Cina e Vaticano sono, allo stato attuale delle cose, le uniche entità politiche sulla Terra che possano legittimamente includere la nozione di “eternità” nei loro orizzonti. La Santa Sede, oltre a rivendicare la guida ecumenica della religione cattolica e dell’orientamento delle coscienze di oltre un miliardo di fedeli in tutto il mondo, resiste nel suo ruolo di istituzione più antica del mondo e si confronta con la Repubblica Popolare che, come ricorda Graham Allison in Destined for Warsi proietta come nuova superpotenza globale rivendicando il ruolo di protagonista centrale della Storia che la Cina ha sempre ritenuto dover spettare a sé stessa.

Il dialogo tra Pechino e il Vaticano per la conclusione dell’agognato concordato tra la Chiesa cattolica e la Repubblica Popolare è dunque un affare al cui interno si possono leggere i lunghi corsi e ricorsi storici delle relazioni tra l’Occidente e l’Estremo Oriente e, al tempo stesso, le varie sfaccettature del presente sistema multipolare. Come riporta America Magazinela regolarizzazione delle relazioni sino-vaticane a partire dalla risoluzione della posizione dei vescovi filo-governativi ritenuti illegittimi da Roma appare una questione di mesi, se non addirittura di settimane.





La lunga marcia verso il concordato tra Cina e Vaticano

A partire dalla “Lettera ai cattolici cinesi” di Papa Benedetto XVI, datata 2007, il Vaticano ha progressivamente sviluppato una sua politica cinese fortemente incentivata  dopo l’ascesa di Francesco al soglio pontificio. Obiettivo fondamentale di Roma è la conciliazione della realpolitik con gli interessi della “Chiesa clandestina” oggigiorno invisa al governo di Pechino e la risoluzione della “lotta per le investiture” delle gerarchie apostoliche.

Ha scritto Andrea Riccardi su Avvenire: “Nella visione multipolare della Santa Sede, la Cina è un player di grandissimo rilievo: è decisiva per raggiungere l’armonia necessaria per la pace mondiale. Non si tratta di sacrificare i cattolici cinesi sull’altare degli interessi internazionali o della ragion di Stato, ma di dare ai problemi le loro dimensioni. Nella visione di papa Bergoglio non si tratta solamente di rispettare da parte della Chiesa i governi legittimi (come aveva già detto Benedetto XVI), bensì del rapporto tra la Chiesa e una grande civiltà. E qui si staglia la figura di Matteo Ricci che ha una grande portata simbolica per i cinesi, e che rappresenta un metodo per avvicinare il cristianesimo alla cultura cinese”.

L’obiettivo finale del concordato con Pechino è stato segnalato lucidamente dal Segretario di Stato Piero Parolin in un’intervista a La Stampa“la finalità principale della Santa Sede nel dialogo in corso è proprio quella di salvaguardare la comunione nella Chiesa […] In Cina non esistono due Chiese, ma due comunità di fedeli chiamati a compiere un cammino graduale di riconciliazione verso l’unità. Non si tratta, perciò, di mantenere una perenne conflittualità tra principi e strutture contrapposti, ma di trovare soluzioni pastorali realistiche che consentano ai cattolici di vivere la loro fede e di proseguire insieme l’opera di evangelizzazione nello specifico contesto cinese”.

Il nodo cruciale dei vescovi

La questione dei vescovi e della loro nomina risulta contestualmente cruciale affinché il gap aperto tra Vaticano e Cina possa colmarsi e tra le due entità possa finalmente formalizzarsi un legame bilaterale. Il South China Morning Post ritiene che, dopo la visita di una delegazione pontifica in Cina a dicembre, l’intesa sia vicinissima: essa potrebbe formalizzarsi in una sorta di “codominio” tra Stato cinese e Chiesa sulla nomina dei vescovi e aprirebbe al Vaticano la possibilità di un accordo che consentirebbe un’accelerazione del processo di evangelizzazione dell’Impero di Mezzo, già portato avanti a ritmo sostenuto dalle Chiese evangeliche.

I 12 milioni di cattolici cinesi non sono uniformi nel loro approccio alle trattative sino-vaticane. Di questa divisione ha dato aperta testimonianza un reportage del Washington Post, che ha dato voce a malumori particolarmente persistenti nella città di Hong Kong, il cui ex arcivescovo Joseph Zen ha attaccato le ingerenze governative nel mondo della fede e si è unito a Zhuang Jianjian, vescovo di nomina vaticana di Luotianba che ha segnalato le numerose restrizioni a cui i cattolici “clandestini” sono sottoposti rispetto ai filo-governativi “cattolici patriottici”.

Il futuro dei rapporti tra Cina e Vaticano sembra in via di definizione, ma il recepimento da parte dei milioni di cristiani della Repubblica Popolare è ancora incerto: la riapertura di un canale di dialogo tra i simboli più importanti di due delle più grandi civiltà del pianeta potrebbe essere recepito negativamente proprio da quei cattolici cinesi nel cui interesse la Santa Sede dichiara, in continuazione, di stare agendo.

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