Matteo Maria Zuppi ha iniziato la sua missione diplomatica verso le parti in campo nella guerra russo-ucraina incontrando a Kiev il presidente Volodymyr Zelensky e aprendo la strada alla prospettiva di espandere verso Mosca la sua “offensiva di pace”. In cui il principale ostacolo può essere quello di Kirill, patriarca di Mosca riciclato come “cappellano del Cremlino” dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina a febbraio 2022.

L’inviato di Papa Francesco non mira a conquistare nel brevissimo periodo una mediazione che, con le manovre militari in atto sul fronte e la mancanza delle volontà delle parti di arrivare rapidamente al tavolo delle trattative, non può può sbocciare in forma immediata e eterodiretta. Piuttosto, vuole mostrare la necessità di pensare la pace come prospettiva e convincere Russia e Ucraina che non alla sola vittoria militare totale si può pensare come esito del conflitto, soprattutto visti i rischi di escalation che una lunga guerra minaccia di comportare.

La Chiesa cattolica, impero “morale” ed ecumenico, vuole essere mediatrice innanzitutto per lo stimolo ai contendenti a tornare a prendere in considerazione l’idea delle trattative e il superamento delle trincee di odio scavate tra popoli gemelli dalla guerra. Vittorio Macioce nel febbraio scorso scriveva su Il Giornale che “togliere la parola pace dal terreno sarebbe un errore strategico” per i Paesi interessati all’avanzamento del conflitto: Stati Uniti, Paesi europei, Cina, aggiungendo che “è impossibile girarsi dall’altra parte e questo vale per la guerra e per la pace. Non si può nascondere l’aggressione di Putin. Non si può non vedere che questo conflitto è solo il prologo di uno scenario più ampio e drammatico. La miopia è la stessa. La guerra globale non è un destino. È una scelta. Non interrogarsi su una via d’uscita è semplicemente folle”. Parole che sembrano preconizzare la missione Zuppi e la mossa di mediazione di Papa Francesco, desideroso di spegnere gli incendi a ogni periferia in fiamme del pianeta.

La missione della Chiesa cattolica passa per il contrasto allo scontro di civiltà che si prepara, alla “Guerra mondiale a pezzi” alle cui periferie anche la cristianità entra in conflitto e si rischia di spaccare, come la guerra civile ortodossa parallela al conflitto d’Ucraina del resto da diverso tempo conferma. Una visione teleologica e politica che sembra drammaticamente diversa da quella di Kirill. Dall’inizio del conflitto intento a benedire gli stendardi delle truppe russe nella presunta “Operazione militare speciale” avviata dal Cremlino. Dopo lo scisma del 2019 della Chiesa autocefala ucraina che ha rotto con Mosca, anche il patriarcato di Kiev che riconosceva Kirill come suo riferimento a maggio ha staccato il cordone ombelicale con il suo riferimento formale.

Zuppi si dovrà recare a Mosca e per preparare il terreno alla sua missione di pace il potenziale incontro con Vladimir Putin è altrettanto importante di quello che potrebbe avere con Kirill. Se tra Vaticano e Russia le relazioni formali non sono mai venute meno dal tono di correttezza reciproca, le due Chiese hanno sempre avuto posizioni discordanti dall’invasione dell’Ucraina. Papa Francesco ha stigmatizzato indirettamente l’eccessiva complicità col potere politico dell’omologo e sminare ogni rischio e ogni minaccia che Kirill può portare a Zuppi sostenendo a Mosca il partito della guerra a oltranza è per il presidente della Conferenza Episcopale Italiana vitale. L’assenza della Chiesa ortodossa russa alla plenaria del dialogo tra Chiesa cattolica e confessioni ortodosse svoltosi dall’1 al 7 giugno scorso ad Alessandria è stata, in tal senso, rumorosa e apre alla necessità di rinsaldare un rapporto che pare essersi perduto sulla scia delle maree montanti della storia.

Per Zuppi la strada si preannuncia in salita, ma il Segretario di Stato Pietro Parolin ha detto che la Santa Sede sta lavorando al summit con Kirill e sta provando a aprire il terreno a una trattativa che deve consolidare l’obiettivo del Vaticano: non rendere la parola “pace” un tabù per nessuna delle parti in causa. Per farsi trovare pronti quando il tempo lo renderà possibile. Una sfida a tutto campo, su cui la Santa Sede gioca le sue prospettive di diplomazia e la sua unica carta: fare leva sulla credibilità e il potere morale a disposizione per creare scenari di confronto e incontro.

In tal senso, la recente consegna in Ungheria di alcuni prigionieri di guerra ucraini, accolti da Zsolt Semjén, vice di Viktor Orban, propiziata proprio dal Patriarcato di Mosca è un piccolo gesto di rottura con l’atteggiamento tradizionale di Kirill che può essere visto come un ramoscello d’ulivo verso il Vaticano e la strategia di mediazione che proprio sull’asse con l’Ungheria sembra silentemente parlare. Se son rose, fioriranno. Nel frattempo, contra mundo, la corsa di Zuppi e della Santa Sede a immaginare un mondo diverso da quello della guerra tutti contro tutti, ostacolo dopo ostacolo, continua.

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