Non è scontato sostenere che Recep Tayyip Erdogan stia agendo esattamente come un dittatore farebbe; spietato, autoritario e repressivo. Quella dell’epurazione degli ufficiali dell’esercito, giustificata a posteriori con la scusa del golpe solo per legittimarla, la sostituzione di rettori e docenti, togliendo loro la possibilità di emigrare, sullo sfondo il solito spettro del finanziamento e dell’armamento del Califfato in Siria ed Iraq, l’ultradecennale questione curda e il ricatto all’Europa sulla crisi migratoria.Per approfondire: Perché il golpe è fallitoNegli ultimi anni Erdogan è stato più un problema per l’Europa che altro, associato alla buona tenuta della Nato cui la Turchia contribuisce con il secondo esercito più numeroso dopo quello statunitense. Una garanzia politica e militare per gli Stati Uniti, che utilizzavano la carta di membership nell’Unione Europea come pedina di scambio per i favori in Medio Oriente. Può dunque la degenerazione della situazione politica di Ankara trasformarsi in un via libera per l’Europa?Tutti i Paesi occidentali hanno taciuto circa la vicenda del golpe durante il suo svolgimento, quasi come se, con un filo (neanche tanto sottile) di ipocrisia, si attendesse con ansia la buona riuscita del putsch, salvo poi ritornare sui loro passi mestamente a fallimento accertato. Ora l’omertà europea e statunitense prosegue sulle vicende delle epurazioni, degli abusi fisici nei confronti dei militari rei di essersi liberati al regime del Sultano che, date anche le prove che si sono rinvenute, prosegue nel suo braccio di ferro contro l’occupante americano, a causa di una fondata presunzione di partecipazione dei servizi di sicurezza di Washington alla pianificazione del Colpo di Stato. In breve, la Turchia vuole il suo spazio e la sua libertà d’azione, agli Stati Uniti ciò non sta bene, e a Bruxelles si sono pentiti amaramente di aver per anni lusingato il Paese sotto la guida di uno statista ben poco illuminato.Per approfondire: Così i servizi hanno sventato il golpeLa soluzione a ciò, tuttavia, la fornisce proprio Erdogan: dopo quello che è avvenuto venerdì notte, il Sultano ha ben compreso che la sua alleanza con l’Occidente andrebbe decisamente rimodulata. Oggi per questa parte di mondo egli è “persona non grata”, soltanto che nessuno è riuscito mai a dirglielo. L’occasione, per l’Europa, è oggi più che ghiotta, giunti oramai ad un punto di non ritorno nella stagione politica di Erdogan. Se egli dovesse riuscire nell’avere la meglio nella contesa con la Nato, ristabilire la legge islamica e reintrodurre la pena capitale senza che nessuno gli tolga lo scranno su cui siede, Bruxelles dovrebbe fare mea culpa, e cancellare anni di accomodanti politiche. Ankara è membro del Consiglio d’Europa dal 1949, anno della sua fondazione – sebbene non ne sia membro originario -, organizzazione il cui scopo è quello di proteggere i diritti umani e promuoverne la Convenzione Europea sugli stessi. I principi di democrazia che costituiscono un altro dei pilastri dell’Unione Europea rischia di venir meno, per cui anche la candidatura della Turchia all’Organizzazione dovrebbe decadere.Per anni l’Europa, sotto pressione della Nato, ha dovuto avere a che fare con uno stato che ha sottratto miliardi di euro in fondi destinati alla risoluzione del problema migratorio, con un risultato ancora peggiore rispetto alle premesse iniziali. L’Europa ha così l’opportunità di risolvere tutti i suoi problemi nell’ambito di un fallimento del colpo di Stato: allontanare la Turchia da un discorso europeo in cui è sempre stata decisamente fuori luogo; in questo modo, Ankara, forte della sua posizione economica e militare (non dimentichiamo che la Turchia, sotto Erdogan, ha avuto una crescita economica senza precedenti, con una triplicazione del Pil in poco più di 10 anni), si pone come prima forza islamica del Medio Oriente, in diretta contrapposizione con l’Iran sciita. Quel famoso progetto di “Sunnistan” di cui si parlava tanto, di trovare una stabilità in Medio Oriente dopo i grossolani errori compiuti dall’Occidente nell’ultimo secolo, forse potrebbe trovare un riscontro positivo nel tentativo di riequilibrare una zona calda come il Medio Oriente, d’altronde la storia insegna, lo sfaldamento dell’Impero Ottomano e la mancata promessa di un grande stato arabo hanno provocato la degenerazione attuale.Per approfondire: Quel regalo di Erdogan all’IsisChi potrebbe – verosimilmente o no – uscirne con le ossa rotte sarebbe la Nato, più che mai claudicante e spaccata, anche per via degli scenari difficili e delle spaccature interne alla stessa organizzazione. Ancora una volta, un ripensamento della struttura del Patto Atlantico ritorna in auge, con la necessità, da parte europea, di ripensare il proprio ruolo al suo interno. La Nato probabilmente costituisce il maggiore ostacolo al processo di integrazione europea, da un punto di vista politico ma soprattutto militare, che traslerebbe Bruxelles dalla condizione di potenza normativa ad una di potenza militare, decisamente in grado di dire la sua all’interno del contesto in cui si colloca. Ciò la renderebbe inoltre un interlocutore privilegiato per la Russia di Putin che tutto desidererebbe fuorché un’Europa spaccata e instabile.Erdogan ha forse, con lungimiranza o fortuna – sebbene parte del popolo turco non potrà che essere in aspro disaccordo -, servito una grande opportunità all’Europa, vedremo se questa sarà in grado di coglierla. Purtroppo, sebbene non risulti essere la soluzione più gradevole, bisogna sempre fare i conti con quelle che sono le caratteristiche culturali di ciascuno stato. Non si può sempre pretendere che la democrazia così come viene pensata in Occidente sia sempre un modello vincente. La politica, si sa, è anche compromesso, e la cura dei propri interessi è sempre in prima linea negli affari internazionali.

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