Il dedalo di strade compreso tra la via Eleftherias e il checkpoint di Ledra Street, a Nicosia, colpisce soprattutto per la desolazione che caratterizza gli edifici, il selciato, le mura sovrastate dal filo spinato, per lo stato di evidente abbandono in cui versano i vecchi negozi e le abitazioni fatiscenti situate a pochi passi dalla Green Line, il confine tra la Repubblica di Cipro e Cipro Nord, tracciato nel 1964 dagli inglesi con una penna a inchiostro verde.
Attraversando queste viuzze, specialmente la mattina presto o nel tardo pomeriggio, poco prima dell’imbrunire, si sperimenta una peculiare sensazione di sospensione, di assenza, come se il viandante venisse gradualmente catapultato in un’altra dimensione, in un’epoca remota e insieme straordinariamente vicina. La sensazione si acuisce quando si giunge nei pressi della zona presidiata dai peacekeepers, le forze delle Nazioni Unite che arrivarono sull’isola più di cinquant’anni fa, nel lontano 1964, nel momento culminante degli scontri interetnici tra greco-ciprioti e turco-ciprioti che condussero alla suddivisione di Cipro in due entità ben distinte: a sud la Repubblica di Cipro, una nazione appartenente all’Unione Europea e abitata da una popolazione a maggioranza ortodossa che parla il greco, a nord la Repubblica Turca di Cipro del Nord, uno stato autoproclamatosi nel 1983 – nove anni dopo l’invasione turca del 1974, che certificò la separazione dell’isola – e formalmente non riconosciuto da nessun’altra nazione, ad eccezione della Turchia.
Da allora si è ripetutamente cercato di completare il processo di riunificazione dell’isola, ma tutti i tentativi si sono invariabilmente risolti in miseri fallimenti. L’ultimo risale soltanto a pochi mesi fa, in occasione dei colloqui di Crans-Montana (Svizzera), quando l’ennesimo tentativo di giungere a un risultato concreto è naufragato sotto gli occhi di Antonio Gutierres, segretario generale delle Nazioni Unite.
Tutto ciò ha generato una percepibile sfiducia nei confronti dell’Onu e delle istituzioni comunitarie, nei confronti della stessa Unione europea, verso la quale molti greco-ciprioti sembrano nutrire sentimenti ben poco amichevoli, in qualche caso persino apertamente ostili. Uno di questi è Haig Indjirdjian, un anziano riparatore di orologi che lavora a pochi passi dalla Green Line e dal checkpoint di Ledra Street, uno dei sette punti d’accesso che collegano le due anime di Cipro, quella greca e quella turca. Al vecchio orologiaio, che per una vita intera ha spostato lancette avanti e indietro, strofinandole e dedicandovi grandi cure, abbiamo chiesto come si sarebbe comportato con la lancetta per lui più importante, quella che scandisce la storia recente dell’isola di Cipro.
“Se potessi riportare indietro le lancette del tempo, certamente le fermerei al periodo in cui la Repubblica di Cipro non era ancora parte integrante dell’Unione europea – afferma con convinzione l’anziano orologiaio; – Unendoci all’Europa abbiamo perso la nostra identità, la nostra cultura, abbiamo perso i nostri soldi e i nostri risparmi. Io mi considero soltanto cipriota: dell’Europa non mi importa nulla”.
In seguito agli scontri interetnici e alla susseguente separazione dell’isola, il signor Indjirdjian è stato costretto a chiudere il proprio negozio e a trasferirsi altrove, più a sud, nelle immediate adiacenze della zona cuscinetto controllata dalle Nazioni Unite. Al posto del suo vecchio negozio, in questo momento, si trovano gli uffici della polizia e dell’esercito greco-cipriota, dove i funzionari controllano i passaporti di chi desidera transitare tra Cipro Nord e la Repubblica di Cipro.
In quella stessa zona, a cavallo tra le due postazioni di controllo – quella greco-cipriota e quella turco-cipriota -, ogni sabato mattina si riuniscono i volontari di “Unite Cyprus Now”, un gruppo animato dal desiderio di “connettere i ciprioti attraverso la ricerca della verità, costruendo empatia, rispettando la diversità e rinforzando la solidarietà, promuovendo un futuro comune”. Indipendentemente dall’entusiasmo dei volontari, i nodi irrisolti tra le due parti rimangono ancora troppo numerosi per poter sperare in una rapida riunificazione di Cipro: uno dei più evidenti è rappresentato dalla presenza dell’esercito turco sull’isola, un tema discusso anche a Crans-Montana tra i due leader ciprioti, Mustafa Akinci (il presidente turco-cipriota) e Nicos Anastasiades (presidente della Repubblica di Cipro).
Un altro punto controverso è la ripartizione del potere: nonostante rappresentino soltanto il 18% dell’intera popolazione di Cipro, i turco-ciprioti desiderano gli stessi poteri dei greco-ciprioti, ossia il 77% degli abitanti dell’isola (il restante 5% è composto da alcune minoranze, come gli armeni). Prima di Crans-Montana, un altro tentativo di riunificazione era fallito nel 2004, quando il piano dell’ex segretario generale Kofi Annan venne sottoposto al giudizio degli isolani.
Il 65% dei turco-ciprioti votò a favore della riunificazione, mentre un’alta percentuale di greco-ciprioti – il 74% – si espresse in senso negativo. In totale, il piano di Kofi Annan fu accolto negativamente dal 66.7% dei votanti, un risultato che portò a un altro cocente fallimento. Qualche settimana fa, in occasione della sua (storica) visita in Grecia, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha affermato che la Turchia spera di giungere a “una soluzione equa e praticabile” per la disputa di Cipro. “Quando la Turchia e i turco-ciprioti parlano di una soluzione equa, essi intendono che i turco-ciprioti non dovrebbero essere considerati una minoranza, ma un partner alla pari – ci spiega Gallia Lindestrauss, research fellow all’Institute for National Security Studies in Israele; – Naturalmente, a causa della loro inferiorità numerica, questa è in qualche modo una sfida, ma bisogna considerare anche altre variabili. Va sottolineato che mentre il numero dei turco-ciprioti è inferiore a quello dei greco-ciprioti, se si guarda al quadro più ampio, l’asimmetria di dimensioni tra Grecia e Turchia contribuisce in qualche modo a controbilanciare questa apparente debolezza dei ciprioti di origine turca”.
Tra i dossier condivisi da Grecia e Turchia, oltre alla comune lotta all’immigrazione clandestina e ad alcune dispute minori nel mar Egeo – come quella relativa all’isola di Kardak, un isolotto di 40 ettari rivendicato da entrambe le nazioni – il più significativo è proprio quello relativo alla riunificazione di Cipro, continuamente fallita nonostante la mediazione dell’Onu.
“Il fatto che i colloqui di Crans-Montana non abbiano condotto a nessun risultato – prosegue Gallia Lindestrauss – è sembrato ad alcuni commentatori come un’indicazione che una Cipro federale non rappresenti più un’opzione praticabile. Dopo ulteriori riflessioni, le due parti potrebbero giungere a una conclusione di questo genere: la soluzione di una Cipro federale racchiude in sé degli evidenti problemi, ma le altre opzioni sarebbero anche peggiori”.
Le Nazioni Unite, da parte loro, continuano a parlare di una “soluzione possibile”, a patto che le due parti dimostrino una condivisa volontà politica. Secondo Aleem Siddique, portavoce delle Nazioni Unite a Cipro, “il Segretario Gutierres ha invitato i due leader ciprioti a riflettere sull’esito della conferenza di Crans-Montana, in modo tale da decidere quale sia la via migliore da seguire. L’Onu, in ogni caso, è pronta ad assistere entrambe le parti”.
Nei dintorni del negozio del vecchio orologiaio, nel cuore di Nicosia, l’oscurità cala con sorprendente rapidità, come se avesse fretta di occultare gli edifici in rovina, il filo spinato e la sbiadita bandiera delle Nazioni Unite che sventola al di sopra della zona cuscinetto presidiata dai peacekeepers. Il vecchio commerciante ci saluta con un sorriso e una stretta di mano, un’espressione sorniona dipinta sul volto brunito dal sole. “Sei fortunato, perché hai ancora la possibilità di decidere come spendere il tuo futuro – ci dice l’orologiaio congedandoci – Dovrai soltanto decidere se lo trascorrerai lavorando per gli altri, o se lavorerai solo per te stesso”.