La Catalogna è il principale ventre molle della Spagna, della quale anima i dibattiti pubblici e allarma periodicamente l’apparato securitario. Lo spettro della secessione unilaterale di Barcellona ha sempre turbato i sonni di Madrid.
Da qualche anno, in particolare a partire dal 2013, la Catalogna è fonte di preoccupazione per il governo centrale per un motivo che, apparentemente disgiunto dal nazionalismo catalano, è strettamente legato e interconnesso alla questione indipendentismo. Quel motivo è l’Islam politico in ogni sua venatura, dal salafismo al jihadismo, che ivi ha messo silenziosamente radici durante gli anni Novanta e che dai primi anni Duemila ha formato un improbabile asse col nazionalismo catalano. Nel nome della lotta alla Spagna.
Catalogna, il cuore dell’Islam iberico
La Catalogna è la regione più islamica di Spagna. A fine 2022, dei circa 2 milioni e 349mila musulmani residenti in Spagna, 641mila vivevano in Catalogna, facendo di essa la comunità autonoma spagnola con la più alta incidenza di abitanti di fede islamica sul totale della popolazione, equivalente all’8,3%. Nel 2019, secondo l’Unione delle Comunità Islamiche di Spagna, i musulmani catalani sarebbero stati 564.055 – un aumento di quasi centomila unità in soli tre anni.
In Catalogna come nel resto della Spagna, dove il cattolicesimo è sulla via dell’estinzione, l’Islam è secondo soltanto ad una religione in termini di crescita: il protestantesimo evangelico. Lo confermano, oltre che i numeri sui fedeli, i dati sui luoghi di culto: la Catalogna aveva 139 moschee nel 2004, diventate 283 nel 2019.
Giochi di spie all’ombra della Sagrada Familia
La Catalogna ha intravisto nell’Islam politico, ed in particolare nella diaspora marocchina, un valido alleato nell’eterna lotta contro la Spagna. Una storia, quella dell’improbabile asse tra nazionalismo catalano e Islam politico, di cui si sa poco persino all’interno della stessa Spagna, trattandosi di un tema di nicchia per 007 e frequentatori delle stanze dei bottoni.
Della bizzarra alleanza tra islamisti e nazionalisti catalani si parla dal 2013, l’anno dell’espulsione di Noureddine Ziani, presidente dell’Unione dei centri culturali islamici della Catalogna (UCCIC), su richiesta del Centro Nazionale di Intelligence (CNI). Un caso-spettacolo ed un evento spartiacque nella storia recente della Spagna e della Catalogna.
Ziani, personalità nota tanto negli ambienti del nazionalismo catalano quanto nel panorama islamico regionale, era stato accusato di essere un agente segreto marocchino che, parandosi con l’ombrello dell’attivismo religioso, stava utilizzando l’influenza esercitata sulla umma catalana dall’Uccic per “convertirla” al credo indipendentista dei quadri politici locali.
Tra le prove raccolte dagli 007 del Cni contro Ziani, oltre alle affermazioni a favore della causa catalana, l’apertura di un distaccamento dell’Uccic all’interno della Fondazione Noi Catalani, ribattezzato lo Spazio catalano-marocchino. Un gioco con tre vincitori – il nazionalismo catalano, rinvigorito dalle adesioni della corposa e crescente umma della regione, l’Islam politico, accreditatosi presso la politica locale, e Rabat, costruttrice di una base nel ventre molle di Spagna – ed un perdente: Madrid.
La Catalogna dopo il caso Ziani
L’intelligence spagnola confidava nel potere dissuasivo dell’operazione Ziani. Ma la convergenza tra Islam politico e nazionalismo catalano, lungi dall’uscire indebolita dalla perdita del carismatico leader dell’Uccic, ha sperimentato un’accelerazione negli anni successivi.
Promettendo di mantenere gli occhi chiusi sulla diffusione del salafismo nelle terre catalane in cambio di supporto (anche elettorale) alle forze dell’indipendentismo, le amministrazioni della comunità autonoma dall’anima ribelle hanno permesso la nascita di stati paralleli fuori dal controllo delle autorità. Realtà che, affidate a predicatori e organizzazioni dai fini dubbi, si sono presto trasformate in semenzai di odio e radicalizzazione. Bombe a orologeria pronte a esplodere. E che sono esplose, nel 2017.
Il patto tra nazionalismo catalano e Islam politico ha trasformato la Catalogna nella regione più salafita di Spagna. Nel 2015, secondo un censimento del FCSE, qui si concentravano 50 delle 98 moschee salafite presenti in tutto il paese. Due anni dopo, secondo un rapporto del CITCO, le 50 erano diventate 80.
Definita la “zona di gran lunga più sensibile” della Spagna da Jorge Fernández Díaz, titolare degli Interni durante la presidenza Rajoy, la Catalogna è, oggi, un luogo in cui si incrociano e scontrano capitali, agenti e interessi di Arabia Saudita, Kuwait, Marocco e Qatar, nonché il principale centro di reclutamento dei distaccamenti iberici delle principali organizzazioni terroristiche di stampo jhadista.
I numeri (e i perché) della Catalogna salafita
Le cifre su radicalizzazione religiosa e operazioni antiterrorismo nella comunità autonoma parlano di un innegabile processo di “salafizzazione“, possibilitato e alimentato dalle politiche di accomodamento nei confronti dell’Islam politico operate dalla dirigenza catalana, che va avvolgendo crescentemente la società:
- Concentra il 45% di tutti i casi di radicalizzazione religiosa che si registrano in Spagna;
- Una moschea su tre è sotto il controllo di organizzazioni di stampo salafita;
- È la comunità autonoma che ha registrato il maggior numero di operazioni antiterrorismo fra il 2012 e il 2023, ovvero 101 delle 283 che hanno avuto luogo in Spagna;
- È la comunità autonoma in cui si concentra un terzo di tutte le conversioni all’Islam che avvengono annualmente in Spagna, 7.000 su un totale di 20.000 nel periodo 2010-15, e che in quattro casi su dieci presentano un rischio radicalizzazione;
- In sette casi su dieci, il convertito all’Islam proviene da una militanza attiva nel mondo del nazionalismo catalano;
Secondo il sociologo Eduardo Castillo, che sul tema del boom islamico (e islamista) in Catalogna è stato interrogato dalla stampa spagnola, la popolarità del messaggio coranico, e in particolare di letture più integraliste come il salafismo, sarebbe strettamente legata al conflitto identitario che contrappone Madrid e Barcellona.
Il nazionalismo catalano proclama che “Spagna e Catalogna sono due cose distinte, che la Spagna si approfitta della Catalogna a livelli da rapina, e che la situazione è risolvibile soltanto separando le due nazioni”. Alla luce di questi tre assunti, opina Castillo, “rompere col cattolicesimo e convertirsi all’Islam, più che una questione di fede nel senso tradizionale e religioso del termine, è una questione di riaffermazione”. L’Islam come vettore di differenza dalla “Spagna tradizionalmente cattolica”.
Forse ha ragione Castillo: l’Islam attrae i catalani perché può assumere una valenza anticoloniale ed emancipatoria. Potrebbe essere questo il motivo per cui, patti tra politica e associazioni a parte, i catalani musulmani sono tendenzialmente a favore dell’indipendenza dalla Spagna. Causa in cui credono tanto da allestire comizi nelle moschee. Causa per la quale hanno votato in massa al referendum del 2017. E causa per la quale non hanno paura di scendere in strada, quando per sostenere la dirigenza e quando per (provare a) fermare l’espulsione di un imam, come accaduto nel corso del 2022.