Sono nove i Paesi con armi nucleari. L’istituto internazionale di ricerca per la pace di Stoccolma, all’inizio dell’anno, ha calcolato la presenza su scala globale di 13.400 ogive. Stati Uniti e Russia ne detengono più del 90%. Rispetto alle 70mila degli anni Ottanta, rappresentano solo una quinto dello scenario della Guerra fredda. Nonostante ciò non si può parlare di un’inversione di tendenza.

Non è avvenuto propriamente uno smantellamento, bensì una corsa all’innovazione. Le nuove tecnologie permettono l’uso di mini dispositivi con capacità selettiva sul campo di battaglia e sia Mosca sia Washington mantengono programmi costosi per modernizzare e rimpiazzare testate e sistemi balistici. Entrambi hanno, inoltre, ampliato la propria dottrina nel merito.

A Vienna, capitale della diplomazia nucleare, Stati Uniti e Russia stanno negoziando l’estensione del trattato di riduzione delle armi strategiche – i colloqui ufficiali hanno avuto inizio il 22 luglio. Se non si dovesse arrivare a un consenso, a febbraio del 2021, il mondo, per la prima volta in cinquant’anni, si ritroverebbe senza un vincolo ai maggiori arsenali esistenti.

Il trattato ha una lunga storia che si estende dal 1991 al 2010. Cinque mesi dopo la stipula dello Start I, che prevedeva limiti al numero di armi di cui ogni fazione poteva dotarsi, l’Unione Sovietica collassò, pertanto rimase in vigore con Russia, Bielorussia, Kazakistan e Ucraina. Questi ultimi tre hanno da allora azzerato il loro potenziale offensivo.

Lo Start II, siglato nel 1993 tra George H.W. Bush e Boris Eltsin, bandì l’uso degli impianti di trasporto e lancio multiplo di testate Mirv. Ratificato nel 1996 dal senato degli Stati Uniti, fu sospeso per alcuni anni alla duma russa. La ratifica fu posposta in segno di protesta contro gli interventi militari americani in Iraq e in Kosovo e l’espansione della Nato nell’Europa dell’Est. Nel 2002, George W. Bush e Vladimir Putin, per uscire dall’impasse, firmarono l’accordo Sort che abbandonava la logica dei precedenti e impegnava a una diminuzione unilaterale indipendente.

Una versione aggiornata del trattato, denominata New Start, venne lanciata nel 2010 da Barack Obama e Dimitri Medvedev. Stati Uniti e Russia acconsentirono al limite di un massimo di 1.550 testate atomiche e 800 sistemi balistici di gittata superiore al raggio di 5.500 chilometri. Il New Start prevede un assiduo scambio di informazioni ed è  stato rivisitato fino a diciotto volte l’anno.

Putin ha già annunciato la sua disponibilità per un New Start II, ma Trump esercita pressioni affinché la Cina sia inclusa nell’intesa. Pechino e Mosca si negano a tale possibilità. La Cina sta ampliando il proprio armamentario, restando però ancora molto distante da Russia a Stati Uniti, con poco oltre le 300 testate – i Paesi membri del trattato ne hanno circa 6mila ciascuno, pur essendo Pechino reticente alla trasparenza.

Se Trump insiste che non è fattibile discutere il controllo di armi strategiche senza la Cina, Putin ribatte che gli americani dovrebbero raggiungere un patto bilaterale con Xi Jinping. Mosca rilancia con la necessità di includere francesi e britannici che possiedono intorno a 500 ogive. La Cina è perentoria nel suo rifiuto, adducendo che la responsabilità della pace è nelle mani dei grandi produttori. Gli Stati Uniti alzano la voce e il capo negoziatore minaccia di spedire Russia e Cina nell’oblivio della storia, allungando le distanze, nell’eventualità di un’intensificazione della corsa al nucleare.

L’amministrazione Trump sta considerando la realizzazione di un esperimento atomico, il primo dal 1992, come un’avvertenza a Russia e Cina, riporta il Washington Post, che comporterebbe una rottura della linea di difesa seguita fino al momento. Washington, in aggiunta, adduce che i due paesi stiano realizzando test segreti, negati dai rispettivi governi. Secondo fonti anonime, questa sarebbe una tattica di negoziazione efficace, ma non si è arrivati a una decisione finale.

Il vice-ministro degli Esteri Sergéi Riabkov, citato dall’agenzia Interfax, ha annunciato che la Russia è aperta a collaborare su temi tecnici e concettuali di aree specifiche, sebbene preoccupata per i toni della campagna elettorale americana e le loro conseguenze. Riabkov ha anche manifestato un certo malessere per le continue accuse di violazione del New Start considerate ingiustificate, quando in realtà il Cremlino ha rimostranze per la parte avversa. Tuttavia, il messaggio generale dei russi è quello di non centrarsi su recriminazioni e cercare piuttosto un cammino comune. Per Mosca, il successo delle negoziazioni è nel campo degli americani.

Lo scarto fra le posizioni ufficiali e il sentimento dell’opinione pubblica aiuta a misurare il polso della situazione del gigante asiatico. Da un lato, la portavoce del ministero degli affari esteri, Hua Chunying, dichiara che la Cina vuole contribuire allo sforzo internazionale per il disarmo. Dall’altro, il direttore del Global Times, organo di stato, pubblica sui social media che la Cina è costretta ad ampliare il proprio arsenale per ridurre le ambizioni strategiche e gli impulsi aggressivi degli Stati Uniti. Dovrebbe, quindi, aumentare in tempi brevi il numero di testate a 1.000, inclusi i 100 ICBM DF-41 che possono raggiungere qualsiasi punto degli Stati Uniti, perché la pace e la coesistenza devono essere forgiate da strumenti strategici. Il post ha ottenuto decine di migliaia di like.

E l’Europa? L’Unione appoggia il prolungamento del trattato al 2026. Nel suo discorso alla sessione del consiglio di sicurezza dell’ONU dello scorso febbraio, il ministro degli esteri tedesco, Heiko Maas, ha chiesto a Stati Uniti e Russia di dimostrare leadership nel preservare la struttura di vigilanza delle armi nucleari. L’Europa ne auspica il rafforzamento con accordi multilaterali addizionali.





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