La Turchia si allontana sempre di più dall’Occidente. Almeno questa è la convinzione della Casa Bianca e di molte Cancellerie europee dopo la vittoria di Erdogan alle elezioni di domenica scorsa.

Erdogan ha vinto come previsto ma non ha stravinto; la sua vittoria non è stata un plebiscito eppure, grazie alla riforma Costituzionale dello scorso anno, i suoi poteri sono ora quasi assoluti a partire dall’abolizione del premierato e dalla concentrazione dei poteri legislativi ed esecutivi nelle sue mani, fino alla riduzione del ruolo di controllo del Parlamento, oltre all’endemica attività repressiva contro opposizioni e, più o meno finti, golpisti.

Per la prima volta dopo 16 anni, il partito del Presidente (l’AKP) non avrà la maggioranza assoluta. Erdogan quindi governerà con l’appoggio fondamentale dell’altro partito della colazione, il MHP, formazione della destra nazionalista pan-turca e anti-occidentale e braccio politico dei Lupi Grigi l’organizzazione paramilitare famosa per il suo coinvolgimento nell’attentato a Papa Giovanni Paolo II.

Questo potrebbe spingere la Turchia ad una maggiore integrazione con l’Eurasia allontanandola dall’Occidente con cui oggi Erdogan va sempre meno d’accordo.

L’ultimo episodio qualche giorno fa ad Ankara quando, durante la riunione con i membri dell’Associazione Europea del Libero Scambio (EFTA), il ministro dell’economia turco Nihat Zeybekci, ha dichiarato che la Turchia non “si ritiene vincolata” dalla sollecitazione americana ai paesi alleati di interrompere le importazioni di petrolio dall’Iran; ma solo se la decisione sarà presa dalle Nazioni Unite. Di per sé la questione non è sconvolgente; anche l’Europa non ha seguito Washington nella sua contrapposizione con Teheran.

Il vero problema è che il ministro turco ha aggiunto che Ankara “farà attenzione affinché l’Iran, paese amico e fratello, non subisca ingiustizie o torti in questo ambito”; che un membro della Nato definisca “amico e fratello” un Paese che l’America ritiene sponsor del terrorismo, mostra la distanza ormai abissale tra i due mondi.

Qualche settimana prima era scoppiata una crisi senza precedenti tra Turchia e Austria, quando il governo sovranista del giovane cancelliere Sebastian Kurz aveva deciso di chiudere sette moschee sunnite (tra cui quella turca di Vienna) ed espellere una quarantina di imam finanziati dalla Turchia, rei di aver violato la legge che vieta di riceve finanziamenti dall’estero.

Erdogan aveva risposto in piena campagna elettorale con toni da guerra, ammonendo circa il possibile scontro tra “Crociati e Mezzaluna”e aprendo una grande discussione circa la lealtà e l’integrazione dei 300 mila turchi che vivono in Austria nella stragrande maggioranza suoi fedelissimi (alle ultime elezioni il 72% di loro ha votato per l’AKP).

Due sono le questioni più urgenti su cui la Turchia di Erdogan giocherà in futuro un ruolo preminente di tensione con l’Occidente: immigrazione (UE)  e Siria (USA).

Immigrazione e UE

L’Europa ha bisogno della Turchia perché i 6 miliardi che l’UE ha accordato di versare ad Ankara entro il 2018 per contenere e arginare il flusso migratorio che preme sui Balcani da Oriente, potrebbero non essere sufficienti nel caso di un aumento di tensione con Erdogan. Fino ad oggi Ankara ha mantenuto i patti bloccando nei suoi campi di accoglienza gli oltre 3 milioni di profughi siriani, afghani, iracheni che fuggono dal Medio Oriente incendiato dalle guerre umanitarie dell’Occidente e dal terrorismo sunnita (Isis, Al Qaeda) armato e finanziato da Arabia Saudita e dalla stessa Turchia.

Un allarme in questo senso suonò un anno fa quando, una crisi generata dal divieto di Germania e Olanda di consentire ai ministri di Erdogan di recarsi a fare propaganda in quei paesi ai cittadini turchi (1,5 milioni in Germania e 250 mila in Olanda) in vista del Referendum costituzionale, portò il Presidente turco a minacciare l’apertura delle frontiere e la rottura dell’accordo.

Non è un caso che tra le conclusioni dell’ultimo vertice europeo di Bruxelles, è specificato che l’Europa s’impegna compiere gli sforzi necessari “per attuare pienamente la dichiarazione UE-Turchia”, prevenire nuovi attraversamenti dalla Turchia e arrestare i flussi.

Siria/USA

All’inizio del conflitto siriano la Turchia si è schierata apertamente con la coalizione a guida Usa formalmente creata per combattere l’avanzata del Califfato Islamico ma che in Siria ha operato e tuttora opera (fuori dal diritto internazionale) per generare il regime change del governo di Assad.

Poi la svolta: l’avvicinamento a Putin una volta capito che Assad non sarebbe stato sconfitto e un accordo di partecipazione al processo di pace di Astana con la possibilità di ottenere il controllo dei territori settentrionali strappati ai curdi con la vittoriosa campagna militare di Afrin condotta con l’indifferente complicità dell’Occidente che sempre consente ai suoi “alleati” di violare ogni legge internazionale e diritto umanitario; e infine costringendo gli Usa a “tradire” i curdo-siriani del SDF cedendo anche Manbij e creando una zona cuscinetto a ovest dell’Eufrate.

L’ossessione anti-curda di Erdogan si è accentuata negli ultimi anni mettendo in difficoltà l’Occidente per il quale i curdi sono stati alleati e combattenti eroici contro Daesh. Due mesi fa la Turchia ha rischiato la rottura dei rapporti diplomatici con Parigi le cui mire espansionistiche in Siria si appoggiano proprio sull’alleanza con i curdi

Conclusione

L’Europa ha bisogno della Turchia ma la Turchia sta diventando una minaccia per l’Europa; Se il nuovo governo Erdogan scivolerà sempre più verso un’autocrazia islamista le tensioni con l’Occidente prevarranno. Questa può essere una condizione ideale per sviluppare nuove politiche di integrazione e far giocare ad Ankara un ruolo regionale di cerniera con l’Eurasia, oppure lo sbocco di una crisi irreversibile.

Nel frattempo la Turchia sta avvicinandosi sempre più a Mosca e a Pechino con accordi commerciali, energetici e militari. La possibilità che Ankara entri nel Gruppo di Shangai (ormai Organizzazione globale) non è lontana e conviene di più che rimanere l’eterno invitato non desiderato al tavolo dell’Occidente.

Certo è che nel caso di uno scontro tra Occidente ed Eurasia, oggi probabilmente la Turchia, membro della Nato e con quasi 3 milioni di cittadini residenti in Europa (molti con doppia cittadinanza), guarderebbe più ad Est. L’Europa è avvertita.

@GiampaoloRossi puoi seguirlo anche su Il Blog dell’Anarca

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