Nel 2016, Benedetto XVI spiegava nel suo libro-testamento “Ultime conversazioni” di non vedere alcun futuro brillante per il cristianesimo nel Vecchio continente, ritenendolo condannato a diventare una minoranza religiosa sempre più estromessa dalla vita pubblica. In effetti, la scristianizzazione dell’Europa occidentale sta procedendo a ritmi serrati, come palesato dalla caduta degli antichi bastioni della fede cattolica, come l’Irlanda, e protestante, come i Paesi Bassi, sullo sfondo dell’aumento preponderante dei cristiani nel resto del mondo.

L’Africa è il continente in cui la popolazione cristiana è letteralmente esplosa nel corso del Novecento, e la tendenza si è rafforzata con la fine del monopolio cattolico causata dall’arrivo in massa dei missionari protestanti. Come già accaduto in America Latina, la protestantizzazione delle masse riverbera i suoi effetti a livello politico e nell’Africa sub-sahariana, la più interessata dall’ascesa di evangelici e neo-pentecostali, si sta infatti assistendo a delle rivoluzioni diplomatiche di carattere storico, destinate a riscrivere gli equilibri di potere nel continente.

I numeri

Papa Francesco sta dedicando molta attenzione all’Africa sub-sahariana, dall’organizzazione di frequenti e lunghi viaggi apostolici, come la sei-giorni dello scorso settembre in Mozambico, Madagascar e Mauritius, all’aumento dei cardinali di origine africana nelle alte sfere ecclesiastiche. Le ragioni di tanto interesse sono due: la prima è che l’Africa nera è giovane e religiosa, il 60% della popolazione ha meno di 25 anni, un serbatoio di nuovi fedeli incomparabile, 7 cattolici su 10 frequentano regolarmente la messa domenicale, la chiesa cattolica sta crescendo principalmente per via delle conversioni e dei battesimi che ivi hanno luogo, la seconda è la competizione con le chiese evangeliche.

L’Africa è, già oggi, il continente più cristiano del mondo, con 650 milioni di seguaci, seguita da America Latina ed Europa, e, secondo il prestigioso PewResearch Center, entro il 2060 potrebbe ospitare il 40% della popolazione cristiana mondiale. L’esplosione di cristianità è legata più al protestantesimo che al cattolicesimo: fra il 1970 e i primi anni 2000, il numero dei fedeli protestanti è raddoppiato, oggi rappresentano il 30% della popolazione africana totale, e hanno superato le controparti cattoliche, ferme al 21%. In ambedue i casi, si tratta comunque di numeri impressionanti, perché nel 1910 erano presenti soltanto due milioni di cristiani nell’intero continente.

La crescita dei protestanti, che sono soprattutto di estrazione evangelica, avventista, carismatica, e neo-pentecostale, è stata particolarmente marcata in paesi come l’Etiopia, dove è stato rotto il plurisecolare monopolio ortodosso ed oggi gli evangelici compongono il 19% della popolazione, la Nigeria, dove 6 cristiani su 10 sono protestanti, il Kenya, dove i protestanti compongono il 47,4% della popolazione mentre i cattolici soltanto il 23,3%, in Ruanda, dove i protestanti ormai rappresentano il 37% del totale, e nell’Africa lusofona.

Quest’ultima, dove il cattolicesimo ha goduto di una posizione leaderistica indiscussa per via del dominio portoghese, oggi è sede del più importante fenomeno di protestantizzazione dell’intero continente; gli evangelici sono infatti il gruppo religioso con il tasso di crescita più elevato: in Mozambico hanno recentemente surclassato i cattolici, 38% contro 30%, mentre in Angola il sorpasso sarà questione di pochi anni, essendo ormai divisi soltanto da tre punti percentuali, 38% contro 41%.





La lenta rivoluzione diplomatica

Come già accaduto in altri contesti, quello latinoamericano è il più emblematico, l’ascesa del protestantesimo evangelico e neo-pentecostale sta iniziando a produrre trasformazioni nel versante diplomatico, facilitando, ad esempio, le agende estere per il continente di potenze come Israele e Brasile.

Lo sbarco di Tel Aviv in Africa è uno degli imperativi geostrategici di Benjamin Netanyahu, come mostrato dalle recenti visite e dai traguardi raggiunti in Ciad ed Uganda. Mentre lo statista israeliano può contare sull’appoggio delle petromonarchie, degli Emirati Arabi Uniti in particolare, per l’espansione nell’Africa nera islamica, nei paesi a maggioranza cristiana può contare sulla crescente influenza politica esercitata dalle chiese protestanti e dalle lobby evangeliche.

Quest’ultimo è il caso della Israel Allies Foundation (IAF), un’organizzazione fondata nel 2007 per migliorare i rapporti fra Israele ed il resto del mondo attraverso la diplomazia della fede. L’IAF, infatti, è basato su una piattaforma giudeo-messianica, sionista cristiana, perciò si focalizza principalmente sulla costruzione di rapporti di collaborazione con le chiese cristiane, sfruttandone poi il peso politico. Recentemente l’IAF ha nominato il primo direttore regionale per l’Africa, il pastore Scott Mwanza, lobbista di lunga data per l’apertura dell’Africa subsahariana ad Israele e fautore di iniziative politiche, a tal proposito, in numerosi paesi, fra i quali Zambia, Nigeria, Ghana, Kenya, Uganda, Sudan del Sud, Mozambico. In ciascuno di quei paesi, Mwanza ha curato la creazione di comitati miranti a fare pressione sui governi affinché seguano politiche maggiormente filo-israeliane, dalla lotta contro il Movimento di Boicottaggio e Disinvestimento in Israele fino al riconoscimento di Gerusalemme quale sua capitale, con conseguente apertura dell’ambasciata.

Il presidente ugandese, Yowei Museveni, ha annunciato che potrebbe presto aprire un’ambasciata a Gerusalemme e l’IAF e le chiese evangeliche del paese hanno avuto un ruolo-chiave in questa decisione. E in Uganda, come in gran parte dell’Africa nera, la crescita degli evangelici è avvenuta su impulso del proselitismo senza sosta dei missionari statunitensi.
Altri segni di questa rivoluzione diplomatica facilitata dalla protestantizzazione sono le recenti aperture di ambasciate israeliane in Ruanda e Ghana, e l’alta partecipazione di politici e diplomatici africani nel corso dell’ultima conferenza dell’American Israel Public Affairs Committee, durante la quale il presidente congolese Felix Tshisekedi ha annunciato la nomina di un ambasciatore in Israele, assente da vent’anni, l’apertura di un ufficio commerciale a Gerusalemme e il desiderio di legami bilaterali più forti, sostenendo di aver ricevuto ispirazione dalla sua fede cristiana.

L’arrivo del Brasile

Il Brasile ha trovato il modo di diventare una potenza globale: espandersi nell’ex impero coloniale portoghese. La lingua costituisce senz’altro un fattore comune molto rilevante, che facilita la costruzione di interscambi tanto economici quanto culturali, ma è la religione l’instrumentum regni per definizione. Da quando le chiese evangeliche hanno iniziato ad assumere rilevanza nazionale, entrando nel panorama politico, è aumentato sensibilmente il loro interesse verso le questioni estere.

La più importante chiesa evangelica del Brasile, la Chiesa del Regno Universale di Dio del magnate Edir Macedo, sta vedendo il suo prezioso appoggio elettorale verso Jair Bolsonaro ricambiato in diversi modi, fra i quali la nomina di alcuni suoi membri in posizioni di rilievo presso il Ministero per gli Affari Esteri. Inoltre, sette degli otto gruppi parlamentari che si occupano delle relazioni Brasile-Africa sono capitanati da deputati evangelici, cinque di essi appartengono proprio alla Chiesa di Macedo e curano i rapporti con paesi dell’ex impero portoghese, come Angola, Capo Verde e Mozambico.

In Angola, la Chiesa del Regno Universale di Dio è arrivata nel 1992 ed oggi gestisce 308 templi in tutto il paese, seguita dal 2,7% della popolazione. Il crescente attivismo dei missionari brasiliani ha, però, recentemente provocato delle gravi fratture con la realtà locale e nel mese di novembre ci sono stati dei tumulti, seguiti dalla richiesta ufficiale di espellere la chiesa dal paese.

Lo stesso scenario è anche accaduto in un’altra ex colonia portoghese, Sao Tomé e Principe, fra settembre e ottobre dell’anno scorso. Il leitmotiv del malcontento, poi sfociato in una vera e propria rivolta urbana il 16 ottobre, era stata la detenzione di un pastore che aveva denunciato i misfatti commessi dalla Chiesa di Macedo nel paese. Il 16 ottobre, centinaia di persone assaltarono 20 templi della chiesa, chiedendo l’espulsione degli evangelici dal paese e la fine delle loro interferenze nella politica locale; negli scontri con la polizia morì un 13enne.

Oggi, la Chiesa del Regno Universale di Dio è presente in 24 dei 54 paesi africani, e alle sue attività di proselitismo si deve in parte la preponderante ascesa degli evangelici nel continente. Tuttavia, con l’aumento dei fedeli, aumentano anche gli scandali e le richieste del clero locale e della società civile di porre un argine al suo raggio d’azione. Prima di Angola e Sao Tomé e Principe, infatti, altri disordini si sono verificati in Zambia e Madagascar.

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