Era l’ormai lontano 2008 quando i Paesi sudamericani firmarono il Trattato di Brasilia. Un orizzonte che sarebbe stato utile a costituire un’entità unica a livello internazionale per accrescere il peso decisionale dei singoli Stati. Un’idea che si è arrestata presto, con un sistema entrato in crisi già nel 2017 per la forte opposizione di Nicolas Maduro all’elezione alla carica di Segretario generale di José Octavio Bordon, culminando con l’autosospensione nell’aprile 2018 di 7 Paesi dall’accordo, tra i quali Colombia, Brasile ed Argentina. Esattamente come fu per la Società delle Nazioni nel mondo occidentale dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, il primo tentativo è stato fallimentare.

Le motivazioni si possono riscontrare nelle modalità in cui questa associazione è stata formata. Essa infatti non è nata da spinte identitarie comuni della popolazione del continente, bensì da una serie di decisioni prese dalle alte cariche degli Stati.

Bisogna ricordare infatti che la storia coloniale dei singoli Paesi del Sud America e la gestione politica post-colonialista si sono svolte in modo assai differente. Anche in epoca recente i conflitti non sono mancati, basti pensare alla guerra Ecuador-Perù del 1995, appena tredici anni prima della firma del trattato di Brasilia. Anche l’Unione Europea, nella sua prima embrionale formazione, nacque da un periodo post-bellico, nel quale però le ideologie ed i ceti dirigenti erano stati completamente capovolti e nel quale la paura di incorrere in nuove guerre, militari o commerciali, incoraggiò la decisione di perseguire una strada comune. La paura, infatti, insieme allo slancio di fratellanza in quanto portatori della stessa storia e della stessa cultura, è la base fondante della nascita di una cooperazione internazionale. Il tutto insieme agli obiettivi comuni delle agende nazionali.

Questa paura, però, nei popoli del Sud America ancora non è insita. Le persone che si sono riversate in strada nel Cile per protestare contro gli aumenti promessi dal Governo non ne hanno, come gli oppositori di Maduro in Venezuela e le Farc colombiane. Nessuno di loro teme la possibilità di una guerra tra le nazioni, perché essa vive all’interno del proprio stesso stato e collaborazione internazionale non sarà in grado di risolvere il problema. Nei Paesi come il Venezuela che non godono di una nota fama democratica i cittadini non credono nella possibile esistenza di una entità democratica sovranazionale, poiché la immagineranno corrotta come quella del proprio Stato di appartenenza.

Se l’America Latina si rivelerà in grado di scalzare i vecchi metodi governativi e riuscirà a dotarsi di apparati democratici trasparenti e realmente funzionanti, in futuro forse ciò sarà possibile. L’esempio del Cile, con il popolo che si riversa nelle strade costringendo il Governo a mettere in campo i carri armati, con delle scene che riportano alla memoria il generale Augusto Pinochet, evidenzia come l’attuale gestione democratica stai arrivando al collasso, per farne forse nascere una sua versione 2.0, riformata e più contemporanea. Forse un giorno simile a quella Europea, forse un giorno capace di creare una Unione sudamericana.

Non bisogna sottovalutare infatti un aspetto molto importante. L’economia sudamericana non viaggia in floride acque, anche e soprattutto per questioni legate alle valute ed alla poca fiducia internazionale di cui godono. Da un punto di vista produttivo è tuttavia il fiore all’occhiello dell’economia internazionale, soprattutto per quanto riguarda le coltivazioni. Una possibile Unione Sudamericana, come l’introduzione di una valuta unica per la regione, sarebbe in grado di risolvere il problema giocando al contrario rispetto all’Euro nel vecchio continente: se in Europa infatti la moneta unica serviva a garantire stabilità, con un occhio di riguardo alle importazioni, in America Latina sarebbe incentrato sulle esportazioni, garantendo una crescita più omogenea. In questa logica, un tendere ad una unione internazionale dei 12 Paesi del America Meridionale (estendibile a quelli del Centro America) appare naturale, volta a garantire la stabilità anche democratica della regione. In una condizione però in cui la realtà non è totalmente democratica e la fiducia in questa entità non è di conseguenza garantita nella popolazione, il pilastro fondante viene naturalmente a mancare.

Tuttavia, gli avvenimenti odierni sono delle ottime basi di partenza. Gli sviluppi dei prossimi mesi saranno in grado di mostrare quanto tempo ancora però si dovrà attendere la riuscita del progetto. Con buona approssimazione questo periodo storico che l’America Latina sta attraversando sarà la base per il futuro del continente, forse per lanciarlo finalmente alla ribalta nelle logiche di potere internazionali.





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