Il recente evolversi degli eventi in Libia ha dimostrato ancora una volta l’incapacità della struttura dell’Unione europea di gestire una politica estera di rilievo internazionale.
La scena in Libia pare infatti essere stata definitivamente presa da Stati extraeuropei, su tutti Turchia, Qatar e Russia, che hanno spodestato dalla partita il continente che, più di chiunque altro, avrebbe interesse che la situazione libica si stabilizzasse: l’Europa. Del Vecchio Continente rimane la sola Francia a giocare un ruolo d’ombra, con l’unico interesse di tutelare le rendite delle proprie aziende.
L’Italia ha un vincolo esterno anche in politica estera
In questo scenario, l’Italia, che è il Paese europeo che più di ogni altro avrebbe interesse nel vedere un nord Africa finalmente stabile e prospero, ha deciso di subordinare la propria agenda di politica estera a quella di istituzioni sovranazionali, quali l’Unione europea e l’Onu. Per l’Italia si tratta quindi di una riproposizione del principio di “vincolo esterno” già applicato alla politica economica nazionale.
In sostanza il Governo di Roma da tempo è convinto che gli interessi nazionali siano meglio tutelati sotto le regole e l’ombrello europeo e della comunità internazionale. Una scelta che, alla luce degli scarsi risultati ottenuti finora, risulta più che discutibile e in particolare per due ragioni.
Innanzitutto il principio del “vincolo esterno”, in sede europea, può essere efficace solo se rispettato da tutti gli attori coinvolti e, in questo caso, sappiamo che la Francia ha avuto in Libia, dal 2011, un’agenda politica del tutto indipendente rispetto a quanto stabilito in sede europea.
L’Europa non vuole avere responsabilità sulla politica estera
La seconda ragione risiede nella carenza strutturale della stessa Unione europea. L’Italia intende agire con un vincolo esterno che Bruxelles non ha la capacità di formulare. L’ha ammesso la stessa presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. “Siamo per un’iniziativa sotto l’egida dell’Onu, ma ad ogni modo in Libia la Commissione europea può fare poco. Spetta al Consiglio, con i suoi Stati membri, decidere di missioni europee”. Questa dichiarazione dimostra il livello di confusione strutturale che risiede a Bruxelles.
Sulla carta infatti quello che dice la von der Leyen è vero: la politica estera in sede Ue spetterebbe all’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la sicurezza. Tale carica dovrebbe agire su mandato del Consiglio dell’Unione europea, l’organo composto dai primi ministri degli Stati membri. Tuttavia l’Alto rappresentante è anche membro a tutti gli effetti della Commissione Ue. Una confusione strutturale evidente che ha portato nel tempo ad un’unica strada: l’insignificanza di questo ruolo in sede europea e internazionale.
L’incomprensibile strategia italiana
Se il ministro degli Esteri europeo è assente e la più alta carica politica europea, ovvero la Presidente della Commissione, ammette di non aver alcun tipo di potere sulla politica estera, questo significa una cosa sola: l’Europa non può in nessun modo svolgere il ruolo di “ombrello” per i suoi Stati membri. Resta quindi da chiedersi perché l’Italia sia così convintamente ostinata nel sacrificare la propria agenda estera per un interesse comune superiore che, semplicemente, non esiste nemmeno sul piano strutturale.
Non è un caso infatti che i principali eventi internazionali degli ultimi anni, dalle Primavere arabe alla crisi ucraina fino alle ultime vicende iraniane, abbiano visto da una parte l’assenza dell’Europa e dall’altra l’astuta partecipazione autonoma di Stati europei. La Francia in Libia è ormai un caso che fa storia, ma anche gli accordi tra Germania e Turchia per la gestione dei flussi migratori dalla Siria, chiusi o aperti a seconda delle esigenze del mercato tedesco, sono un buon esempio. Si tratta di tante lezioni che l’Italia dovrebbe far sue, per evitare di recitare sempre la parte del Paese ove ricadono i rischi della politica estera altrui.