I partiti islamici oramai in certe parti d’Europa non costituiscono più una novità. In Belgio c’è una lista chiamata Islam guidata dal controverso Redouane Ahrouch, che in passato più di una volta ha manifestato posizioni non poi così lontane rispetto a quelle dei Fratelli Musulmani. In Francia movimenti del genere crescono sempre di più. E se di per sé non c’è nulla di apparentemente allarmante che un musulmano faccia politica, diverso è il discorso sotto un profilo riguardante invece i contenuti portati avanti da questi partiti. Dal via all’obbligo di non indossare il velo negli edifici pubblici, passando per i discorsi sull’insegnamento dell’arabo in tutte le scuole, molti discorsi appaiono oltrepassare il confine degli ideali laici per entrare in quelli invece più vicini ad una visione maggiormente “islamizzata” della società. E la questione non sembra affatto di poco conto.
L’avanzata dell’Umdf nelle periferie francesi
Prova ne è l’attivismo di queste settimane dell’Unione dei Democratici Musulmani Francesi (Umdf). A capo di questa formazione, vi è Nagib Azergui il quale è rappresentante del Partito Musulmano. Nelle scorse europee, è stata presentata una lista che però non aveva riferimenti all’appartenenza dei candidati alla fede musulmana. Il nome della compagine in quel caso era quello di “Unione per un’Europa al servizio dei popoli”. Questo per consentire la riammissione del partito alle elezioni, dopo un’iniziale esclusione da parte del Consiglio di Stato. Nelle consultazioni del 26 maggio scorso, il partito non ha avuto grande successo: la percentuale complessiva è stata dello 0.13%.
Ma questo non deve ingannare: ci sono stati comuni dove l’Umdf camuffato con il nome della lista sopra citata, ha toccato punte del 15%. Nelle periferie parigine più difficili, il risultato non si è discostato molto dal 10%. Ed il trend sembra sempre più in crescita: specialmente nelle zone più difficili, in vista delle prossime comunali che riguarderanno anche diversi enti dell’area parigina la campagna elettorale sta già registrando un grande attivismo dei militanti. Come sottolineato da La Verità, una delle zone più importanti da questo punto di vista è rappresentata dal comune di Garges-lès-Gonesse. Si tratta di una zona confinante con il piccolo comune di Gonesse: qui viveva Harpon, colui cioè che ha fatto strage all’interno della sede della Prefettura di Parigi il 6 ottobre scorso.
E proprio a Gonesse, nei giorni successivi alla strage era stata organizzata una manifestazione volta a riabilitare la memoria di Harpon. A mettere in piedi quell’evento è stato Hadama Traoré, che con l’Umdf è stato candidato nelle scorse europee. Una manifestazione quella che ha fatto scattare un certo grido d’allarme. Il problema potrebbe essere duplice: da un lato, c’è il pericolo di liste che portino nell’agone politico posizioni filo islamiste, dall’altro il fatto stesso che un partito si richiami (già nella denominazione) ad una parte della società e si identifichi con una precisa comunità potrebbe essere nocivo per la democrazia. Tuttavia, i quadri dell’Umdf promettono di andare avanti, si presenteranno in 50 comuni e sono già pronti a brindare alla possibile elezione di alcuni consiglieri.
Il governo francese sottovaluta il problema
Dunque, la questione non riguarda soltanto le idee propugnate ma anche il fatto stesso che certi partiti si rifanno ad una specifica comunità. Le formazioni politiche dovrebbero invece, come sostenuto da diversi deputati repubblicani, rappresentare l’intera comunità nazionale. Bruno Retailleau, capogruppo repubblicano alla Camera, ha addirittura evocato lo spettro di una secessione ed ha parlato della necessità di proibire per legge questi partiti.
Ma il governo non sembra essere d’accordo, anzi nei giorni scorsi il ministro dell’interno Christophe Castaner ha voluto gettare acqua sul fuoco: “Il fatto di avere una religione non impedisce di fare politica, anche alle elezioni
comunali”, ha dichiarato il titolare dell’interno transalpino. Un vero e proprio dribbling intellettuale: il ministro finge di non sapere che in realtà il problema non è riferibile al fatto di essere o meno musulmani ma a quello dell’emersione di vere e proprie liste comunitarie.
La minimizzazione del problema è arrivata anche ai piani più alti dell’Eliseo: “L’uso del velo nello spazio pubblico non è un problema mio” ha dichiarato il presidente francese Emmanuel Macron da Reunion, dipartimento d’oltremare in cui il capo dello Stato si trova in visita. Una risposta, data a margine delle domande sulle polemiche relativo all’uso o meno del velo islamico, che ben fa capire l’orientamento remissivo sul dibattito inerente la presenza nell’agone politico di proposte provenienti da partiti musulmani.