Il 6 gennaio di un anno fa pareva di assistere ad un film. Un assalto al Campidoglio, da parte di una folla in rivolta. Chi lo avrebbe mai pensato? Sicuramente non lo ha previsto la Capitol Police che, in quel giorno di Epifania del 2021, era talmente sotto-organico da non riuscire a contenere gli assalitori. Se hanno fatto scalpore le scene, girate dal giornalista freelance Marcus Di Paola, in cui gli assedianti trattano con i poliziotti e vengono fatti passare, questo non lo si deve a qualche complotto o collusione con le forze dell’ordine, ma proprio ad una carenza di personale della polizia. Solo dopo i fatti del 6 gennaio, quando Joe Biden è stato infine confermato dal Congresso di nuovo riunito, Washington è stata pacificamente “invasa” da 26mila guardie nazionali che hanno protetto la sede del potere legislativo americano.
Il comportamento delle forze di sicurezza indica che l’intelligence nazionale non avesse previsto lo scenario di una protesta che culminasse con l’assalto del Campidoglio. Il perché di questa disattenzione è evidente: tuttora non c’è accordo su quel che è successo quel 6 gennaio.
La questione del colpo di Stato
Almeno in parte, la narrazione successiva all’assalto al Campidoglio è arrivata a parlare di “colpo di Stato”. La prestigiosa Foreign Policy, con un articolo a firma dello scienziato politico Paul Musgrave, rilanciava subito la tesi del “colpo di Stato americano”. Benché lamentasse la mancanza di allarme da parte dei suoi colleghi politologi e commentatori politici, Musgrave non è il solo ad interpretare l’assalto al Campidoglio come un tentativo golpe. Anche Biden, nel suo discorso del 6 gennaio, parlava di “attacco alla democrazia senza precedenti” e chiedeva a Trump di “porre fine a questo assedio”.
Invece non era un colpo di Stato, secondo il think tank libertario Mises Institute con un un pezzo a firma di Ryan McMaken. A dimostrazione che non c’era un piano di conquista e consolidamento del potere, l’autore libertario cita la disorganizzazione e la mancanza di coordinamento dei rivoltosi, l’assenza di un loro obiettivo chiaro anche una volta entrati nel palazzo del legislativo e la facilità con cui poi la folla è stata dispersa. In senso proprio, ricorda McMaken, un colpo di Stato è un atto di forza illegale compiuto da un pezzo dell’élite statale (l’esercito e parte dei suoi vertici, nella maggior parte dei casi) per rovesciare un governo in carica. Non è sicuramente questo il caso.
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Se non si è trattato di un colpo di Stato, allora cosa è successo? La manifestazione del 6 gennaio di fronte al Campidoglio era prevista ed era stata anche autorizzata nell’ultima settimana di dicembre. Nel suo discusso discorso ai sostenitori (che è alla base del secondo processo di impeachment), il presidente uscente Donald Trump li aveva invitati a farsi sentire dai rappresentanti “in modo pacifico e patriottico”. Era pacifica la stragrande maggioranza dei manifestanti, come è noto a chiunque abbia assistito alla manifestazione, o vi abbia partecipato. Un’ala più radicale della manifestazione, abbastanza consistente da travolgere la polizia, si è staccata dal corteo principale per far irruzione in Campidoglio, per “farsi sentire” direttamente nelle orecchie dei senatori e rappresentanti, riuniti nell’edificio per la conferma di Biden alla presidenza. Tutto quello che hanno ottenuto è stato di spaventare i membri del Congresso, anche quelli repubblicani, al costo di quattro morti, fra cui Ashli Babbit, veterana dell’aeronautica, uccisa da un agente con un colpo di pistola sparato a bruciapelo.
La protesta della destra conservatrice
Il perché di un’azione così (almeno apparentemente) insensata e controproducente, lo si può comprendere solo alla luce della cultura più ignorata e bistrattata dai media e dalla politica: quella della destra conservatrice americana. Contrariamente alla tradizione europea, i conservatori statunitensi non sono i custodi delle istituzioni dello Stato, ma i loro potenziali nemici. Negli Stati Uniti il concetto europeo di “Stato sovrano” non è mai esistito. Gli Usa sono nati da una ribellione di coloni contro lo Stato centrale, le sue regole e tasse. Simboli della rivoluzione americana, come la prima bandiera con le 13 stelle (delle tredici colonie originarie) disposte in cerchio, o la Gadsden Flag (gialla, con la serpe e la scritta “Non calpestarmi”) erano abbondantemente presenti, sia al Campidoglio che nelle altre manifestazioni conservatrici pro-Trump. Erano anche i simboli e gli ideali del precedente moto anti-establishment, quello del Tea Party, sorto fra il 2008 e il 2009 su iniziativa di quei movimenti conservatori e libertari che non si sentivano più rappresentati neppure dal Partito Repubblicano. L’elezione di Donald Trump nel 2016 ha segnato la fine del movimento Tea Party, ma non quella della protesta contro la “palude”, come viene soprannominato l’establishment corrotto, bipartisan, sia democratico che repubblicano. Trump stesso ha incarnato, personalmente, sin dal suo insediamento, la rivolta contro l’élite.
“Quando non v’è giudice sulla terra, non rimane che l’appello a Dio nel cielo”, scriveva il filosofo John Locke (1632-1704) all’indomani della Gloriosa Rivoluzione inglese. I rivoluzionari americani lo presero alla lettera e nella stessa dichiarazione di Indipendenza, del 1776, leggiamo: “Ma quando una lunga serie di abusi e di malversazioni, volti invariabilmente a perseguire lo stesso obiettivo, rivela il disegno di ridurre gli uomini all’assolutismo, allora è loro diritto, è loro dovere rovesciare un siffatto governo e provvedere nuove garanzie alla loro sicurezza per l’avvenire”. Questo è il vero Dna dei conservatori americani. Se il patto fra lo Stato e il popolo è rotto, il popolo ha il diritto di rovesciare il governo, o quantomeno di disobbedirgli.
Giusta o sbagliata che sia questa percezione, un’ampia fetta dell’opinione pubblica repubblicana ha considerato l’elezione di Joe Biden come frutto di una frode elettorale. E non solo: si è sentita discriminata dai media mainstream nei quattro anni di presidenza Trump, privata della libertà e della proprietà dalle misure anti-Covid negli Stati in cui è stato imposto il lockdown, lasciata indifesa e in balìa delle manifestazioni più violente di Black Lives Matter e infine esclusa dal dibattito, anche nei social network. Sentendosi privata della libertà di parola e di voto, questa parte della destra americana ha pensato che non rimanesse altro “che l’appello a Dio nel cielo”.