loro fede, secondo il rapporto che prende in esame il periodo compreso tra il novembre del 2016 e la fine di ottobre del 2017.

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L’odio anti-cristiano nel globo cresce anche quest’anno in termini assoluti. È questo il primo triste dato contenuto nel documento. Violenze e vessazioni sono in aumento in Corea del Nord e in Afghanistan, che si riconfermano alla guida della classifica dei dieci Paesi in cui il grado di persecuzione è considerato estremo. Un record, questo, che Pyongyang detiene da ben 16 anni consecutivi. Bollino rosso anche per Somalia, Sudan, Pakistan, Eritrea, Libia, Iraq, Yemen, Iran ed India. Il Pakistan è il Paese dove la persecuzione anti-cristiana assume le forme più violente. Anche la vicina India scala la classifica, guadagnando otto posizioni rispetto al 2017, a causa della crescita del radicalismo indù. In questo Paese chi professa la fede in Cristo viene relegato ai margini della società, detenuto, minacciato o addirittura ucciso. Più di 24mila cristiani sono stati aggrediti fisicamente in India soltanto lo scorso anno. Anche il Nepal segue lo stesso trend, entrando per la prima volta nella black-list. Tra le new entry del 2018 c’è anche l’Azerbaigian, Paese in prevalenza musulmano in cui il grado di persecuzione nei confronti dei cristiani è stato stimato come “alto” dai ricercatori di Porte Aperte.

Nonostante la sconfitta dell’Isis in Siria e in Iraq “l’oppressione islamica”, secondo il rapporto, “continua ad essere la fonte principale di persecuzione dei cristiani” nel mondo. Ciò è dovuto ad alcune tendenze definite preoccupanti, come la radicalizzazione delle aree dove l’Islam è la religione più diffusa, tra cui l’Africa occidentale, orientale e del Nord, e l’espansionismo islamico in zone tradizionalmente non musulmane, come l’Africa sub-sahariana, l’Indonesia o la Malesia. Tra le principali dinamiche persecutorie c’è anche il nazionalismo religioso, che cresce anche nel mondo buddista, in Sri Lanka, Buthan e Myanmar. Il nazionalismo ideologico è la principale fonte di soprusi in Cina, Vietnam e Laos, mentre è la “paranoia dittatoriale” a spingere il regime eritreo e quello nordcoreano ad accanirsi contro i cristiani.

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Secondo i numeri forniti dall’organizzazione, attualmente un cristiano ogni 12 è seriamente perseguitato nel mondo. Dal novembre 2016 all’ottobre 2017, 3.066 fedeli sono morti da martiri per non rinnegare il proprio credo. Non sono mancati neppure gli attacchi alle chiese, alle abitazioni e ai negozi cristiani: 15.540 sono quelli presi di mira lo scorso anno. Cifre inquietanti che purtroppo, spiega Cristian Nani, direttore di Porte Aperte, “sono da considerare punti di partenza poiché potenzialmente enorme è la realtà sommersa dei crimini non denunciati o non registrati”. Uno scenario cupo, dunque, dove non manca, tuttavia, qualche barlume di speranza. Un calo notevole della violenza contro i cristiani è stato riscontrato dagli analisti in Siria, nazione che dopo la sconfitta dell’Isis sul terreno è uscita dalla top ten dei Paesi più intolleranti.