La guerra in Ucraina, scrigno di Pandora di questa parte di secolo, ha riacceso tensioni mai sopite nei teatri più caldi del pianeta e portato il vento dell’instabilità nello spazio postsovietico.
Nonostante gli occhi dell’opinione pubblica europea siano primariamente posati sull’Ucraina, e secondariamente sull’incandescente Serbia-Kosovo, in un’altra area posta alle estremità del continente, il Caucaso, vecchi rancori ribollono e l’aria si appesantisce.

Tra Armenia e Azerbaigian è ancora pace, sebbene di piombo, ma una serie di circostanze va rendendo crescentemente fragile il cessate il fuoco siglato nel novembre 2020. Sullo sfondo della crisi lungo la strada di Laçin, nonché dello stallo nell’implementazione degli accordi trilaterali per lo sblocco delle arterie di comunicazione regionali, cresce il divario tra Erevan e Mosca e si complica la situazione per Nikol Pašinyan. In tutto ciò, è emersa dall’ombra un’enigmatica figura rispondente al nome di Ruben Vardanjan.

Vardanyan all’ombra di Mosca

Ruben Karlenovič Vardanjan è la figura del momento in Armenia. Nato e cresciuto a Erevan, in una famiglia di origini russe, Vardanjan è un potente imprenditore, con un debole per gli investimenti tra banche e finanza, che da anni è sotto la lente del giornalismo investigativo e che oggi sta protagonizzando la scena nel Karabakh.

Pašinyan, alle prese con una crisi di legittimità popolare e istituzionale, ha dei sospetti su questa oscura figura. E i motivi sono vari: è tornato soltanto di recente nel Caucaso – nel 2022 –, la sua scalata ai vertici della politica karabakha è stata folgorante – dal novembre 2022 è “Ministro di stato” del regime separatista nel Karabakh – ed è un grande detrattore del processo di pace tra Azerbaigian e Armenia, del quale sta portando avanti un’agenda di distruzione dello stesso così come dell’integrazione degli armeni nella popolazione azerbaigiana.

Ci sono testimonianze di pressioni su cittadini armeni che manifestano la volontà di integrazione con il popolo azerbaigiano e il suo sistema statale. A tal proposito, lo stesso Vardanjan ha dichiarato che gli armeni avrebbero tre possibilità: abbandonare il Karabakh, integrarsi con la comunità azerbaigiana o combattere. Lui ha scelto di combattere.

Nel corso della crisi della strada di Laçin, infatti, il miliardario prestato al mondo della politica si è autodescritto come un patriota, come un facoltoso che vuole mettere il suo patrimonio – di quasi un miliardo di dollari – al servizio del suo popolo.

Luci e ombre di un aspirante kingmaker

L’ascesa di Vardanjan è avvenuta di pari passo con l’allontanamento tra l’Armenia e i separatisti karabakhi, è stata accompagnata da una pioggia di dimissioni e licenziamenti nei ruoli-chiave dell’esecutivo karabakho ed è stata guardata con sospetto tanto da Erevan quanto da Baku. Vardanjan è uno dei motivi per cui il lento e difficile processo di normalizzazione armeno-azerbaigiano è rallentato, per poi entrare successivamente in stallo. L’aspirante kingmaker della politica karabakha, al quale si deve peraltro l’internazionalizzazione mediatica della crisi della strada di Laçin, non è privo di ombre.

È stato accusato dall’Organized Crime and Corruption Reporting Project, in un’indagine datata 2019, di essere a capo di 75 società offshore che, nel complesso, avrebbero facilitato il riciclaggio di ventisei miliardi di euro fra il 2006 e il 2013. Un sistema ribattezzato “Troika Laundromat“, dal nome della sua principale creatura – Troika Dialog –, utilizzato da politici e oligarchi russi, che, però, si è rivelato a prova di indagine.

I dubbi sono molti. All’inizio del 2023, ad esempio, si è saputo come Vardanjan fosse stato incluso nella lista degli individui sanzionati dal governo ucraino nel 2022, in data 19 ottobre, per via del suo sostegno all’invasione russa. Una decisione presa dal Consiglio di sicurezza e difesa nazionale dell’Ucraina e approvata con decreto del presidente Volodymyr Zelensky.

Sul portale War & Sanctions, realizzato con il supporto del ministero degli Esteri ucraino e dell’Agenzia nazionale per la prevenzione della corruzione, si può leggere che il motivo esatto dell’imposizione di sanzioni a Vardanjan è stato il ruolo “di vertice in società russa [ndr. Gruppo Volga-Dnepr, una delle più grandi holding del settore aereo russo], coinvolta nel supporto materiale (trasporti, logistica e altro) ad azioni che minano o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina”.

Chi è Vardanjan? Perché è tornato nel Karabakh? Qual è il suo collegamento con il Cremlino? I dubbi, che sono molti, restano.

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