Due immagini distinte mostrano lo stato di salute della Sinistra in Europa: da un lato quella del 30 gennaio scorso riferibili alle elezioni in Portogallo, in cui Antonio Costa e il suo Partito Socialista hanno vinto con la maggioranza assoluta dei seggi e il 41,38% dei voti; dall’altro, quella del 25 settembre scorso in cui il Partito Democratico italiano è sceso al minimo storico di consensi (5,3 milioni di voti) e ottenuto solo il 19,07% dei suffragi.

Da un lato, una Sinistra che pur molto meno ideologica del passato ha pochi fari certi: lavoro, ambiente, sicurezza sociale e, nel caso di Costa, anche la forte retorica anti-austeritaria; dall’altro una Sinistra di potere, liberal e salvo poche eccezioni dedita preferibilmente al tentativo di demonizzazione dell’avversario piuttosto che a compiute riflessioni politiche. Enrico Letta ha contraddistinto la campagna elettorale sulla totale continuità e sulla rivendicazione di una superiorità morale rispetto agli avversari, da conseguire nei confronti del centrodestra e di Giorgia Meloni per la dicotomia tra post-fascisti e sinceri democratici e verso Giuseppe Conte e il Movimento Cinque Stelle per la scelta di difendere fino all’ultimo Mario Draghi. Il risultato? Un disastro, con il Pd che è stato staccato di quasi 2 milioni di voti e sette punti percentuali da Fratelli d’Italia ed è riuscito a rivitalizzare il Movimento Cinque Stelle consegnandogli la tutela degli emarginati, del lavoro, della sicurezza sociale.

La debacle del Pd segue di pochi mesi l’ennesimo flop del Partito Socialista francese che alle presidenziali ha candidato il sindaco di Parigi Anne Hidalgo legittimando una retorica che lo vuole lontano dall’animo popolare e che si è trovato egemonizzato da Jean-Luc Mélenchon e dalla sua Nuova Unione Popolare (Nupes) fortemente radicale nel successivo voto parlamentare.

Per la Sinistra liberal che “mima” le dinamiche culturali del Partito Democratico americano e si fa portavoce delle istanze delle élite urbane, dei professionisti e di quelle che in Italia vengono chiamate le “Zone a traffico limitato” la fase attuale è di forte regresso politico, ideologico, financo culturale. Di fronte all’ascesa di sacche di elettorato di protesta prima, sovranista poi e infine conservatore in diversi Paesi la scelta di molte formazioni è stata quella del trinceramento nei ridotti urbani, mentre fuori da questo trend le forze della Sinistra che hanno vinto si sono dimostrate capaci di maggior vocazione interclassista, come hanno dimostrato Costa e Mélenchon, cercando di conquistare sacche elettorali nelle classi popolari.

Poco prima della sconfitta del Pd in Svezia a perdere nonostante il primo posto è stato il Partito Socialdemocratico, che ha visto la sua coalizione minoritaria rispetto a quella ungherese guidata nei sondaggi dai Democratici Svedesi, alleati di Fratelli d’Italia; a fine 2021 Klara Dobrev, candidata di Coalizione Democratica che in Europa è col Pd nel gruppo dei Socialisti e Democratici, non è riuscita a sconfiggere in Ungheria il centrista cattolico Peter Marki-Zay nelle primarie per la scelta dell’avversario di Viktor Orban da parte dell’opposizione unita, poi travolta da Fidesz nel voto di aprile. In precedenza, dall’Andalusia erano arrivate pessime notizie anche per il ben più spigliato Partito Socialista Spagnolo, battuto alle elezioni regionali in una roccaforte rossa di Spagna dal Partito Popolare. E anche in Slovenia il partito Socialdemocratici – Sinistra Unita non ha toccato palla al voto d’aprile.

Per il Partito Socialista Europeo il 2022 è stato segnato dunque da grandi sconfitte nella sua componente tradizionalmente maggioritaria, in una fase che vede in vari contesti i partiti del campo liberal assediati da più fronti: da un lato, dalle sirene centriste neo-macroniane; dall’altro, dal radicalismo delle proposte di sindacati, organizzazioni collettive, partiti minori che vogliono rendere strutturale una svolta già verificatasi in Grecia, ove la radicale Syriza è diventata punto di riferimento del campo laburista e progressista. L’antica Sinistra di popolo, ovunque, non ha saputo mediare le prospettive socialdemocratiche con la gestione del vincolo esterno europeo e atlantico, la necessità di gestire il potere nell’era della globalizzazione e il rapporto con le sfere d’influenza internazionali. Il risultato è stato una serie di partiti-fotocopia in larga parte appiattiti sulla difesa a-critica della globalizzazione, sulla cosmesi dei diritti civili in luogo di quelli sociali e sulla difficoltà nel leggere i segni dei tempi per costruire una socialdemocrazia moderna.

Nella loro maggior tenacia ideologica, leader più nettamente popolari come Costa e Mélenchon interpretano di fatto l’era iper-politica, non nella mobilitazione ma nella retorica e nelle mosse richieste ai decisori, in cui viviamo ora e spostano la discussione sul terreno valoriale più di quanto la rivendicazione di autenticità dei partiti tradizionali possa fare. In Italia, fenomeni come il nuovo Movimento Cinque Stelle tutto ambiente, welfare e pacifismo uniscono tradizione progressista e nuovo populismo, creando un mix a cui il Pd non reagisce se non con malcelata alterigia. Tutti segni di un cambio di paradigmi e coordinate che la Sinistra liberal non ha saputo intercettare in un mondo in cui la domanda di sicurezza (economica, energetica, ambientale, sociale e via dicendo) è aumentata esponenzialmente e su cui in tutta Europa, Italia compresa, le formazioni a lungo rappresentanti delle classi popolari non hanno saputo riflettere attivamente.

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