Due anni fa nello Zimbabwe tutti usavano il dollaro americano, introdotto nel 2009 dopo che l’iperinflazione aveva distrutto il dollaro zimbabwiano. Da allora le banche hanno esaurito i dollari reali perché il governo li prende in cambio di IOU. Lo Zimbabwe sta diventando la prima economia al mondo senza contanti. Ma non perché i suoi cittadini vivono in una città ideale, e sono affrancati all’utilizzo di contanti. Tutto il contrario. I bancomat sono vuoti. Le banche consentono ai clienti di prelevare solo 20 dollari al giorno, non in dollari reali ma in obbligazioni locali. La maggior parte delle persone fa affidamento su bonifici bancari elettronici per pagare le proprie bollette, solitamente con un forte sovrapprezzo.
Questa situazione è stata sicuramente colpa dell’ex presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, che è stato estromesso da un colpo di stato lo scorso anno dopo 37 anni al potere. Il suo successore, Emmerson Mnangagwa, potrà risollevare l’economia del paese? Forti dubbi pervadono analisti e anche gli abitanti dello stato africano. Intanto elezioni sono previste per il 30 luglio. Dopo quella data in molti sperano che inizierà un percorso tutto in salita, ma positivo per il paese.
Un settore importante in Zimbabwe era l’agricoltura, in particolare produzione di tabacco. Mugabe ha distrutto la più grande industria di esportazione del paese strappando la terra dai coltivatori bianchi e consegnandola agli “amici” che però spesso conoscevano poco il settore. Con il crollo della produzione agricola e l’aumento della disoccupazione, l’economia è crollata. Sempre sotto Mugabe, persone vicine al partito di governo sono state assoldate come funzionari pubblici e sono state scritte leggi farraginose e incomprensibili in modo che si potessero chiedere tangenti per non farle rispettare.
Non c’è dubbio che l’economia dello Zimbabwe sia stata decimata durante il regime di Mugabe. Ora l’iperinflazione è da primato, la disoccupazione elevata (solo il 53% degli adulti in età lavorativa sono occupati), c’è carenza di carburante e di cibo. Si assiste ad una paralisi del debito pubblico – si attesta ufficialmente a 11,6 miliardi di dollari (82% del PIL) – e, più di recente, anche la mancanza di denaro, tutti fattori che stanno per far collassare l’economia del paese dall’inizio degli anni 2000.
Mnangagwa sta facendo di tutto per migliorare la situazione. Ha passato gli ultimi mesi a fare il giro del mondo cercando di raccogliere fondi. Sebbene affermi di aver assicurato circa 11 miliardi di dollari di investimenti esteri diretti, molti dubitano che ciò possa risolvere la crisi. Intanto i prezzi sono aumentati perché i dollari reali sono diventati ancora più scarsi. Lo Zimbabwe ha anche grandi quantità di oro e platino, che non vengono sfruttati, ma che si potrebbe iniziare a mettere a frutto.
Ma qualche spiraglio di luce si intravede. Nel 2017, Harare si è classificata al 51° posto nell’indice Fraym Urban Markets, che dà una valutazione dei maggiori centri urbani africani. Altre importanti aree urbane dello Zimbabwe, Bulawayo e Chitungwiza, si sono rispettivamente classificati al 121° e al 149° posto nell’Indice, che ha analizzato 169 aree urbane nel continente secondo tre fattori: l’attività economica, il comportamento dei consumatori e la connettività economica.
La speranza è che Mnangagwa, dopo aver vinto le elezioni, possa persuadere i creditori internazionali, come il FMI, a rinnovare il credito allo Zimbabwe, tagliato durante il governo di Mugabe. Ora il percorso per la ripresa è in salita, ma non impossibile da realizzare.