Il giorno X è arrivato: in questo mercoledì Ursula Von Der Leyen ha reso pubblico il piano suo e della commissione europea da lei presieduta per la gestione dell’immigrazione e del diritto d’asilo nel vecchio continente. Già alcuni giorni fa, nel corso delle dichiarazioni rese a Bruxelles sullo stato dell’unione, l’ex delfino di Angela Merkel aveva anticipato alcuni punti del suo piano. Si era parlato, in primo luogo, del superamento del trattato di Dublino, ossia di quel documento che assegna unicamente al Paese di primo approdo l’onere dell’accoglienza. Un argomento delicato specialmente per l’Italia, che per via di questo regolamento ha dovuto sobbarcarsi i numeri più importanti relativi alle crisi migratorie. Ma proprio per Roma il piano della commissione potrebbe portare in dote non poche insidie.

I tre pilastri del nuovo piano

Così come diramato dalle note della Commissione Europea, ad emergere in primo luogo è il fatto che il piano ideato da Ursula Von Der Leyen si poggia su tre punti fondamentali. Il primo riguarda la cosiddetta “procedura di frontiera integrata”. Si tratta di un vero e proprio screening pre ingresso, come viene nominato dalla stessa commissione, con il quale verranno identificate tutte le persone entrate in Unione Europea senza autorizzazione oppure dopo le missioni di salvataggio e ricerca in mare: “Ciò comporterà – riferiscono da Bruxelles – anche un controllo sanitario e di sicurezza, rilevamento delle impronte digitali e registrazione nella banca dati Eurodac, già prevista dalle regole in vigore”. Una volta identificati i migranti, questi ultimi verranno “indirizzati nella giusta procedura – si legge ancora nella nota della commissione – sia alla frontiera per determinate categorie, sia nell’ambito di una normale procedura di asilo per coloro che chiedono lo status di rifugiato”.

In poche parole, in questa fase è previsto un monitoraggio dei migranti che arrivano alle frontiere esterne comunitarie e l’obiettivo è quello di prendere subito dopo le decisioni necessarie che saranno valutate caso per caso: al migrante dunque o verranno aperte le procedure per la richiesta di asilo oppure quelle per il rimpatrio. Il secondo pilastro poggia su un termine ambiguo per le velleità dell’Italia sul tema: si richiama infatti alla solidarietà, che potrebbe voler significare un aiuto concreto ai Paesi di primo sbarco, così come potrebbe invece apparire come l’ennesima promessa del genere. Il piano prevede infatti solo degli impegni che però non ammette alcun tipo di obbligo. Questione che evidentemente cambia di molto la percezione di questo nuovo patto dell’unione europea sui migranti dal momento che un’assenza di meccanismo che renda obbligatorio il ricollocamento, di fatto non darebbe alcun tipo di sostengo concreto ai Paesi di primo approdo, a partire da Italia, Grecia e Spagna. Infine, il terzo pilastro prevede accordi con i governi extra europei sia per la gestione dei flussi migratori che per i rimpatri.

La presidente della Commissione Ue ha detto che lei e i suoi commissari hanno l’impegno di rendere questo accordo qualcosa che eviti le gestioni ad hoc delle emergenze. “L’Europa deve lasciarsi alle spalle le soluzioni ad hoc e mettere in piedi un sistema di gestione delle migrazioni prevedibile ed affidabile” ha detto la Von der Leyen. Ma l’impressione è che per mettere d’accordo tutti (e soprattutto i paesi più recalcitranti) si vada incontro a un bluff.

Doccia fredda per l’Italia

Il piano presentato di fatto non annullerebbe il trattato di Dublino, né tanto meno andrebbe ad inserire meccanismi automatici sui ricollocamenti. Elementi questi ultimi che invece erano stati chiesti a più riprese dal nostro Paese, soprattutto dal governo giallorosso guidato da Giuseppe Conte. I principi attuali su cui si regge l’impostazione della gestione dell’immigrazione e delle domande d’asilo di fatto non sono stati annullati, bensì solo scalfiti e modificati. Inoltre l’applicazione pratica di quanto previsto dal piano è tutta da verificare. Ci si chiede, soprattutto in ambito politico, come verrà resa fattibile la fase di screening lungo le frontiere esterne e se funzioneranno le agenzie europee preposte allo scopo. Ma non solo: durante questa fase, è molto probabile che il migrante sbarcato resterà all’interno del territorio del Paese di primo approdo. E quindi, in sostanza, non cambierebbe nulla né per l’Italia e né per le altre nazioni i cui confini marittimi sono anche i confini esterni dell’Ue.

Eppure, da parte sua, il presidente del consiglio ha provato a mascherare la delusione parlando di primi potenziali passi in avanti: “Il Patto sulla Migrazione è un importante passo verso una politica migratoria davvero europea – ha scritto Conte su Twitter – Ora il Consiglio europeo coniughi solidarietà e responsabilità. Serve certezza su rimpatri e redistribuzione: i Paesi di arrivo non possono gestire da soli i flussi a nome dell’Europa”.

La difficile partita in Europa

C’è anche un’altra considerazione non secondaria: al netto della bontà o meno della proposta della commissione, adesso in ogni caso il piano dovrà passare al vaglio delle varie istituzioni comunitarie e degli Stati membri. La discussione all’interno del vecchio continente è tutt’altro che lineare: molte sono le posizioni divergenti, molti i punti di disaccordo tra i 27 governi. C’è il blocco di Visegrad ad esempio che non intende accettare la suddivisione in quote del numero di migranti, c’è l’Austria del cancellerie Kurz che non appare disponibile a concessioni sulla sua linea contraria ai principi di solidarietà tra i Paesi Ue. E poi c’è da capire soprattutto il ruolo della Germania, presidente di turno dell’Ue fino a dicembre. I negoziati saranno lunghi e faticosi, il piano presentato in queste ore potrebbe vedere la luce, se tutto va bene, solo con il nuovo anno.