Durante il volo che lo ha portato dal Vaticano a Ulaanbaatar, in Mongolia, Papa Francesco ha fatto pervenire, come è prassi in tutti i viaggi, un telegramma ai vari capi di Stato dei Paesi toccati via aerea. Tra questi, accanto ai leader di Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia e Montenegro, Bulgaria, Turchia, Georgia, Azerbaijan e Kazakhstan, c’era anche un messaggio indirizzato al presidente cinese Xi Jinping.
Proprio mentre il charter dell’Ita con a bordo il Santo Padre stava sorvolando la Cina, Bergoglio ha inviato i suoi “migliori auguri a sua Eccellenza e al popolo cinese mentre attraverso lo spazio aereo del suo Paese, in rotta verso la Mongolia”. “Assicurandovi le mie preghiere per il benessere della Nazione, invoco su tutti voi le benedizioni divine dell’unità e della pace”, ha quindi concluso il testo del Papa, che aveva fatto qualcosa di analogo anche nel 2014, in occasione del suo viaggio verso la Corea del Sud.
A stretto giro è arrivata la replica di Pechino, che ha spiegato come la Cina stia cercando di “rafforzare la fiducia reciproca” con il Vaticano. “La Cina è pronta a continuare a lavorare con il Vaticano per impegnarsi in un dialogo costruttivo, migliorare la comprensione, rafforzare la fiducia reciproca”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, nel suo briefing con la stampa, aggiungendo che Pechino “promuoverà il processo di miglioramento delle relazioni tra i due Paesi”.
Il Papa in Mongolia
Arrivato in Mongolia, Papa Francesco, con parole che sembravano rivolte alla Cina piuttosto che al Paese che stava visitando, ha detto che i governi del mondo non hanno nulla da temere dalla Chiesa cattolica perché questa non ha un’agenda politica da perseguire. Nel primo giorno a Ulaanbaatar, capitale di una nazione che conta appena 1.450 cattolici, Bergoglio si è rivolto a vescovi, sacerdoti, missionari e operatori pastorali, affermando che Gesù non ha dato alcun mandato politico ai suoi apostoli, ma ha detto loro di alleviare le sofferenze di una “umanità ferita” attraverso la fede.
“Per questo motivo i governi e le istituzioni secolari non hanno nulla da temere dall’opera di evangelizzazione della Chiesa, perché essa non ha un programma politico da portare avanti, ma è sostenuta dalla forza silenziosa della grazia di Dio e da un messaggio di misericordia e di verità, che si intende promuovere il bene di tutti”, ha spiegato.
Chissà che cosa avrà pensato Xi Jinping, che da quando è salito in carica, nel 2013, ha cercato in tutti i modi di sradicare le influenze straniere all’interno della Cina, proponendo una politica di sinizzazione delle religioni. Tra Pechino e il Vaticano, poi, è in essere uno storico accordo (provvisorio) risalente al 2018, per la precisione relativo alla nomina dei vescovi, anche se da quel momento in poi le due parti non sono riuscite a fari ulteriori e rilevanti passi in avanti.
Le periferie nel mirino
Bergoglio, che aveva espresso da tempo il desiderio di fare tappa in Russia e Cina nella speranza di sanare le spaccature storiche della Chiesa e garantire il futuro della fede nel popoloso Oriente, proverà a fare piccoli passi in avanti con la sua visita in Mongolia, un Paese stretto tra due giganti geopolitici – Russia e Cina – e con una minuscola popolazione cattolica che nessun Papa aveva mai visitato prima d’ora.
Tra gli ospiti accorsi a Ulaanbaatar c’era il massimo religioso cattolico di Hong Kong, l’arcivescovo Stephen Chow, che in aprile ha effettuato la prima visita nella capitale cinese da parte di un vescovo dell’ex colonia britannica in quasi 30 anni. Chow, che questo mese sarà nominato cardinale dal Papa, ha detto di sperare che la Chiesa di Hong Kong possa essere una “Chiesa ponte” tra il Vaticano e la Cina continentale.
Alla guida di una delegazione di circa 40 cattolici hongkonghesi, Chow ha inoltre affermato che la Chiesa cattolica in Asia sta crescendo e, a suo avviso, il fatto che il Santo Padre si sia preso la briga di percorrere un viaggio così lungo, peraltro per visitare una congregazione così piccola come quella mongola, dimostrerebbe “che la Chiesa si sta veramente espandendo verso le periferie“.
Un occhio alla Cina
Il New York Times si è chiesto perché Francesco, che ha 86 anni e usa spesso una sedia a rotelle, abbia viaggiato per più di 5.000 miglia per visitare meno di 1.500 cattolici, in una nazione geograficamente immensa dove una buona fetta della popolazione, in gran parte nomade, sa ben poco di lui e della stessa Chiesa.
Una risposta plausibile è che la Mongolia – come altri luoghi remoti che Francesco ha visitato – da un lato incarna le priorità che il Santo Padre intende far prendere alla la Chiesa (guardare alle periferie), e dall’altro rispecchia la sua missione di migliorare la cooperazione e il dialogo tra le religioni del mondo.
Questo Paese è un perfetto avamposto, e soprattutto credibile, dal quale il Vaticano potrebbe provare a gettare solide fondamenta per raggiungere le sale del potere russe e cinesi. A causa della sua posizione e degli stretti legami economici e politici con la Cina, non è neppure da escludere che Ulaanbaatar possa fungere da intermediario per migliorare le relazioni tra Santa Sede e Pechino.