Il neopresidente liberiano George Weah si trova in questi giorni costretto ad affrontare le dure critiche rivoltegli da autorevoli esponenti della società civile del suo Paese e dei corporate media internazionali per una limitazione progressiva al raggio d’azione della libera stampa che  il Comitato internazionale per la protezione dei giornalisti (Cpj) ha definito “allarmante”.

“Se c’è una cosa che in Africa non muore mai è la speranza. Pianta sbatacchiata ma mai sradicata, nonostante guerre, epidemie, saccheggi, povertà, colonialismo”, aveva scritto l’inviato speciale della Gazzetta dello Sport Filippo Maria Ricci commentando l’insediamento di Weah a presidente a Monrovia nello scorso gennaio: l’ex Pallone d’oro era riuscito a catalizzare sulla sua persona tutte le aspirazioni di una nazione, la Liberia, sconvolta da due durissime guerre civili a cavallo tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo e intenta a portare avanti una difficile transizione a partire dall’ascesa dell’ex presidentessa Ellen Johnons Sirleaf.

Ora, queste aspirazioni sono in bilico sulla scia delle controversie tra il presidente e la stampa interna ed internazionale: Weah si trova di fronte a una sfida di cruciale importanza.

Braccio di ferro tra Weah e i reporter

Come scrive Giovanni Masotti su Formiche, lo scenario del governo Weah è a dir poco ambiguo. “Bavaglio alla stampa, boicottaggio e minacce: questo il fosco quadro disegnato da un recentissimo rapporto dell’Onu. Uno, in particolare, degli episodi denunciati è clamoroso. Il presidente-calciatore ha denunciato per diffamazione un quotidiano che non gli ha perdonato la sorprendente involuzione (il Front Page Africa), reclamando un indennizzo-record di quasi due milioni di dollari, cifra vertiginosa in una terra in cui il reddito medio mensile ammonta a non più di 45-50 dollari […] Un’esosa intimazione che, evidentemente, vuole arrivare a costringere il giornale scomodo a chiudere i battenti”.

Un caso molto simile ha riguardato il corrispondente Bbc da Monrovia, Jonathan Paye-Layleh, che ha lasciato la Liberia denunciando gli avvertimenti ricevuti: “Ho paura che il presidente ordini il mio arresto – spiega il giornalista inglese – solo perché mi sono schierato contro di lui e ho chiesto conto del tribunale speciale per i crimini di guerra, non ancora istituito”. 

Weah ha risposto rigettando tali accuse e, come riportato dal Times, convocando una conferenza stampa in cui ha rivendicato di garantire “il 200 per cento di libertà” ai giornalisti nel Paese. Tuttavia, per il presidente-calciatore appare sempre più complicato tramutare in fatti concreti l’ondata di speranze suscitata in campagna elettorale.

Governare la Liberia, un’impresa ardua

Lo avevamo scritto anche noi sugli Occhi della Guerra: per Weah la vera sfida sarebbe iniziata dopo l’investitura presidenziale. Questo perché è difficilissimo essere alla guida di una nazione povera, sconvolta dalla divisione etnico-politica prima e dall’epidemia di Ebola poi, senza dover necessariamente scendere a compromessi coi torbidi del passato.

Lo ha puntualizzato con chiarezza Francesco Battistini del Corriere della Seramettendo a confronto le dichiarazioni del Weah calciatore e politico emergente e le mosse del Weah presidente. Il primo “ha sempre avuto dalla sua il coraggio dei gol impossibili: nel ’96, quand’ era al Milan, si schierò contro il dittatore Taylor e chiese l’intervento dell’ Onu; nel 2000, su pressione della stampa britannica, ottenne da Taylor la liberazione di quattro giornalisti inglesi accusati di spionaggio; nel 2002, prometteva una corte internazionale che punisse per i crimini di guerra”. Il secondo, ha dovuto accettare come vicepresidente l’ex moglie dello stesso Taylor e si trova sotto il fuoco delle accuse per una condotta non del tutto limpida nei confronti dei media.

Non sarebbe generoso dichiarare che con le sue mosse Weah ha tradito la riconoscenza che il popolo liberiano ha dimostrato nei suoi confronti: il suo mandato è ancora all’inizio, e il presidente sarà giudicato, negli anni a venire, dagli sforzi compiuti per risolvere le gravi problematiche del sottosviluppo della Liberia. Tuttavia, è giusto preoccuparsi per una deriva che potrebbe aprire a una stagione di difficoltà per la stampa in Liberia: un Paese non potrà mai essere sviluppato se in esso non vi sono garanzie per un’informazione limpida e libera.

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